Quando lo scorso mese sono andato a trovare Axos per parlare di Corpus: l’amore sopra, sapevo che saremmo finiti a parlare di molto altro, oltre alla sua musica. L’unico dubbio che mi attanagliava era capire quanto ci saremmo spinti oltre, e in che direzione; era la nostra terza intervista, pensavo avessimo esaurito tutti gli argomenti possibili ed immaginabili. Nulla di più sbagliato, ovviamente. (continua dopo l’immagine)
Axos mi accoglie intento a fare qualcosa che descriverò come “modellismo con stuzzicadenti” – perdonami Andrea, ma una definizione migliore al momento mi sfugge -, rilassato, col sorriso beffardo di chi sapeva che mi avrebbe inondato di informazioni, idee, immagini, racconti. Corpus è un ep breve – contiene infatti solo 4 brani -, eppure incredibilmente denso di contenuti, riflessioni, affermazioni forti e provocazioni ricercate e raffinate. L’occhio critico – e a tratti nichilista – con cui Axos osserva il mondo non si lascia sfuggire troppo, non lesina giudizi, ma non ha del tutto perso la fiducia nel genere umano, a patto che quest’ultimo ritrovi la propria umanità, sepolta in qualche angolo recondito. Axos mi dice che il mondo del rap italiano ha messo a dura prova anche la sua di umanità, rendendo necessaria l’adozione di contromisure più o meno drastiche, poi riversate in musica. “Da una base buona ho sviluppato un botto di cattiveria, dalla cattiveria ho sviluppato l’arte e dall’arte ho sviluppato la controparte, quella più materialista, che è diventata una voce ulteriore nella mia testa”. Difficile biasimarlo, soprattutto se si è unanimemente considerati una delle penne più promettenti dell’intero panorama di un genere musicale sempre più sulla cresta dell’onda; l’industria non ha scrupoli e non si fa problemi ad azzannare alla gola, per spolpare quanto più possibile e abbandonare la carcassa sul ciglio della strada. Axos non sembra però preoccuparsene troppo, anzi; è filosoficamente in pace con se stesso, non ha intenzione di adattarsi e diventare una marionetta. “«Smetto se quello che faccio si fa me», che molto semplicemente significa che se ciò che sto facendo mi fotte a livello personale, smetto”. L’onestá – e un pizzico di spavalderia – sono colonne portanti della personalità di Axos, che però non pensa neanche che un giorno potrebbe trovarsi davanti a compromessi simili, poiché “ci sono degli artisti che hanno sempre seguito la propria identità e fatto dei numeri – vedi Marracash, Salmo, Nitro”. (continua dopo la foto)
La perenne ricerca di qualcuno che sia però un “personaggio” è una prerogativa della discografia moderna, convinta che la musica in sé non basti più, che sia la confezione a fare la differenza. Si deve essere spendibili anche in ottica comunicativa, l’artista dev’essere una figura di tipo “disruptive”, nel bene e (spesso e volentieri) nel male. “Non ritengo di “avere” un personaggio, mi hanno sempre detto “tu sei un personaggio di tuo”; la cosa all’inizio mi offendeva, poi ho capito che il mio modo di fare è in qualche modo interpretabile in quel senso. Inizialmente però detestavo questa cosa perché pensavo mi stessero dando del costruito, del finto”. Quando la forza comunicativa è però autentica, genuina, allora sì, è giusto sfruttarla o comunque renderla parte integrante della propria immagine. Ovviamente è molto raro trovarsi davanti personaggi simili, talenti rari in grado di splendere di luce proprio, senza il bisogno di qualcuno che li indirizzi, o peggio, che li manovri. Nasce quindi una sorta di necessità compulsiva di costruire il personaggio: “l’industria invece vuole creare dei personaggi, non vuole artisti che già lo sono, perché magari hanno qualcosa da dire e spiccano; se hai a che fare con molta gente, ti rendi conto che sono alla ricerca del personaggio costruito”. Axos non ribadisce questi concetti solo a me, si è premurato affinchè anche nella sua musica riverberasse questo messaggio, come in Herekè: “in tutto sto banale ho scelto un herekè, un tappeto pregiato: vogliono questo, vogliono quello, io invece ho scelto di premiare l’identità, la capacità, il talento. Punto alla genuinità e lo farò sempre, è il mio manifesto artistico”.
Un altro elemento ricorrente nella sua musica – tanto nei lavori passati quanto in Corpus – è l’amore. Un sentimento dalla potenza inaudita, narrato sin dall’alba dei tempi in ogni forma d’arte, la cui natura sfaccettata è stata però spesso ignorata. La continua esaltazione della natura fiabesca dell’amore, dell’happy ending, ha portato più generazioni ad idealizzare qualcosa che può in realtà rivelarsi tutt’altro. “L’amore non è un sentimento positivo, è un legame, come può esserlo un legame con qualsiasi cosa. È un insieme che contiene le centinaia di migliaia di sfumature della pazzia, della gioia e della tristezza. Vedo l’amore è per quello che è: tante volte è semplicemente frutto di un dolore”. Il dolore è infatti indissolubilmente legato all’amore, un binomio che cresce e si sviluppa di pari passo, ma che all’interno cela – come lo stesso Axos ha ricordato – una miriade di sfumature. Così tante da rendere effettivamente difficile, se non impossibile, trovare una definizione di “amore” in grado di contemplarle tutte. L’autore di Mitridate la pensa proprio così: “vedo l’amore un po’ come la libertà, non lo ritengo un termine “spiegabile”. Può essere tutto e può essere niente, ciò che lo è per me può non esserlo per qualcun altro, ciò che lo è per me al momento potrebbe non esserlo per me in futuro. È uno stato mentale, in tutti i sensi”. Un termine che può però essere ricondotto all’amore è senza dubbio “passione”. L’amore, tanto nell’interpretazione positiva quanto in quella più tragica, scatena una passione irrefrenabile, in grado di convertirsi in un carburante potenzialmente inesauribile. Possono nascerne slanci di gioia incommensurabili o tragedie indescrivibili, tutte alimentate dalle stesse sensazioni di partenza. “È un’illusione, un’insieme di sentimenti e reazioni chimiche e fisiologiche che ci portano ad una cosa sola, che è la passione. La passione è l’unica cosa che di fatto crea l’amore, e può essere positiva o negativa. Pensa alla passione di Cristo e poi alla passione per la musica”. (continua dopo la foto)
Sentimenti ed emozioni riecheggiano forti nella musica di Axos, accompagnati da forti e ripetuti rimandi ad una dimensione spirituale piuttosto concreta. La capacità introspettiva del rapper si lega infatti – con un fil rouge sottile ma al contempo appariscente – ad un piano astrale più grande del singolo, più grande di tutti, slegato dalla dimensione fisica eppure vitale per gli sviluppi di quest’ultima. Mentre ne parla, però, non sembra percepire il peso di tale consapevolezza, trovandosi a suo agio in maniera innata, spontanea: “il mio rapporto con la spiritualità è come quello che un bambino, cresciuto con il padre calciatore, ha con il calcio. Sono cresciuto in una famiglia che ha fatto della spiritualità il centro della propria vita da generazioni, soprattutto dal lato di mia madre. La vivo in maniera completamente naturale”. Non si tratta quindi del frutto di incredibili elucubrazioni mentali o di estenuanti sessioni di studio e auto convincimento. Axos non è stato indottrinato alla spiritualità, non vi si è rifugiato poiché alle prese con un periodo di smarrimento, di transizione. La spiritualità fa parte di lui, è allo stesso tempo colonna portante e dettaglio invisibile, una sorta di paradosso il cui fascino si dipana tra le righe della sua musica. “Io non ho intrapreso un percorso verso il mondo e la vita dello spiritualista, non sono uno spiritualista perché ci credo – io non credo in niente, se non vedo le cose. Siccome queste cose però le ho viste, fin da bambino, non ho bisogno di credere; sono consapevole dell’esistenza di un mondo spirituale”. (continua dopo la foto)
Mentre parliamo, cercando di scavare a fondo nella musica di Corpus, mi rendo conto di quanto la scrittura in questo ep sia incredibilmente diretta, semplice per certi versi – nell’accezione più positiva possibile del termine. La natura ermetica delle produzioni originali di Axos era allo stesso tempo un tratto distintivo e un limite, poiché metteva non poco in crisi gli ascoltatori, a tratti ossessivamente alla ricerca del vero significato di questa o quella frase. Un problema che sembra essersi posto anche lui, al quale ha cercato in un certo senso di rimediare. “Ho scelto di essere il più terra terra possibile, in maniera anche ironica, senza però perdere i concetti”: parla così di Dry, singolo che vede la collaborazione del cantante e producer siciliano John Lui. Lo sferzante sarcasmo non rende più dolce la pillola, ma fa sì che il messaggio centrale non rischi di andare perso. “Sono diventato un po’ più pragmatico. Mi sono reso conto che la maggioranza delle persone non vedono oltre ciò che hanno davanti agli occhi, ma soprattutto non glie ne frega un cazzo di farlo”, continua, “mi sono messo nella posizione di chi avrebbe anche bisogno di capire certe cose, ma finchè glie le metto in maniera troppo complicata non può farlo”. Quello che a tratti emerge dalle sue riflessioni sull’umanità è una disillusione di fondo, una rassegnazione sospirata, dovuta al fatto che gran parte del genere umano sembra essersi appiattito, ripiegato su se stesso, perdendo il contatto con la propria anima, aderendo in maniera meccanica e impersonale ad una società che finisce per svuotarli sin da subito. “Sono estremamente disilluso, ma la disillusione di fatto è soltanto un’armatura”, mi confessa, non senza un pizzico di rammarico, “siamo in tanti su questo pianeta, non siamo morti – anzi, ci hanno solo rafforzato a livello medico -, ma sulle anime proprio non ci siamo. Banalmente, siamo tanti, ma pochi “vivi”: non è una riflessione facile per una persona qualunque, per il tuo vicino di casa”. Riflessione che lui cerca perennemente di stimolare con la sua musica, con la consapevolezza di essere solo una goccia d’acqua nell’oceano; consapevolezza che però, alla resa dei conti, non fa altro che rafforzarlo e permettergli di mettere tutto se stesso nella sua musica, senza esclusione di colpi, senza remore. “Una volta che mi sono reso conto di quanto sono piccolo nell’universo, e dopo aver superato la para legata a questa rivelazione, ho finalmente capito che voglio concentrarmi solo sulla mia vita e sulla mia arte, per servire al meglio un fine superiore”.
Quest’ultimo spunto è anche quello con cui ci salutiamo, arricchiti ma un po’ esausti dalla chiacchierata, poiché il (tanto) tempo a disposizione è comunque finito. Sembrerebbe essere una costatazione piuttosto drastica sulla solitudine che avvolge noi tutti, piccole macchie di vita nell’infinitá dell’universo. Eppure Corpus, per Axos, è esattamente il contrario: “Corpus è il gruppo di persone – va infatti inteso non solo come “corpo umano” ma anche come “gruppo di persone”; l’elemento dell’unione, del “noi” in empatia, è più presente che mai. Non mi sono mai sentito così vicino ai miei fan”. Alla fine, forse, vince davvero la musica.
Il prossimo appuntamento con Axos è il 22 febbraio a Milano, per un live che si preannuncia indimenticabile.