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Nerone: l’intervista

09-09-2019 Marta Blumi Tripodi

Nerone: l’intervista

Ci sono nomi su cui i beninformati puntano gli occhi da tempi non sospetti, che rimbalzano tra i veri appassionati di rap, che generano grandi aspettative e che hanno immenso potenziale di crescita. Tra tutti questi nomi, sicuramente quello di Nerone è uno dei più ricorrenti negli ultimi anni. Cresciuto artisticamente a Milano, comincia con il freestyle ma non si ferma certo lì, anzi, il meglio lo dà quando comincia a pubblicare veri e propri album, tra cui quest’ultimo, Gemini, uscito poco prima dell’estate. Ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con lui. (Continua dopo la foto)

Blumi: Anche tu, come molti altri colleghi, vieni dal mondo del freestyle e quindi ti sei trovato, a un certo punto della tua vita, a combattere con lo stereotipo del “rapper da punchline e basta”. È una cosa che ti dà fastidio?

Nerone: Sto provando a fare capire che c’è molto di più oltre a quello, e mi sembra di fare un buon lavoro, anche se chiaramente i giudizi devono arrivare da fuori, non posso dirmi bravo da solo. Anno dopo anno, comunque, mi sembra che il messaggio stia passando, per fortuna.

B: Il sound del disco è molto coeso, anche per via del fatto che hai scelto di lavorare solo con due produttori, 2P e Paolo Adma…

N: Sono amico di dj 2P da tanti anni, e lui ne capisce davvero molto, anche molto più di me: capisce cosa può funzionare e cosa no, anche perché è un musicista vero e proprio, quindi sapevo che sarei stato in buone mani: scommessa vinta! (ride) Abbiamo fatto un vero e proprio disco rap, senza metterci prima a decidere a tavolino le sonorità, perché la nostra priorità era quella. Ci abbiamo buttato dentro qualcosa che suonasse reggae, qualcosa che ricordasse la trap, qualcosa di più hip hop, ma le tracce sono tutte rappate, quindi non correvamo il rischio di sembrare fuori fuoco. Anzi, paradossalmente le uniche tracce in cui canticchio un po’ di più sono proprio quelle con beat più classici, tipo Come un boss: è una cosa che abbiamo fatto apposta.

B: Ecco: per te qual è il disco rap per eccellenza, quello che quando ci pensi dici “vorrei aver fatto io un album così”?

N: Eh, bella domanda! Non saprei sceglierne uno, e non mi va molto di citare altri italiani. In questo momento però mi piace molto Commando di Niska, ad esempio, un disco in cui si rappa tanto ma che ha delle sonorità molto all’avanguardia: lui ha origini africane e ha portato molta afrotrap all’interno del suo lavoro, un sottogenere che suona da Dio quando è fatto bene.

B: A proposito di sonorità all’avanguardia, pezzi come Tre Goal sembrano assolutamente riusciti e originali, e non un copia-e-incolla di tendenze sentite altrove. Come vi è uscito?

N: Essendo italiani abbiamo sicuramente un’intenzione diversa sui beat, quindi anche sull’afrotrap, che alla fine è abbastanza quadrata come sottogenere, siamo riusciti a costruire qualcosa di un po’ diverso. Anche perché, oltretutto, ci abbiamo rappato sopra, non è stata la solita trappata. (Continua dopo il video)

B: Gemini, oltre al concetto di doppio, riprende anche una tendenza che era classica dei primissimi dischi rap, da Rapper’s Delight della Sugar Hill Gang ad Aquemini degli Outkast: quella di fare riferimenti al proprio segno zodiacale. Era un omaggio voluto alla old school?

N: C’è anche un disco di Macklemore che si chiama Gemini! (ride) No, è semplicemente che sono dei Gemelli, e anche se non capisco niente di oroscopo so che la caratteristica del segno sono gli opposti: genio e sregolatezza, ordine e disordine… E non a caso nell’album c’è un po’ di tutto, partendo sempre dalle situazioni che vedo e conosco da vicino. Sono partito da un album intitolato Max, che è il mio nome, e poi sono arrivato a Entertainer, che è il mio lavoro, e ora Gemini mi sembrava un buon modo per continuare la serie.

B: A proposito di esperienze personali, in Piacere Max non si capisce bene se è uno scherzo o se effettivamente soffri di deficit dell’attenzione, come sembrerebbe suggerire un po’ di materiale stampa uscito su di te…

N: Non a caso era un pezzo che inizialmente volevo togliere dall’album, perché non sapevo se sarebbe stato capito! (ride) La verità invece è che tutti ci si ritrovano, perché a chiunque capita di non ricordare le facce e quindi di presentarsi più volte alle persone. O almeno, a me capita sempre, perfino con gente con cui in passato ho lavorato!

B: Nell’album hai dei featuring molto importanti come Gemitaiz, Ensi, Egreen e Jake La Furia: come li hai scelti?

N: Sono persone che conosco da tanti anni e a cui voglio bene, e fortunatamente sono anche dei fortissimi rapper, sempre disponibili a fare strofe e a mettersi a lavorare anche con chi magari ha meno visibilità di loro. Non è una cosa scontata, io sono cresciuto con tanti artisti con cui oggi è impossibile rapportarsi perché “devi parlare con il mio manager”. Per fortuna però esiste ancora chi se ne sbatte la minchia, ama la musica e vuole farla con quelli con cui sta bene e la sa fare. E infatti credo si senta che ci sia parecchio affiatamento tra di noi.

B: Infatti: com’è per uno come te, che è in giro da molti anni, vedere che la passione di una vita si trasforma in un business, nel bene e nel male?

N: Nel tempo ho visto molti che si sentivano arrivati e all’improvviso cambiavano. Da un certo punto di vista è giusto, perché se vuoi lavorare ed essere competitivo in un mercato, devi andare dove sta il mercato. Oppure potresti diventare tu il mercato, imporre te stesso e la tua musica, cosa secondo me preferibile: c’è chi ci ha provato e ce l’ha fatta, c’è chi non ci arriverà mai, c’è chi non ci prova proprio. Ognuno fa le sue scelte, io non giudico. La cosa che mi dispiace, della situazione attuale, è che un sacco di gente pensa di poter fare il rapper per lavoro senza dover passare per nessun tipo di sbattimento, di allenamento, di gavetta. Una volta erano tutti dj, poi tutti tatuatori, poi tutti fotografi, poi tutti youtuber e oggi tutti rapper.

B: In effetti…

N: Il prossimo step è tutti gamer, e magari l’anno prossimo toccherà a chi rutta più forte, chissà. A quel punto il rap magari non se lo cagherà più nessuno e quindi resteranno solo quelli bravi, che torneranno a farsi i cazzi loro in serenità. Mi ritengo fortunato, però, perché sono riuscito a ritagliarmi una nicchia e anche se tutto dovesse finire credo che riuscirei a rimanere comunque dove sono, a non essere spazzato via.

B: Sei sempre stato uno dei classici nomi da tenere d’occhio, una perenne next big thing, e le aspettative su di te sono sempre state molto alte, ma sei sempre rimasto molto underground sia come approccio che come pubblico…

N: Mi piace avere la stima di altri rapper, e dei numeri mi importa poco: se mai arriveranno, saranno una conseguenza di tutte le cose belle che mi stanno succedendo, e non viceversa. Preferisco godermi il percorso, altrimenti finisci in un loop di angosce per cui ti preoccupi per qualsiasi cosa. Ho ventotto anni e mi diverto, non mi va di correre dietro alle cose sbagliate, e quindi bella per la next big thing, spero di esserlo per i prossimi dieci anni!

B: Stai già pensando alle prossime mosse?

N: Ho già un po’ di idee, anche per il prossimo album: devo soltanto trovare un po’ di tranquillità per metterle a punto. Però come prima cosa vorrei portare un po’ in giro quest’album dal vivo, perché ne sono veramente orgoglioso e non vedo l’ora di portarlo sul palco. Il live è importantissimo per me, perché è il momento in cui mi rendo più conto che sto finalmente facendo quello che amo. Adoro tutto dei giorni in cui suono, dai viaggi in macchina fino all’aeroporto alla coda al gate. Da questa giostra puoi scendere da un secondo all’altro, non sai mai come finirà: devi goderti ogni momento sul palco come se fosse l’ultimo.