Fernando Alonso è il titolo del disco d’esordio ufficiale di Masamasa, un nome che circola nell’ambiente da qualche anno, ma che aveva come lacuna proprio la mancanza di un progetto ufficiale. Ora il disco è arrivato, e con lui un amalgama di sonorità, atmosfere e stili, ossia proprio il marchio di fabbrica del giovane artista, che sta stretto nella definizione di “rapper”, ma che in realtà sta stretto in qualunque definizione. Tranne in quella che si dà con Fernando Alonso.
Riccardo Primavera: Il tuo nome circola nell’ambiente da più di due anni ormai, ma il tuo disco d’esordio arriva solo oggi. Come mai hai deciso di aspettare così a lungo, prima di pubblicare il primo album ufficiale?
Masamasa: Mia nonna dice sempre che per il ragù buono ci vuole tempo (ride). Comunque avevo solo bisogno di creare la mia isola di pace per esprimere davvero tutto quello che avevo in testa.
R.P.: È difficile catalogare la tua musica, e per certi versi non ha neanche senso. Tu ti definisci un rapper, o qualcos’altro? Che rapporto hai con queste “etichette” che vengono attribuite a musica e musicisti?
M.: A me le etichette non causano nessun disturbo, anzi mi divertono: non mi sarei mai aspettato che mi cucissero addosso determinate ispirazioni o generi musicali. Io esprimo le mie follie per conto mio, se poi riescono ad entrare in determinati mondi ben venga, però non riuscirei mai a fare due canzoni uguali.
R.P.: Fernando Alonso esce in un periodo molto particolare, tanto per il mercato discografico, quanto per l’umanità in generale. Come hai vissuto gli ultimi mesi? Cosa ti hanno lasciato addosso?
M.: Per fare questo disco, che ho composto nel 2019, mi sono isolato per quattro mesi senza social e senza una piattaforma moderna per ascoltare musica: in sostanza una quarantena prima della quarantena. Paradossalmente il lockdown ha reso più centrati molti argomenti del mio disco: la solitudine, le incomprensioni familiari, le amicizie perse etc. Tutti temi su cui le persone hanno avuto tempo di riflettere. Ho sofferto molto i live che saltavano giorno dopo giorno, ma tutto sommato sono stato bene: ho sperimentato nuove alimentazioni, ho ascoltato tantissima musica e ho comprato una Playstation.
R.P.: “Siamo una generazione di piloti pieni di talento, ma senza un’auto valida; come succedeva a Fernando Alonso”: con queste parole parli della scelta del titolo del disco. La tua è una visione molto positiva riguardo una generazione vittima invece di una perenne gogna mediatica, per i motivi più disparati. Secondo te perché la società fa così fatica – o non vuole – riconoscere il potenziale di questa generazione?
M.: Penso che sia la generazione più esclusa di sempre, almeno in Italia. Siamo totalmente fuori da tutto, siamo nati giovani in un paese di vecchi che parla ai vecchi. Delle volte pur di sentirci parte di qualcosa, ci facciamo carico delle loro battaglie e parliamo di cose che nemmeno sappiamo. Dalla rivoluzione digitale in questo paese non è nato assolutamente niente. La grande bellezza per noi sono solo racconti e un titolo di un film. La gogna mediatica è normale, stiamo combattendo la grande bellezza con grande intelligenza, ci riusciremo.
R.P.: Il disco a livello di sonorità spazia in maniera piuttosto trasversale: quali sono state le ispirazioni più grandi?
M.: Mi sento di dirti soltanto Pino Daniele. Ho ascoltato di tutto, paradossalmente non avendo piattaforme musicali online, ho ascoltato un sacco di musica: dai dischi di mio padre ai carri popolari dei paesi limitrofi alla mia città. Mi racconta sotto tutti i punti di vista, faccio difficoltà a dirti artisti o generi a cui mi sono ispirato.
R.P.: Mescoli rappato e cantato con naturalezza, senza timore di uscire dai canoni standard del genere. Quand’è che hai capito che con la voce potevi “andare oltre” al rappato?
M.: Qualche anno fa, prima non avevo mai cantato e pensavo di avere una brutta voce. Un giorno stavo scrivendo un ritornello ad una cantante e per farglielo sentire ho usato l’autotune; il brano suonava molto più fresco di quello che immaginavo. Da allora ho iniziato ad usare la mia voce come uno strumento musicale, da manovrare e distorcere in tutti i modi.
R.P.: Hai optato per non inserire nessun featuring in Fernando Alonso, nonostante probabilmente avresti potuto coinvolgere molti artisti di spicco della scena. Avevi bisogno di realizzare un disco fortemente personale, o i motivi sono altri?
M.: Ci ho riflettuto parecchio durante l’ultima parte di realizzazione del disco. Poi mi sono ricordato che è il mio primo disco, devo esserci io ed è giusto iniziare a camminare da soli.
R.P.: Lanciare un disco in un momento in cui non lo si può portare sul palco, rende le cose sicuramente più difficili; hai già in programma degli eventi ad hoc per portarlo dal vivo, oppure no?
M.: Qualche data è stata confermata, sempre col beneficio del dubbio. In realtà questo disco è perfetto per questo periodo: io amo i live ma amo anche reinventarli da zero, cosa che mi toccherà fare per i prossimi eventi.
R.P.: Sempre parlando della metafora che dà titolo al disco, parli della musica come “la mia corsa”: corri in direzione di un traguardo, o per ora vuoi solo goderti l’ebrezza di correre? Qual è il sogno nel cassetto musicale di Masamasa?
M.: Per ora corro e basta, sento che ho fame ma non capisco di cosa. Voglio di sicuro un posto tra i migliori ma sono consapevole che dovrò sudare tantissimo, magari non è questo l’anno però so che arriverà.