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Quel maledetto 10 dicembre 1967: il blues di Otis Redding

11-12-2016 Valerio Spadoni

Quel maledetto 10 dicembre 1967: il blues di Otis Redding

Nota a cura della redazione di Hotmc: Due giorni fa cadeva l’anniversario della morte di Otis Redding, nel tragico incidente aereo che ci ha portato via uno dei più grandi soulman della storia. Nel ricordarvi che è sempre disponibile in libreria l’ottima biografia di Alberto Castelli, pubblichiamo un ricordo di uno dei più grandi fan in assoluto di Otis, il giornalista e musicologo Valerio Spadoni, che ci ha fatto l’onore di scrivere un pezzo apposta per noi.

8 Dicembre 1967
Jim Stewart, il fondatore della Stax Records in Memphis, quel giorno l’ha ricordato cosi: “Otis Redding e i suoi musicisti registrarono (Sittin’On) The Dock Of The Bay. Non avevano molto tempo, perché quella sera Otis aveva un concerto a Nashville. Otis lasciò la Stax appena terminò la registrazione e io non riuscii a salutarlo. Ero al piano di sopra, nel mio ufficio con la strana sensazione di doverlo vedere prima che andasse via. Non so perché. E scesi di sotto, ma mi dissero che se n’era andato e che era dovuto correre in aeroporto. Ma io avevo ancora quella strana sensazione. Era successo altre volte che quando ero alla sede dello Stax non ero riuscito a salutarlo, ma quel giorno mi sembro particolarmente importante, e me lo ricordo perfettamente”.
Oltre a quello di Nashville, Otis Redding e i Bar-Keys avevano in programma altri due concerti: il 9 dicembre a Cleveand e il giorno dopo a Madison.

9 dicembre 1967
Arrivati a Cleveland, prima del concerto, Otis Redding e i suoi giovanissimi musicisti parteciparono a un programma televisivo, nel corso del quale interpretarono anche una versione memorabile, colma di stile, passione, intensità di Try A Little Tenderness, la splendida ballad con la quale The Big O chiudeva i suoi concerti.
Per il resto nulla di insolito: concerto fantastico, applausi a scena aperta. Niente di particolare: un giorno come tanti altri nella carriera di Otis Redding, sempre più bravo, sempre di più al centro della scena. Lui e il suo soul di Memphis, quello della Stax, sempre più lanciati.

10 dicembre 1967. Di mattina presto.
Prima di salire sull’aereo, il suo aereo che lo avrebbe portato a Madison, Otis Redding chiamò sua moglie Zelma.
“Mi telefonò intorno alle 8 del mattino – ha ricordato Zelma – ebbi la sensazione che fosse un po’ giù. Gli chiesi cosa c’era che non andasse. Niente, mi rispose, sono solo un po’ stanco. Voleva parlare con i bambini, ma dormivano tutti, tranne Otis III che aveva tre anni. Così dopo aver parlato un po’ con il figlio, riprese a parlare con me. Quando arrivò il pilota dell’aereo nella sua stanza, io stavo per attaccare il telefono, ma lui mi disse qualcosa. Così ripresi la cornetta, e lui mi disse: ‘Sai cosa voglio che tu faccia? Voglio che tu sia davvero brava.’ E io dissi: Di che parli? Io sono sempre brava. Sono la cosa migliore che tu conosci”. E lui: ‘Seriamente, Zelma voglio che tu sia davvero brava’. E quella fu l’ultima volta che parlai con lui”.
Era ancora il 10 dicembre, mattina presto, quando le radio e le televisioni diedero la notizia : mentre era in volo per Madison, l’aereo di Otis Redding era precipitato nelle acque ghiacciate del lago Monona. Tranne due componenti dei Bar-Kays, tutti i passeggeri a bordo erano morti. Tutto finito.
A soli ventisei anni, nel pieno della sua forza creativa e in un momento decisivo della sua carriera, moriva il cantante che più di ogni altro aveva trasmesso l’energia, il calore, l’essenza del soul di Memphis. “Io so quello che i ragazzi vogliono”, aveva dichiarato qualche settimana prima. Sicuramente, Otis Redding sapeva quello che voleva. Non solo: in quel periodo aveva raggiunto quello che aveva sempre sognato: diventare il cantante soul più importante, amato, rispettato, proprio come il suo maestro, Sam Cooke – il quale era scomparso, ucciso a Los Angeles in un motel da tre dollari o poco più a notte, tre anni prima, l’undici dicembre del 1964. E proprio come il suo ispiratore, Redding nell’ultimo periodo della sua vita era impegnato a rendere sempre più forte la sua posizione all’interno del mondo dello spettacolo. Oltre a incidere dischi e tenere concerti in tutto il mondo, aveva infatti aperto – al fianco del suo fedele manager Phil Walden – un’etichetta discografica, con la quale aveva lanciato Arthur Conley, una società di booking e manageriato musicale e una casa editrice che avrebbe gestito i guadagni derivati dal suo repertorio. Artisticamente voleva crescere ancora: cercava un nuovo stile per il quale aveva coniato il termine Soul-Folk in grado di conquistare un pubblico ancora più ampio. In quel periodo ascoltava ossessivamente Sgt. Pepper’s Lonely Hearts dei Beatles, che per lui “era il futuro. Quel disco è il futuro, credetemi…”. Lavorando incessantemente e sprigionando tutta la forza del suo talento, Otis Redding era diventato anche un imprenditore, un black capitalist, come lo erano James Brown e Ray Charles, come lo saranno Russel Simmons e Jay-Z.

Poi arrivarono, dolorose più che mai, le dodici battute de…

Il blues del 10 dicembre 1967…

Che poi non sarebbe cambiato nulla
Si, non sarebbe cambiato nulla
se non ci fosse stato il 10 dicembre del 1967
Non ce ne saremmo nemmeno accorti che in realtà non c’è stato quel 10 dicembre 1967.
Non c’ è bisogno di nessun Michael J. Fox
Nessun ritorno al futuro
Perché il 10 dicembre 1967 non c’è mai stato
Un giorno come tanti altri che in realtà non c’è mai stato
Credetemi, a chi interessa il 10 dicembre del 1967?
Abbiamo altro da fare
Non possiamo perdere tempo con un giorno che non c’è mai stato
Così, il 9 dicembre 1967 Otis Redding e i Bar-Kays, il suo nuovo gruppo che suonava una meraviglia, e poi erano così giovani, che The Big O aveva chiesto il permesso (“Otis era un vero Principe” aveva detto Jerry Wexler, il tipo della Atlantic) ai loro genitori per portarli in tour con lui.
E i genitori avevano detto si, felici e orgogliosi, perché i loro ragazzi suonavano con Otis, The Big O…
E presero quel fottuto aereo e arrivarono a Cleveland, Ohio anche se LeBron James non
c ‘era ancora e quindi perché andare nella fottuta Cleveland, nel fottuto Ohio
Perché c’erano Otis e i Bar-Kays.
E nel pomeriggio di quel 9 dicembre 1967 andarono in una televisione e suonarono dei pezzi.
E alla fine piangevano tutti
Perchè avevano fatto Try A Little Tenderness, in maniera pazzesca
E la sera sul palco
Asfaltarono tutto e tutti senza pietà, oh mercy, mercy, mercy me come avrebbe esclamato Julian Cannonball
e come avrebbe poi fatto LeBron, sempre lì nella fottuta Cleveland, nel fottutto Ohio…
E rimasero a parlare per tutta la notte
E poi si addormentarono
E quando finirono di sognare, si accorsero che era già l’11 dicembre 1967.
Chiesero a Otis: “Big O, che giorno è oggi?”
“L’11 dicembre 1967. Il 10 dicembre 1967 non c’è mai stato. E non c’è mai stato nemmeno l’undici dicembre del 1964. Ora, andiamo. Dobbiamo tornare a Memphis.”
Era strano, ma tutti lo presero in parola, perché era The Big O
E io vi dico: il 10 dicembre del 1967 non c’è mai stato.
Yes Lord…

Da: Otis Redding. La Musica è Viva
Di: Alberto Castelli
Soul Books, Vol.4
Prefazione: Massimo Oldani
Note\Curiosità: Graziano Uliani
Vololiberoedizioni, 2016