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Missey: l’intervista

09-03-2020 Riccardo Primavera

Missey: l’intervista

Classe ’95 originaria di Foggia, Missey è la nuova, giovane scommessa di Totally Imported. La sua voce peculiare danza sulle note dell’r’n’b, del soul e della trapsoul, amalgamando sonorità black con strumentali al passo coi tempi, curate da alcuni dei producer più interessanti del panorama italiano. Basti pensare che tra i credits figurano Lvnar e Iamseife, nomi legati al successo recente di Mecna, ma non solo.

Abbiamo incontrato Missey per scoprire qualcosa in più su Prima parte del celeste, il suo EP d’esordio.

Riccardo Primavera: L’r’n’b e diverse sfumature del soul, declinate su sonorità contemporanee, la fanno da padrone in questo EP; si tratta di influenze che non si sentono troppo spesso nella produzione di un’artista poco più che ventenne. Quali sono state le tue ispirazioni musicali principali?
Missey: Le mie ispirazioni principali sono state di diverso tipo, sono passata dalla prima Lady Gaga a Bjork, poi ho scoperto Erykah Badu, Lauryn Hill, mi sono innamorata di Janelle Monae e infine mi sono tanto ispirata a Solange e tutti quegli artisti neo-soul super eleganti, delicati ma con un uso della voce molto incisivo, come anche Sampha, NAO e FKA Twigs in chiave più sperimentale, che hanno dato l’impronta decisiva al mio sound.

R.P.: In un periodo storico in cui la musica spesso rischia di appiattirsi su se stessa e seguire sempre lo stesso trend, hai scelto di seguire un sentiero che musicalmente è molto poco battuto in Italia. Cosa pensi serva al nostro paese per colmare il gap, da questo punto di vista, con altri mercati, come quello americano o inglese?
M.: Credo che per colmare questo tipo di gap, bisognerebbe dare lo stesso spazio – o quanto meno generare più curiosità – ai mondi ancora poco scoperti in italiano, come anche il mio. Senza soffermarsi troppo su una distinzione di generi, né tanto meno sulla scoperta di un personaggio da duplicare in maniera asettica, senza una vera spinta innovativa.

R.P.: In Prima parte del celeste hai lavorato con diversi produttori, e spuntano nomi di spicco come quelli di Iamseife e Lvnar. Come sei entrata in contatto con loro? Cosa ti hanno trasmesso queste collaborazioni?
M.: Ho conosciuto in situazioni differenti e casuali i diversi producer che hanno lavorato all’interno dell’EP. Con alcuni, come Iamseife, Lvnar, Omake e Shune, la conoscenza è nata proprio con la volontà di creare un brano insieme e abbiamo condiviso l’esperienza in studio. Mentre con Laden Patiens o i B.W.B. è partito tutto in maniera assolutamente casuale, senza esserci visti dal vivo mai prima: ho ricevuto un beat, ho sentito che aveva smosso qualcosa dentro di me, mi ci sono subito identificata e siamo partiti da subito con le demo. Li ho adorati tutti, con le loro diverse sonorità hanno fatto sì che per me la scrittura di questo EP fosse un flusso, dinamico e naturale, perchè ricco di tante sfumature di me.

R.P.: Nella tua produzione, le liriche hanno la stessa importanza delle linee melodiche, tendi a non sottovalutare alcun aspetto della tua musica. Cosa ispira le tue liriche? Preferisci una narrazione autobiografica, o racconti anche storie che non hai vissuto in prima persona?
M.: La melodia che nasce poco prima, ispira le mie liriche, mi suggerisce il mood; poi decido che un determinato verso va bene, e – come si nota – la malinconia fa spesso da padrona dei miei pezzi. La narrazione autobiografica sorge spontanea, eppure sin dall’uscita dei primi singoli ho scoperto che tantissime persone si erano identificate nelle mie liriche, molti mi hanno confessato di aver preso l’abitudine ad ascoltare ogni nuovo pezzo che pubblicavo, perchè sicuri che avrebbero ascoltato il racconto di un’altra loro esperienza, di un altro loro pezzo di vita; questa è forse la cosa più bella che mi sta dando questo EP. Tuttavia mi piacerebbe e mi incuriosirebbe in futuro immaginare di lavorare ad un brano in maniera differente, senza quel tocco personale autobiografico, ma sviluppando un vero e proprio studio tecnico a me nuovo, aspetto il momento in cui me lo suggerisca la melodia giusta!

R.P.: Hikkikomori è un brano che mi ha colpito sin dal titolo, per poi stregarmi con le sue sonorità. Forse è il più atipico dell’intero progetto, anche in virtù del fatto che è l’unico ad ospitare un featuring, quello con Canntona. Com’è nato questo pezzo?
M.: Hikikomori è nata per essere il pezzo più atipico dell’EP, per questo doveva essere l’ultimo, la chiusura più diversa che potesse mandare in confusione, rispetto a ciò che si era sentito in precedenza. Avevo dalla mia Canntona e OMAKE, produttore del beat, due personalità che hanno una visione stessa della musica atipica: amano sperimentare e non hanno paura di omettere, nascondere, di accennare, loro rischiano per plasmare e condividere la loro personale idea sonora di realtà. Quindi li ho bloccati e scelti fin da subito, OMAKE mi chiedeva spesso quanto oltre potesse spingersi nel beat, aveva paura fosse troppo cupo, troppo lontano dal mio mondo, ma io non avevo problemi; gli ho dato carta bianca, lui avrebbe sviluppato un tema grave, fatto di tanti bassi, e io ci avrei messo sopra una voce acutissima – nessuno l’aveva già fatto, quindi avrebbe funzionato. Allo stesso modo Canntona ha trasmesso la sua visione, ha intrecciato le sue rime attorno a immagini e descrizioni che mi hanno fatto viaggiare, anche lui carta bianca, perchè sapevo che anche lui non avrebbe fatto altro che spaccare sul beat. E l’ha fatto. Sono fierissima di Hikikomori.

R.P.: Come ti immagini l’ascoltatore tipo della tua musica?
M.: In perenne sfida con sè stesso, alla ricerca di un’idea che gli cambi la vita, incasinato ma in movimento.

R.P.: Che messaggio vuoi trasmettere a chi ascolterà Prima parte del celeste?
M.: Vorrei trasmettere determinazione, perchè se non ne hai non farai niente, nessuno a parte te può convincerti e inserirti nelle situazioni che desideri. Vorrei trasmettere anche pazienza però, perchè ci sono momenti in cui non è salutare pretendere troppo da sè, perchè a volte dovremmo guardarci allo specchio e volerci bene anche se ci vediamo stanchi. Infine vorrei trasmettere l’amore e la cura per i dettagli, per le piccole cose: il primo pezzo mai cantato dal vivo circa 6 anni fa è stato Victory di Janelle Monae, e il verso “To be victorious, you must find glory in little things” mi segue da allora, da quando le cose erano davvero davvero piccole, ma soddisfacenti e appaganti come adesso che son cresciuta. Bisogna cercare e amare i dettagli per scoprire e scrivere delle diverse sfumature della bellezza, dell’arte, della natura e della “gloria”.