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Speciale Fly Girls: intervista a Loop Loona

29-07-2014 Marta Blumi Tripodi

Speciale Fly Girls: intervista a Loop Loona
I maschi tendono ad essere molto più concentrati sulla tecnica, perciò se sentono una ragazza che tecnicamente non è ancora a un ottimo livello, non perdono tempo ad ascoltarla una seconda volta.

Il rap (così come tutta la cultura hip hop) è probabilmente il genere musicale più meritocratico che esista. Chi non si rivela all’altezza delle aspettative sparisce come una meteora dal cuore e dagli speaker degli appassionati – o perlomeno, così succede non appena gli appassionati raggiungono l’età e l’esperienza per distinguere un prodotto valido da uno che non lo è. Questo, lo ammettiamo un po’ a malincuore, è uno dei motivi per cui il rap al femminile non attecchisce granché: spesso e volentieri le mc italiane si siedono sugli allori, pensando che il fatto di essere una delle poche ragazze nel rap game le giustifichi a non impegnarsi ad alzare il livello, come invece fanno (quasi) tutti i loro colleghi maschi. Non è assolutamente questo il caso di Loop Loona, che con il suo album Senza fine è senz’altro riuscita a dimostrare non solo un’abilità e una competenza fuori dal comune, ma anche una voglia di mettersi in gioco che è raro incontrare di questi tempi. E’ innegabilmente un album che ha grande personalità e le idee chiare, proprio come la persona che lo firma. Se non avete ancora ascoltato il disco e vi apprestate a farlo, preparatevi a giudicarlo senza pregiudizi: non è rap all’acqua di rose, ma non è neanche un rap da maschiaccio. E non è rap al femminile, è il rap di Loop Loona. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la diretta interessata per parlare di questo e non solo di questo.

Blumi: L’ultima volta che ti abbiamo intervistato, nel 2012, l’uscita del tuo album era prevista di lì a qualche mese. Perché alla fine l’hai posticipato di quasi due anni?

Loop Loona: Innanzitutto, perché non mi sentivo ancora abbastanza brava in studio: ho sempre fatto rap soprattutto in contesti live, la fase di registrazione era un’esperienza del tutto nuova per me. Abbiamo preferito procedere per gradi, pubblicando prima un EP e dopo un mixtape. E a parte questo, abbiamo anche perso parecchio tempo: un po’ perché abbiamo realizzato molti più pezzi di quelli che abbiamo poi inserito nella tracklist, e un po’ perché Turi, che ha prodotto l’album, è stato molto impegnato. Ultimo ma non ultimo, dovevamo ancora capire se qualche realtà discografica ci avrebbe appoggiato, e quale. Dopo avere fatto il giro di un po’ di etichette, alla fine ho deciso di affidarmi al primo che aveva creduto in me, Claudio di Antibe, che due anni fa mi aveva permesso di caricare il singolo sullo store di iTunes. Abbiamo trovato un’intesa fortissima, mi sono ritrovata molto nel loro modo di lavorare.

B: L’altra grande differenza che si può riscontrare tra la tua produzione di due anni fa e quella di adesso è l’evoluzione del tuo gusto musicale: un tempo eri molto più orientata verso l’hip hop italiano “tradizionale”, per così dire, oggi invece sperimenti sonorità molto più atipiche e contemporanee, che sfiorano l’elettronica inglese e le produzioni di avanguardia americane…

L.L.: Prima di lavorare a questo disco ho passato diversi anni in medio oriente (Loona è laureata in lingue orientali e parla correntemente l’arabo, ndr), e quando sono tornata in Italia ho iniziato a reinserirmi nella scena rap tramite il freestyle, soprattutto: il mio immaginario, quindi, era quello vecchia scuola che va per la maggiore ai contest. Pian piano, però, ho cominciato a prestare attenzione anche a realtà che prima non prendevo molto in considerazione, come le contaminazioni con la trap o tutte quelle produzioni in stile Drake e Wiz Khalifa. Così sono andata da Turi e gli ho chiesto se gli andava di sperimentare qualcosa di nuovo, anziché fare il solito album con l’impostazione classica che ha il rap italiano.

B: E lui come l’ha presa?

L.L.: Non benissimo, all’inizio… Arrivavo in studio con delle idee talmente pazze che lui alzava gli occhi al cielo e mi diceva che no, non poteva farle quelle cose, sennò ci avrebbe perso la faccia! (ride) Dopo un po’, però, abbiamo trovato una quadra e credo che il suo lavoro su Senza fine sia stato molto apprezzato, anche se diverso dal solito: molti rapper gli stanno chiedendo dei beat con lo stesso tipo di mood che abbiamo adottato per il mio album. Naturalmente rimarrà sempre insuperabile sulle produzioni di stampo funky, ma ha ampliato i suoi orizzonti e si è rivelato un bene per entrambi.

B: Come dicevamo prima, hai prodotto molti più brani di quelli che sono stati poi inseriti nel disco. Con che criterio hai selezionato quelli che poi sono entrati nella tracklist?

L.L.: Soprattutto in base al sound: abbiamo scartato una serie di brani che rappresentavano la “vecchia” Loop Loona. Volevamo dare l’impressione di un prodotto coeso, che avesse un senso dall’inizio alla fine. Riguardo ai testi, invece, abbiamo scartato il genere di pezzo in cui spari a raffica migliaia di rime senza però dire assolutamente nulla: quelli vanno bene per i mixtape, ma non per un album ufficiale, secondo me. Negli anni il mio modo di scrivere è cambiato, soprattutto grazie a Turi: le prime volte che andavo in studio da lui, mi guardava un po’ sconsolato e mi diceva “Luana, guarda che non si capisce niente. Rappi come Neffa!”. (ride)

B: Beh, non mi sembra poi così male, rappare come Neffa!

L.L.: Da una parte no, ma non ha senso essere una copia se c’è già l’originale. Quando me l’ha fatto notare, me ne sono finalmente resa conto anch’io. Oltretutto, ripeto, cambiare era diventata un’esigenza, perché davvero non si capiva bene dove volevo andare a parare. Mi esprimevo in modo molto confuso, volevo arrivare a tutti i costi a chiudere la rima più spettacolare e così mi perdevo per strada il contenuto. Ora cerco di fare il contrario, pur senza tralasciare lo stile.

B: Però nell’album ci sono anche molti brani puramente stilistici, o sbaglio?

L.L.: Sì, certo, alcuni pezzi sono estremamente rappusi. Tipo Monna Lisa: rime su rime, serrate e velocissime, tanto che un mio amico pensava che avessi accelerato la traccia audio! (ride) Senz’altro, comunque, i brani con più contenuti sono Dalle mie parti e i pezzi d’amore.

B: La title track può senz’altro essere definita un brano d’amore, ma l’altro, Agatha Christie, parla più che altro di una storia di sesso un po’ malata…

L.L.: Sì, esatto. È una canzone nata molti anni fa dopo una storia con un deficiente… Non parliamone! (ride)

B: Va bene, allora parliamo di Dalle mie parti. Da dove nasce l’esigenza di scrivere un pezzo sulla ndrangheta?

L.L.: Volevo parlare della mia terra, ma era come se non riuscissi a trovare il modo. Un giorno mi è arrivato questo beat un po’ apocalittico e le strofe mi sono uscite da sole, nel giro di una notte. Alla fine credo che sia un pezzo riuscito, anche se è molto diverso dagli altri contenuti nell’album. So di non dare una bella immagine della Calabria, ma parlo di storie vere: da queste parti certe situazioni si vedono spesso.

B: Visto che ci sono già stati casi di intimidazioni della ndrangheta nei confronti di rapper calabresi (vedi il caso dei Kalafro), non hai avuto neanche per un attimo paura delle conseguenze?

L.L.: In realtà no, anche perché io mi limito a descrivere e non a giudicare. So che può sembrare la cosa sbagliata da dire, ma ho un rapporto strano con questo fenomeno. Da una parte so perfettamente che è negativo, dall’altra non posso ignorare il fatto che esiste fin dai tempi del brigantaggio: è talmente radicato nel territorio che non è possibile pensare di distruggerlo davvero, secondo me. Tutti noi, volenti o nolenti, siamo parte di quella mentalità, soprattutto perché la mafia e lo stato spesso coincidono, come si è visto dalle recenti cronache giudiziarie. Anzi, visto che sradicarla è impossibile, secondo me sarebbe meglio se la ndrangheta investisse nel nostro territorio, anziché portare tutti i soldi al nord. Magari riuscirebbero anche a creare posti di lavoro e a evitare a tanti ragazzi di emigrare.

B: Tornando a temi più leggeri, molti tuoi brani prendono il titolo da celebri personaggi femminili: Monna Lisa, Agatha Christie, Venere, Athena…

L.L.: Il primo è stato Venere, seguito da Athena e da altri che alla fine ho deciso di non inserire nel disco. È nato dalla voglia di attrarre energia femminile, credo. Un tempo ero il classico maschiaccio che ha molti amici uomini e non lega molto con le donne. Con il tempo, però, mi sono resa conto che spesso le donne hanno una marcia in più, soprattutto sul lavoro: colpiscono nel segno e sanno come muoversi. Se fosse dato più spazio alle donne in alcuni ambiti, i risultati sarebbero notevolmente migliori. Ecco perché voglio circondarmi da questo tipo di vibrazioni.

B: Ecco, parliamo di energia femminile nel rap: forse mi sbaglio, ma ultimamente in Italia tra le ragazze della scena c’è la tendenza a puntare tutto sull’immagine e far passare la musica in secondo piano…

L.L.: Se passi meno tempo dall’estetista e più in studio di registrazione, ci guadagni senz’altro dal punto di vista artistico. Spero di diventare un esempio, onestamente. Spero che un sacco di ragazze comincino a pensare più al rap e meno alle pose da adottare nei servizi fotografici. Sia chiaro, le pose me le sparo pure io, però cerco di renderle una faccenda secondaria rispetto alla musica! (ride) Comunque le cose pian piano stanno cambiando: io cerco sempre di rimanere aggiornata sulle nuove mc che si affacciano sulla scena, e ultimamente ho ascoltato un sacco di ragazze giovanissime che hanno l’attitudine e l’energia giusta. Anzi, ci terrei a citare la mia preferita in assoluto, che si chiama Leslie Mc. Su Internet per ora si trova poco, ma ascoltando quel poco che c’è si capisce che ha quello struggle e quella rabbia che sono il motore principale per chi fa rap.

B: Tra l’altro il rap al femminile in Italia ha un pubblico prevalentemente femminile, per ora: molti maschi non vogliono proprio sentir parlare di mc donne. Tu fai eccezione, perché sei molto rispettata anche dagli uomini. Pensi che prima o poi questo capiterà anche per tutte le tue colleghe? Gli ascoltatori maschi riusciranno mai a valutare solo il rap, e non il sesso di chi lo fa?

L.L.: Secondo me non ci riusciranno mai del tutto, però magari cominceranno pian piano ad aprirsi un po’ di più alla cosa. I maschi tendono ad essere molto più concentrati sulla tecnica (e infatti, sia nel mainstream che nell’underground, gli mc che vanno di più sono i più abili da quel punto di vista), perciò se sentono una ragazza che tecnicamente non è ancora a un ottimo livello, non perdono tempo ad ascoltarla una seconda volta. Non sono mica scemi! Magari, se è carina, fanno like sulla sua foto, ma poi si dimenticano del rap. Bisogna essere le prime a fare autocritica e a concentrarci su ciò che conta davvero.

B: Cambiando per un attimo argomento, quest’anno hai anche lanciato un progetto in qualche modo parallelo all’album, quello dei Freestyle del Loonedì. Com’è nato?

L.L.: In quel periodo ero ferma da un po’, così ho pensato di organizzare una specie di appuntamento settimanale in cui diffondere nuova musica, che sarebbe poi confluita in un mixtape. Non sono dei veri e propri freestyle, perché alcune rime sono scritte: sono delle strofe estemporanee, diciamo. Anziché aspettare una vera e propria ispirazione, prendevo carta e penna e buttavo giù le prime cose che mi venivano in mente. E non era neanche un vero e proprio appuntamento settimanale, perché ogni tanto ho dovuto saltare: non avendo modo di registrare a casa mia devo sempre appoggiarmi agli altri, e ogni tanto non trovavo nessuno che mi desse ospitalità… (ride)

B: Quest’estate hai molti live in previsione. Cosa deve aspettarsi chi viene a vederti?

L.L.: Un live più maturo e più lungo, innanzitutto. E un live più allegro e festaiolo di quello che di solito presentano i maschiacci: è più uno show che un live, a tratti. Ad accompagnarmi ci sarà sempre dj Impro, e diversi ospiti a seconda della data. Suonare dal vivo è la cosa che mi piace di più in assoluto: in studio non mi sento ancora del tutto a mio agio, so che devo migliorare tantissimo, mentre sul palco so che devo migliorare, ma solo un po’! (ride)

B: Progetti futuri?

L.L.: Oltre a portare in giro quest’album dal vivo stiamo pensando a creare un altro live, un progetto abbastanza ambizioso con cinque elementi coinvolti. E poi non vedo l’ora di lavorare a un altro album: in questo periodo non riesco a trovare la tranquillità necessaria per scrivere, ma sento di avere già tanto da dire. Se aspetto ancora un po’, esplodo!