Innegabilmente Tanta Roba è uno dei progetti discografici più interessanti del momento, soprattutto da quando ha intrapreso un percorso artistico che si è allontanato da qualsiasi deriva pop e ha ricondotto l’etichetta su binari saldamente rap, che è senz’altro la cosa che riesce meglio in assoluto ai due fondatori Gué e Harsh. L’ultimo acquisto del roster, dopo Ensi e Salmo, è Gemitaiz, ventiquattrenne romano dall’indiscusso talento: piace ai giovanissimi, ma le fondamenta solide del suo stile e la grande abilità in extrabeat lo rendono molto apprezzato anche dalle generazioni precedenti. Con il suo ingresso nella label fa anche il suo ingresso nella discografia ufficiale grazie all’album di debutto L’unico compromesso, che ha ottenuto ottimi riscontri già nel mese successivo all’uscita: Gemitaiz si prepara a un’estate in tour, che comincia in grande stile con Tanta Roba Gran Turismo, la mini tournée iniziata proprio ieri sera che lo vede condividere il palco con Salmo e Ensi (la foto che vedete quassù è la locandina del tour, mentre le date le trovate qui). Abbiamo scambiato quattro chiacchiere al telefono con il diretto interessato, per farci raccontare qualcosa in più del periodo frenetico che sta vivendo.
Blumi: È passato un po’ di tempo dall’uscita dell’album. In cosa le tue aspettative sono state soddisfatte, e in cosa sono state disattese?
Gemitaiz: Sicuramente non mi aspettavo che L’unico compromesso potesse tenere testa in classifica ad album come quello dei Daft Punk: in quel periodo erano usciti un sacco di dischi, molto più importanti e prestigiosi del mio, perciò non pensavo che sarei entrato nella classifica FIMI (la classifica generale e ufficiale di vendite stilata dalla federazione delle etichette discografiche in Italia, ndr). È stata una bellissima sorpresa. Per il resto, sono rimasto un po’ meno soddisfatto solo dal punto di vista della comprensione dell’album. Certe persone, e soprattutto certe fasce d’età, hanno un po’ travisato il significato dei pezzi: hanno pensato che fosse un lavoro con meno argomenti, rispetto ad altri progetti simili, quando in realtà è semplicemente un progetto introspettivo. È privo di risvolti politici o di brani massimalisti: non me ne frega niente di fare quello forzatamente impegnato, lo fanno già tanti altri, non ha senso che mi ci metta anch’io. Preferisco concentrarmi su un viaggio più personale e parlare delle sensazioni che mi regalano le esperienze che vivo direttamente, di come mi fanno crescere giorno dopo giorno.
B: Qual è la fascia di età che ha capito meno il disco, secondo te? I giovani o i più adulti?
G: Gli ascoltatori più adulti secondo me hanno un po’ perso il vero significato del disco, ovvero la descrizione di un periodo di cambiamento che ho vissuto negli ultimi tempi, le nuove sfide che ho incontrato, il passaggio da una realtà emergente e underground a una più professionale. Magari si aspettavano che, essendo un disco ufficiale, i vari brani sarebbero stati più tematizzati: un pezzo che parla di questo, un altro che parla di quello, fino ad arrivare a coprire tutti gli argomenti “obbligatori” all’interno di un album di rap italiano. Io così non so scrivere, mi spiace: non riesco a farlo a comando.
B: A proposito di nuove sfide, qual è l’aspetto che ti ha più colpito finora, nella vita del musicista professionista?
G: Sei spinto a porti in maniera diversa nei confronti del lavoro, anche perché c’è tanta gente che lavora per te e con te. Mi sento in dovere di dare sempre il massimo e di non lasciare nulla al caso, in modo che non ci siano imprevisti: credo che questo sia il procedimento che funziona di più in assoluto, in termini di resa finale.
B: Parlando di lavoro: nel tuo ultimo singolo Quando mai dici che la gente si fa comprare dagli stipendi. Uscendo con un brano del genere, in un periodo di crisi in cui spesso uno stipendio è un miraggio, c’era il forte rischio di essere fraintesi o criticati…
G: Con quella frase intendo dire semplicemente che molti danno la priorità al denaro, rispetto ad altri valori. Secondo me dare troppa importanza ai soldi è sbagliato, perché si finisce per vivere solo in base a quello: diventi uno di quegli automi che si alzano la mattina e vanno a dormire la sera esclusivamente in base al lavoro. Non credo sia una buona cosa, crisi o non crisi. Tra l’altro il pezzo in questione l’ho scritto un paio d’anni fa, quando ancora non eravamo in una situazione così nera, anche se naturalmente in Italia i problemi ci sono sempre stati. Scrivendo quelle liriche volevo spezzare una lancia a favore di quelli che sono un po’ più istintivi e ancora hanno il coraggio di agire per ragioni diverse, rispetto al proprio tornanconto economico.
B: Il tuo è uno dei sound più identificabili del panorama rap italiano: è difficile confonderlo con quello di un altro, o anche solo paragonarti a qualcun altro. Come l’hai costruito?
G: La risposta è semplice: in Italia l’80% dei rapper ha iniziato ascoltando le stesse cose, le solite. Io no. Pur essendo di Roma, non ho cominciato con i Colle Der Fomento né ho preso spunto da loro, anche se naturalmente li rispetto tantissimo. Ho ascoltato soprattutto rap underground americano, fin dall’inizio: Non Phixion, Jedi Mind Tricks, Eminem, Krazye Bone, Mystikal… Tutte realtà molto eclettiche e tecniche, con sound non proprio tradizionali.
B: Restando in tema di mc tecnici, tu sei molto bravo in extrabeat, che è diventato uno dei tuoi tratti distintivi più celebri. C’è un segreto per rappare in quel modo?
G: Non saprei. Io, però, fin da quando avevo 13 anni ho l’abitudine di scaricarmi i testi dei vari pezzi americani e di rapparli sopra la canzone, a mo’ di karaoke, come altri fanno con Ramazzotti. Lo facevo soprattutto con mc malati come Bone, Thugz’n’Harmony, Tech 9ne, Twista, che rappano in extrabeat a 200 all’ora. Pian piano ho imparato a distribuire bene le parole senza stare a pensarci troppo e a costruirmi delle solide basi in materia di flow: oggi mi viene molto spontaneo fare certe cose in extrabeat. E con questo sistema ho pure imparato bene l’inglese, il che non è male! (ride)
B: Un parere : qualche settimana fa abbiamo intervistato i Dope D.O.D. e, parlando del fatto che le loro liriche sono raramente menzionate nelle recensioni e nei commenti che si trovano in giro per la rete, loro hanno dichiarato che ormai nell’hip hop conta di più il sound rispetto ai testi, che nessuno calcola più. Tu come la vedi?
G: Io sono vecchia scuola in questo: per fare l’esempio con i Dope D.O.D., appena è uscito l’ultimo disco l’ho comprato su iTunes, ma solo dopo mi sono reso conto che avevo acquistato la versione senza booklet. Allora sono andato in negozio a ricomprarmi il cd fisico per avere i testi, perché secondo me Jay Reaper è uno dei rapper europei più forti degli ultimi anni. Sono d’accordo sul fatto che al giorno d’oggi nessuno parla più di un cazzo o quasi, ma continuo a preferire quelli che magari non hanno un sound patinato e appetibile, ma che scrivono liriche in cui tutti si possono rispecchiare, anziché solo parole onomatopeiche e scioglilingua.
B: Nella precedente intervista che hai rilasciato a Rockit raccontavi che tuo padre era un musicista…
G: Sì, esatto. Sono cresciuto in mezzo alla musica, anche perché tutti gli amici dei miei genitori bene o male suonavano. Lui suonava sia chitarra che pianoforte e cantava anche: fin da piccolo ho ascoltato moltissimi dischi, e capitava spesso anche di andare ai concerti tutti insieme. Pian piano mi sono reso conto che quel tipo di creatività mi piaceva moltissimo, e l’ho applicata al rap.
B: E, sempre in un’altra intervista di qualche tempo fa, dicevi che pur avendo mollato la scuola a 16 anni sei un grande fan di Nietzsche.
B: Quando mi chiedono delle mie letture tendo ad accennare sempre alle stesse: Nietzsche, Cioran, Pessoa, che sono quelli che mi rispecchiano di più. Nietzsche per il concetto di superuomo, e per la sua voglia di dare valore anche a cose non necessariamente materiali o concrete; Cioran e Pessoa per il dramma, che io apprezzo sempre molto. Hanno un modo di raccontare la guerra, la vita, la morte e l’amore che mi prende sempre tantissimo.
B: È raro parlare di libri in un’intervista incentrata sull’hip hop: secondo te i rapper dovrebbero leggere di più?
G: Non saprei, non vorrei avere la presunzione di dire che io leggo più degli altri, non sapendo quanto leggano gli altri… (ride) In realtà, tra l’altro, per me è difficile trovare un libro che mi appassioni davvero e mi catturi fino alla fine: spesso li mollo dopo una quarantina di pagine, perché mi stufano. Piuttosto preferisco rileggere all’infinito un romanzo già letto, ma di cui sono sicuro del valore. Per non parlare di quegli scrittori che sono chiaramente copie di copie di autori già esistenti, tipo Chuck Palahniuk: quelli non li tollero proprio. Sono sopravvalutati, di Bukowski ce n’è già uno ed era unico nel suo genere, non ha senso mettersi a riscrivere i suoi romanzi nel 2010… (ride)
B: Cambiando argomento, la stragrande maggioranza dei rapper che ottengono un contratto importante (e a volte anche quelli che vogliono ottenerlo) radunano armi e bagagli e si trasferiscono a Milano. Cosa che per un romano può rivelarsi un piccolo shock culturale. Lo farai anche tu?
G: Non credo che andrei mai a vivere a Milano, anche perché ormai non ce n’è neanche più il bisogno, visto che ci si arriva in tre ore di treno. Io ho vissuto a Roma per 25 anni e mi considero un po’ “sociopatico”, per così dire: sono convinto di avere qualche sindrome strana, anche se ancora non so quale! (ride) Voglio avere le mie piccole certezze: conoscere a fondo il mio quartiere, sapere chi è il tizio del bar sotto casa e via dicendo. Non cambierei mai una città bella e piena di stimoli come Roma, soprattutto per un’altra città italiana: tutt’al più me ne andrei a Berlino o ad Amsterdam, per cambiare del tutto aria.
B: Progetti futuri?
G: L’11, 17 e 24 luglio io, Ensi e Salmo suoneremo insieme a Roma, Milano e Torino per il Gran Turismo Tanta Roba, un mini tour collettivo in cui divideremo il palco per presentare l’etichetta. In generale le mie date sono in continuo aggiornamento per tutta l’estate, come potrete vedere su Facebook.
B: Niente vacanze, quindi?
G: Non moltissime, le infilerò quando potrò attaccandole ai vari impegni di lavoro. Ad esempio abbiamo appena finito di girare un video, e visto che i ragazzi che lo hanno girato vivono ad Amsterdam li raggiungerò lì per qualche giorno per assistere al montaggio, in una situazione di totale… “relax”, diciamo! (ride)