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Patto mc: l’intervista

29-11-2016 Marta Blumi Tripodi

Patto mc: l’intervista

Che in Campania l’hip hop sia una faccenda serissima non è certo una novità: gli esempi delle eccellenze regionali ce li abbiamo sotto gli occhi – e nelle orecchie – tutti i giorni, da Clementino a Rocco Hunt fino alle viscere dell’underground con Francesco Paura, La Famiglia, Speaker Cenzou, 13 Bastardi, Sangue Mostro e chi più ne ha, più ne metta. Spesso, però, facciamo l’errore di pensare solo a Napoli, quando pensiamo al rap campano: questa volta, invece, accendiamo i riflettori su Salerno e con una colonna portante della sua scena, Patto mc, da pochi mesi uscito con il nuovo album ImPatto. Attivo da ben due decadi, con la sua musica ha ispirato una nuova generazione di rapper (tra cui alcuni che conoscete molto bene, come scoprirete tra poco). L’abbiamo raggiunto al telefono per parlarne.

Blumi: Nel 2016 festeggi i tuoi primi vent’anni di hip hop: come ci si sente?

Patto: Vent’anni forse è un parolone! Il mio primo disco è effettivamente del 1996, ma poi mi sono fermato tanti anni prima di ritornare. Anche nell’ultimo periodo ho fatto una pausa di quattro anni, perché vivevo a Roma per lavoro e non avevo il tempo: qualcosina di mio è comunque uscito, ma non al livello di ImPatto. A quest’album ci tengo tanto, perché l’ho curato molto e quindi per me rappresenta un ritorno vero e proprio.

B: Che cosa lo distingue dagli altri dischi usciti nel 2016?

P: Innanzitutto ci tengo a dire che quest’album è davvero rap, e non appartiene ad altre nuove correnti, quelle che affidano tutto all’autotune o alle strofe canticchiate. Per me fare rap vuol dire farlo alla vecchia maniera, con un flow solido, le rime grasse e potenti… I beat sono molto particolari: io vengo da una scuola classica – ho lavorato tanto con Fabio Musta – ma per questo disco abbiamo cercato di dare una svolta più contemporanea, grazie anche all’aiuto di produttori come Tayone. Non so se è un progetto che può piacere a un pubblico di giovanissimi, ma sicuramente ha tanto da raccontare: i riscontri finora sono buoni, per cui non mi lamento. Tutta la tracklist forma un discorso unitario, che parte da quando eravamo ragazzini e giravamo per la città e arriva fino ad oggi. È un disco pieno di aneddoti e di storie.

B: Cosa ti spinge a continuare a fare rap anche oggi se, come dicevi prima, i ragazzi più giovani rischiano di non capire un disco come il tuo?

P: Bella domanda! (ride) Ho cominciato quando l’hip hop non era ancora una moda, ho attraversato tutte le varie fasi di boom e quelle calanti, ma non mi è mai interessato più di tanto il contesto: io devo scrivere, per me è uno sfogo, se non ci fosse il rap mi sentirei una persona spenta. Il rap mi mette in contatto con la mia parte più sveglia e più giovane, mi fa stare bene. E continuo a farlo anche perché, proprio perché appartengo alla vecchia guardia, lo sento come un dovere: non posso mollare proprio io. Se mai smetterò è perché avrò finito le idee e le motivazioni, ma non credo succederà mai.

B: Quando scrivi alterni l’italiano al dialetto…

P: Il dialetto, come dicono tutti, è molto più musicale, anche perché assomiglia all’inglese, ma amo molto anche scrivere in italiano, che mi permette di arrivare a più persone. Credo comunque che, grazie all’ascesa del rap campano che negli ultimi anni è stata notevole, sempre più gente capisca il dialetto anche al nord! (ride) Tendenzialmente l’italiano lo uso per concetti importanti, quelli che voglio si capiscano molto bene.

B: Ad esempio?

P: In Angeli, la prima traccia prodotta da Tayone, parlo delle nostre esperienze da ragazzi: sempre per le strade, sempre a rischio senza neanche rendersene troppo conto… Racconto degli angeli (metaforicamente, perché poi ciascuno crede in ciò che vuole) che ci hanno salvato dal nostro destino, e in molte parti rappo in italiano perché il messaggio arrivi forte e chiaro a tutti.

B: A proposito di dialetto e Campania, tu vieni da Salerno: la sua scena hip hop forse è un po’ meno conosciuta di quella di Napoli ma ha generato uno dei più grandi talenti del rap italiano di oggi, Rocco Hunt, che tu conosci da molti anni…

P: Rocco è bravissimo a rappare ed è un ragazzo molto in gamba: il suo successo l’ha meritato tutto. È stato “allevato” dalla mia crew, veniva spesso a sentirci rappare, e il suo talento è stato evidente a tutti fin da subito. Sono veramente contento che sia uscito un fenomeno come lui da una città come Salerno, che non è certo una metropoli e quindi rende più difficile emergere: da noi c’è meno pubblico, quindi parti già con un seguito più piccolo. Per fortuna oggi c’è il web che aiuta molto ad uscire dai confini della propria città.

B: Rocco, tra l’altro, è presente anche tra i featuring insieme a Zulu, Egreen e alcuni altri tuoi soci di crew. Come li hai scelti?

P: Non ne volevo tanti, inizialmente: essendo un album di undici tracce, il rischio era quello di generare una specie di effetto compilation… (ride) Con Rocco ho già duettato varie volte, anche se non avevamo ancora fatto un pezzo che ci soddisfacesse al 100%: per questo abbiamo scelto un beat di Fabio Musta che si sposava bene con i nostri flow, e quindi il risultato è stato esplosivo. Con Zulu ci tenevo a fare un pezzo: ci conosciamo e ci stimiamo già da un bel po’, ma l’idea di un featuring è nata dopo che ci eravamo incontrati varie volte nei backstage di concerti di altri. Abbiamo deciso di fare un pezzo d’amore per cambiare, visto che sia io che lui parliamo sempre di strada e di cose molto crude volevamo differenziare un po’! Si intitola Distanti ed è una lettera d’amore che il sole scrive alla luna e viceversa: un sentimento impossibile, perché ovviamente non possono mai incontrarsi. Quando ha sentito le mie due strofe, Zulu mi ha detto che le ha trovate così belle che preferiva fare solo il ritornello… e ha fatto un ritornello bestiale! A breve uscirà anche il video.

B: E con Egreen, invece?

P: Mi piace molto il suo modo di rappare, è uno crudo e senza compromessi, come me. Ci siamo trovati molto bene sia a livello artistico che a livello umano: avevamo già collaborato per un altro pezzo uscito su un mixtape, ma volevo replicare l’esperimento sul mio album ufficiale. Abbiamo scelto una strumentale un po’ più moderna, anche se noi in realtà siamo molto classici: Dubsmash, questo il nome del pezzo, è stato una specie di esperimento, ma secondo noi è riuscito molto bene. Però ci siamo anche ripromessi di fare un pezzo con un beat più boom-bap, in futuro!

B: Progetti futuri?

P: Usciranno altri due video estratti da ImPatto, per ora siamo concentrati su quello; a dicembre, inoltre, partiranno le mie date live. Sto lavorando anche a qualche featuring, ma la cosa che mi preme di più è soprattutto promuovere l’album.