Clementino non è solo il pirotecnico freestyler che tutti abbiamo imparato a conoscere ed ammirare. E’ un attore, un intrattenitore, un rapper, un ottimo scrittore, e ciascuno di questi ruoli nasconde un caleidoscopio di sfaccettature differenti. Perfino la sua produzione discografica ultimamente si diversifica. Da una parte I.E.N.A., album solista lavorato con cura e lentezza e uscito per un’etichetta indipendente, Relief Records; dall’altra Non è gratis, in combo con Fabri Fibra, registrato nel giro di un paio di mesi e pubblicato tramite la major per eccellenza, Universal. Difficile stabilire se abbiamo intervistato proprio lui o il suo alter ego, la Iena; o forse tutti e due. Clementino è sfuggente, non nel senso che si sottrae alle domande, ma che ogni risposta ha molteplici livelli di lettura possibili; è talmente tante cose insieme che è difficile inquadrarlo in un unico fermo immagine. Anche se è un solista, in sé racchiude un’intera crew dalla vivace dialettica e dalle molteplici personalità. E in un paese in cui buona parte degli mc non valgono neanche mezzo artista, è un gran bel cambiamento. (A proposito, grazie anche ad Ensi che ha partecipato amichevolmente all’intervista!)
Blumi: Sei forse il primo caso di artista italiano che ha fuori contemporaneamente sia un disco underground che uno sotto major. Come si è venuta a creare questa situazione?
Clementino: Diciamo che c’è stato un po’ di ritardo nell’uscita di I.E.N.A.: il primo singolo è uscito quasi due anni prima, rispetto all’album. La mia musica è uscito nel maggio 2010 e a ottobre sarebbe dovuto uscire anche il disco, ma nel frattempo abbiamo deciso di dare priorità al progetto Videomind, facendo slittare l’uscita del mio solista. Nel frattempo ho conosciuto Fabri e abbiamo registrato Non è gratis, cosa che alla fine ha fatto coincidere la pubblicazione dei due lavori: I.E.N.A. era fuori il 19 dicembre 2011, mentre Non è gratis il 31 gennaio. Poco male: cavalchiamo l’onda! (ride)
B: A parte l’evidente presenza di Fabri Fibra in quello targato Rapstar, quali sono le differenze tra i due dischi?
C: Il Clementino che rappa in entrambi i dischi è sempre lo stesso; avrei potuto tranquillamente invertire le strofe presenti nei due progetti e sarebbe stata più o meno la stessa cosa. La vera differenza è stata il tempo. I.E.N.A. l’ho scritto in due anni, lavorandoci sopra con calma e facendo tutte le modifiche del caso; Non è gratis, invece, lo abbiamo scritto e registrato in due mesi, con scadenze strettissime. Spesso un pezzo veniva concepito e chiuso nell’arco di un solo giorno. Ovviamente io per primo noto che c’è una diversità sostanziale tra un album fatto con calma e uno registrato in un periodo molto limitato, ma credo che aver lavorato velocemente per Rapstar non sia stato un male: negli anni ’90 molti album nascevano così, con una crew che si riuniva in studio, preparava i pezzi e li incideva senza pensarci su più di quel tanto. Una modalità molto genuina, come il freestyle.
B: Com’è nato il progetto Rapstar?
C: Fabri l’ho incontrato quest’estate, quando è venuto a suonare all’Arenile di Napoli. Io ero nel pubblico, e a un certo punto lui ha salutato dal palco tutti i rapper della città, me compreso. Io non sapevo nemmeno che mi conoscesse, così sono andato nel backstage per presentarmi di persona e ringraziarlo: mi sono trovato davanti un ragazzo molto umile e simpatico, per niente montato. All’improvviso, mentre chiacchieravamo, mi ha proposto di fare un mixtape: il tempo di tornare a casa e mi era già arrivata una mail con alcuni beat! (ride) Dopo aver registrato i primi due pezzi abbiamo deciso di accantonare l’idea del mixtape e di fare un vero e proprio album, perché i pezzi erano una bomba ed era un peccato sprecarli per un prodotto in free download. Ci piaceva l’idea di fondare un vero e proprio gruppo: intanto perché, per la prima volta, un rapper del sud e uno del nord univano le forze, e poi perché Fibra non era mai stato in un gruppo insieme a un altro rapper…
B: A proposito, il nome Rapstar (per esteso, Fabri Fibra e Clementino sono Rapstar) è una citazione del celeberrimo Talib Kweli and Mos Def are Black Star?
C: In realtà no, anche se me lo hanno chiesto in tanti. Non era una citazione voluta, ma ovviamente il paragone mi piace, sono un grande ascoltatore di Mos Def e Talib. Il nome Rapstar è venuto fuori perché, visto che lui è quello che ha venduto di più in assoluto e io sono quello che ha vinto tutti i contest di freestyle, in qualche modo potevamo essere considerati le star del rap italiano. Il disco si chiama Non è gratis perché, sia nell’underground che nel mainstream, il successo non te lo regalano e necessita di molti sacrifici. Non solo nella musica, ma anche nel calcio, al cinema, ovunque.
B: Parlando di freestyle, tu sei salito agli onori della cronaca soprattutto come freestyler, all’inizio. Che ruolo ha adesso nella tua vita?
C: So che la risposta potrebbe stupirvi, ma ora come ora sono davvero stanco del freestyle! (ride) Quando avevo 18 anni giravo l’Italia da solo, su treni disastrati, per andare nelle altre città e partecipare ai contest. La mattina dopo a volte tornavo indietro, a volte passavo alla città successiva per fare un altro contest. A quell’età hai voglia di spaccare e di dimostrare a tutti quello che sai fare; oggi, però, ho trent’anni e la mia visione della musica è un po’ diversa. Il freestyle al momento è soprattutto parte dei miei live. Sfido me stesso, Clementino vs La Iena: puro intrattenimento, insomma. Un aspetto importantissimo del rap, che di questi tempi viene spesso dimenticato a favore dell’estetica: il cappellino che matcha con la maglietta, il collanone, il pitbull… E magari rappi da 2 anni e parli di argomenti interessanti giusto per i bimbiminkia, ma pretendi di essere trattato allo stesso livello di quelli che si sbattono da 10 o 15. È come per un calciatore: se non sei capace, se non sei ancora esperto o se sei un raccomandato, non puoi pretendere di giocare nel Barcellona. Insomma, per farla breve, ora sto facendo Mtv Spit, ma è giusto per divertirmi, non m’interessa se verrò eliminato subito, anche perché sono il più vecchio lì dentro! (ride)
B: Leggenda vuole che sia più difficile, per chi fa tanto freestyle, realizzare delle strofe scritte…
C: Il freestyle è come un calcio di rigore: ti butti, puoi anche sbagliarlo, non c’è niente di strano in questo. Scrivere un pezzo, invece, è totalmente diverso: puoi metterci anche una settimana, devi perfezionarlo. Conosco tante persone che in freestyle spaccano, ma quando scrivono non rendono, e viceversa. E tra l’altro non so neanche se abbia senso parlare di persone brave in freestyle o meno, perché basta smettere per due mesi per andare fuori allenamento e dover quasi ricominciare da capo. Comunque credo che il mio forte non sia tanto la poesia della scrittura, ma piuttosto l’impatto, soprattutto dal vivo. Anche perché io sono un attore e quindi sul palco ho un’attitudine diversa, rispetto a molti altri: ho studiato recitazione e lavorato in quell’ambito per anni, lo stesso in cui lavorano anche i miei genitori. Per me l’hip hop è questo: verità. Ciascuno è quello che è, e al limite interpreta. Quando durante un live gioco a fare il gangsta rapper non sono io ad esserlo, ma semplicemente mi calo nella parte.
Nel frattempo ci raggiunge anche Ensi. Difficile non approfittarne per chiedergli la sua in materia di freestyle…
Ensi: La cosa non è inversamente proporzionale, sia chiaro: non è che più sei bravo a fare freestyle, meno sei bravo a scrivere i testi. Non c’è una vera regola: più volte mi sono trovato a fare freestyle con gente che non l’aveva mai fatto e ha spaccato. Mi è capitato sia con Ghemon che con Gué, che abitualmente non improvvisano, e il risultato è stato straordinario. Ovviamente il freestyle è una cosa che funziona soprattutto dal vivo, perché è molto trasversale e ti permette di catturare anche il pubblico non hip hop: si tratta di cogliere il momento. L’altra sera, ad esempio, Clemente si è messo a fare rime sul fonico, sulle transenne, si è buttato al volo dal palco facendo contemporaneamente una rima su Hulk Hogan che si lancia dal palo del ring… Ed è una capacità difficile da acquisire.
B: Ensi, il tuo parere su Rapstar?
E: Sono rimasto piacevolmente colpito dal fatto che un personaggio come Fibra, che è ai massimi livelli della musica italiana mainstream, abbia deciso di fare un “passo indietro” e tornare alle sue origini, da vero fan del rap, con un prodotto fatto proprio per il pubblico rap. E oltretutto con uno come Clementino, che in quello che fa è ai massimi livelli. Non capisco granché quelli che hanno detto che Fibra aveva bisogno di riprendersi il pubblico dell’underground e quindi avrebbe pubblicato questo disco per convenienza: che se ne fa, uno come lui, del pubblico dell’underground? Non ha senso e non gli cambierebbe niente. E quando ascolti l’album, ti rendi conto che lo hanno fatto soprattutto per divertirsi. Non tutto l’album mi è piaciuto allo stesso modo – ad esempio gli esperimenti un po’ più tecnici ed elettronici, quelli dai bpm più elevati, in generale non li amo tantissimo – ma mi ha davvero convinto. C’è molto di Clementino in questo disco, e se un peso massimo dell’underground come lui (se di underground si può ancora parlare, visto che ormai il movimento è enorme) ha la possibilità di farsi conoscere anche dal pubblico generalista, è solo un bene, per quanto mi riguarda.
C: Un po’ come Mtv Spit, un progetto senz’altro mainstream, ma che permette di coinvolgere una serie di artisti underground assolutamente credibili, che altrimenti non avrebbero altrettanta visibilità.
B: Tornando sulla scrittura, Clementino, mi ha colpito molto il modo in cui i testi sono trascritti nel booklet di I.E.N.A. Tu effettivamente scrivi così, con tutti quei punti esclamativi tra una barra e l’altra?
C: Forse quando ho trascritto i pezzi (per tradurli dal dialetto, perché nel booklet abbiamo voluto mettere tutto in italiano) ho aggiunto i punti esclamativi per accentuare qualche frase, ma confesso che non me ne sono nemmeno accorto…
B: Restando in tema, molti mc napoletani preferiscono rappare in dialetto; tu, invece, sei arrivato alla conclusione di mischiarlo all’italiano…
C: A me piace usare entrambe le lingue, un po’ come i Cypress Hill che mischiavano spagnolo e inglese. Impossibile per me abbandonare il napoletano, che suona maledettamente bene sui beat ed è anche la lingua con cui ho iniziato a rappare. Ultimamente, però, sto riscoprendo l’italiano, che è molto musicale perché tutte le parole finiscono in vocale, come lo spagnolo. In generale, ascolto la strumentale e decido che lingua usare: mi lascio trasportare dal sound, per così dire.
B: Non si tratta di una scelta precisa come quella dei Co’Sang, quindi?
C: No, è diverso, perché i Co’Sang hanno sempre rappato in napoletano e poi a un certo punto hanno deciso di passare all’italiano per farsi capire da tutti. Io personalmente ho sempre mescolato le due cose. Secondo me, comunque, in generale questo tipo di scelta dipende tanto anche dalla lingua che parli tutti i giorni: se abitualmente ti esprimi sempre in dialetto, quando passi all’italiano sembra tutto meno naturale. Se invece parli anche italiano, e magari hai studiato, riesci a fare tranquillamente entrambe le cose.
B: Cambiando argomento, in I.E.N.A. sono presenti anche due featuring con R.A. The Rugged Man e Ill Bill. Come mai hai scelto proprio loro due?
C: Innanzitutto ci tengo a dire che non sono featuring dietro pagamento, anche perché gente come loro non fa featuring, a meno che non gli piaccia il progetto. Io ascolto i Non Phixion da sempre. Ho un debole per il loro modo di rappare – più a livello di flow che di contenuto, perché l’inglese non lo capisco – così, quando Ill Bill è venuto a Trento a suonare, mi sono presentato e gli ho proposto una collaborazione: lui ha ascoltato la mia roba e ha detto subito di sì. Il giorno dopo abbiamo montato microfono e hardisk nella sua stanza d’albergo e abbiamo registrato tutto. Idem per R.A. The Rugged Man: è venuto a suonare in Italia, sono andato a conoscerlo, lui ha accettato di lavorare con me e il resto è storia… (ride)
B: Sempre rimanendo sui brani di I.E.N.A.: in un genere musicale in cui tutti inneggiano alle legalizzazione – te compreso con Toxico – o raccontano tranquillamente di cocaina e altre amenità simili, è raro ascoltare un brano “antidroga” come Butterfly Effect…
C: Butterfly Effect parla dei ragazzini di oggi, che si calano droghe che io alla loro età non conoscevo nemmeno. Essendo io un ragazzo che viene dalla provincia di Napoli, crescendo il massimo a cui arrivavo era una canna. Quando sono arrivato a 28 e mi è capitato di spostarmi nelle grandi città, vedevo gente di 14 che si faceva di cose non avevo mai sentito nominare. Cocaina mischiata con la chetamina, MDMA, anfetamina… Venendo dalla provincia non sapevo neanche come cazzo erano fatte. È proprio un butterfly effect: parti per un viaggio e il giorno dopo non sai neanche come sei arrivato lì e perché. Insomma, quel pezzo è un no alla droga, ma non uno slogan da manifestazione. È più che altro una riflessione sullo stato delle cose: se io sono arrivato a trent’anni prima di scoprire dell’esistenza di questa roba, mentre loro la usano praticamente fin da bambini, come ci arriveranno, a quarant’anni? Non li conosciamo, gli effetti a lungo termine. Toxico, al contrario, parla del fumo e della creatività che ti scatena dentro: sono del tutto favorevole a quel tipo di droghe leggere, se non si fosse capito! (ride)
B: Parliamo invece di Rapstar, un progetto che molti hanno salutato come un evento eccezionale e che molti altri, invece, hanno bollato come “una trovata pubblicitaria”. Ormai è uscito da un mese abbondante: ti è sembrato che la scena rap italiana lo abbia recepito nel modo giusto?
C: Dipende: di che scena rap italiana parliamo? Nella classifica hip hop/rap di iTunes siamo stati primi per giorni, nella classifica FIMI anche. Magari c’è anche chi lo ha scaricato per curiosità, non dico di no, ma a me sembrano ottimi risultati. Non so se hanno capito quello che volevamo fare o no, ma il giudizio della gente mi preoccupa poco. Ad esempio, ho visto che sullo stesso portale recensivano I.E.N.A. in maniera entusiasta e Rapstar come un prodotto molto fiacco. E il recensore era sempre lo stesso (il portale era Rockit e il recensore Enrico Piazza, ndr). In questi casi, chissà, magari Fibra ha insultato la sorella del giornalista in qualche pezzo ed è per quello che il disco non gli è piaciuto… Io non lo posso sapere! (ride)
B: Se dovessi spiegare questo progetto a un alieno piovuto dal cielo?
C: “Ciao, noi ci chiamiamo Clementino e Fabri Fibra, facciamo un genere musicale che si chiama rap, lui è quello che ha venduto di più registrandolo, io sono quello che ha vinto di più improvvisandolo. Abbiamo realizzato insieme un disco che parla di varie tematiche, dai problemi sociali alle ragazze”.
B: Curiosità: come avete scelto i beat, che sono stati uno degli aspetti più discussi di Non è gratis?
C: I beat sono all’80% opera di dj Nais, e il restante 20% di Shablo, Deleterio e Tayone. Li abbiamo scelti direttamente in studio, in maniera molto naturale. Però Fibra, che è molto più veloce a scrivere, arrivava sempre prima di me: mentre io stavo ancora finendo la mia strofa sul pezzo precedente, lui sceglieva la strumentale successiva e cominciava a scrivere su quella! (ride)
B: Sempre ascoltando i commenti in giro, molti hanno l’impressione che in questo disco tu ti sforzi di essere un po’ meno tecnico e comprensibile, mentre Fabri cercherebbe di essere più tecnico e criptico. Che ne pensi di questa analisi?
B: Mah. Premesso che, se mi mettessi a leggere o ad ascoltare tutti i commenti che sento, non andrei più a casa, che cosa posso rispondere ad una rilevazione del genere? C’è una differenza abissale tra un pezzo come La luce, in cui parlo in maniera tranquilla e aperta del mio passato, e un tecnicismo come Chimica brother, fatto apposta per gli appassionati di rap. Non è che ci sia uno standard unico, nell’album: ci sono pezzi in cui io sono più tecnico e Fabri meno e, viceversa, pezzi in cui io sono più aperto e Fabri più tecnico. In ogni caso non è mai stata una cosa studiata a tavolino. Personalmente, questa esperienza di Rapstar mi ha molto arricchito, e in particolare ha arricchito il mio live con nuovi pezzi potenti da suonare. Io ne sono davvero contento. Non sto a farmi grandi analisi o problemi di sorta.
B: Ti riporto un’altra voce che gira: dicono che per la tua prima apparizione a Mtv Spit, anziché fare freestyle, tu abbia utilizzato una strofa già scritta, edita anche in un pezzo con Rocco Hunt. Confermi, smentisci…?
C: Chi lo sa, com’è andata… In realtà La Iena era a Salerno a scrivere il pezzo con Rocco Hunt, mentre Clementino faceva freestyle a Mtv Spit. Quelle rime le hanno partorite loro due insieme, nello stesso preciso momento! (ride) Solo Dio sa la verità. Magari la strofa per Rocco Hunt mi piaceva talmente tanto che l’ho usata anche per Mtv Spit. O magari mi piaceva talmente tanto il freestyle che ho fatto per Mtv Spit che l’ho usato anche nella strofa per Rocco Hunt.
B: Ho capito, cambiamo argomento! Riguardo ai live, ci sarà un tour Rapstar?
C: Per il momento mi sto occupando del mio tour solista, in collaborazione con Big Picture Mgmt (fondata da Paola Zukar, gestisce anche parte dell’attività dell’etichetta Tempi Duri, ndr). Partirà a maggio e andrà avanti fino a fine estate.
B: A proposito, toglimi una curiosità: al momento, qual è la tua situazione contrattuale?
C: Diciamo che sto cercando di gestire il filone underground e quello mainstream in parallelo: il mio tour, ad esempio, è organizzato in buona parte dalla Universal, ma Relief sarà coinvolta massicciamente in tutto il processo. Lasciamo che siano loro a gestire la cosa, comunque. Ognuno fa il suo mestiere: il mio è quello di fare rap e salire sul palco, per il resto non voglio preoccuparmi di nient’altro, neanche di contare i soldi alla fine! (ride)
B: Il progetto Videomind, invece, avrà un seguito?
C: Assolutamente. Il progetto Videomind è una grande famiglia, Paura è perfino il mio vicino di casa! Ci siamo momentaneamente fermati perché non ci sembrava il caso di fare uscire un terzo disco in contemporanea agli altri due che ho fuori…
B: Progetti futuri?
C: A livello di registrazioni per ora sono fermo, ma sicuramente ho intenzione di fare uscire sia un nuovo disco solista che un altro targato Videomind. Come minimo si parlerà di settembre 2012, però. Riguardo ai progetti già fuori, invece, abbiamo intenzione di continuare a sfornare nuovi videoclip. Qualche giorno fa è uscito quello di Rovine, con Mama Marjas, girato tutto sull’Etna. Per Rapstar invece abbiamo già terminato le riprese del video di La luce, filmato all’alba a Nola, il mio paese natale.