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Emis Killa: l’intervista

06-12-2018 Riccardo Primavera

Emis Killa: l’intervista

Quando si parla dei migliori rapper italiani, il nome di Emis Killa viene troppo spesso ignorato, sia in termini qualitativi che quantitativi. Prodigio del freestyle sin da adolescente, penna affilata a colpi di punchline e incastri incalzanti, il rapper milanese ha guadagnato il rispetto della scena di palco in palco, di contest in mixtape. Ha macinato successi nella seconda parte del primo decennio dei 2000, grazie a singoli come Parole di ghiaccio, vero e proprio anthem per una generazione di adolescenti, nonchè uno dei più grandi successi del rap italiano pre-streaming. Dopo il passo falso – solo in termini numerici, qualitativamente resta un disco particolarmente valido – di Terza Stagione, Killa è tornato ai vertici del mercato infilando una serie di singoli di successo – Linda, Serio, Rollercoaster – per poi sublimare la risalita con Supereroe, album certificato oro dalla FIMI in poco più di un mese. Nonostante l’apparente leggerezza del lavoro, il disco cela diverse sfumature, più o meno provocatorie: abbiamo raggiunto il rapper per farcele raccontare, a pochi giorni dalla partenza di un tour che lo porterà in tutt’Italia, partendo da Milano (09/12, Fabrique) e Roma (12/12, Atlantico). (continua dopo la foto)

Riccardo Primavera: Giusto ieri Supereroe è stato certificato disco d’oro, in poco più di un mese e mezzo. Terza Stagione, il tuo lavoro precedente, aveva impiegato decisamente di più a raggiungere questo traguardo discografico; è cambiato di nuovo il mercato o è cambiato di nuovo il rap di Emis Killa?

Emis Killa: Direi la seconda. Il mercato in realtà non è cambiato molto, si è semplicemente convertito dalle copie fisiche allo streaming, per quanto riguarda l’utenza del rap, quindi non mi sento di dire che c’è stato un cambiamento di mercato – direi più un cambiamento di “location”, mettiamola così. La differenza penso l’abbia fatta il percorso che ho intrapreso dopo Terza Stagione, che come dicevi ha impiegato circa un anno e mezzo a diventare disco d’oro; è stato sintomatico del fatto che stessi prendendo una strada sbagliata rispetto a quello che avevo pensato per il mio percorso, per la mia carriera. Ho capito che avrei dovuto lavorare in un’altra direzione, di conseguenza mi sono chiuso in studio a cercare le soluzioni che fossero più coerenti col percorso fatto nel mio “periodo d’oro” – quando le cose mi andavano alla grande -, facendo al contempo però musica che mi piacesse.

R.P.: Quindi si tratta di un percorso partito prima di Supereroe?

E.K.: Sì, ho cercato di fare dei singoli, non dei semplici pezzi da album, e il fatto che siano diventati tutti dischi di platino secondo me lo testimonia. Linda, ad esempio, per certi versi è stato un ibrido, un po’ il precursore di quest’ondata latina in Italia. È nata in un periodo in cui ero particolarmente in fissa con le stagioni di Narcos su Netflix, che mi hanno ispirato nella scrittura; penso che ormai si possa dire che si tratta di un pezzo che si sviluppa sul parallelismo donna – cocaina. Serio invece è stato più orientato sulla trap, un esperimento con Capo Plaza, che era ed è uno degli esponenti più in voga di questo genere, soprattutto tra i giovani. Il pezzo è andato benone, l’hanno suonato moltissimo nei club e per certi versi mi ha riavvicinato ai più giovani. Poi è arrivata Rollercoaster, la ciliegina sulla torta, che mi ha fatto tornare in radio e ad una bella fetta del mio pubblico precedente, quello che magari mi conosceva per i singoli. Non direi che è stato tutto programmato, piuttosto abbiamo studiato tutto nei minimi dettagli, creando hyper per il disco. La tracklist di Supereroe ha poi contribuito – avevo dentro 6ix9ine, lui ha creato molta attesa, Fuoco e benzina come singolo è partito molto bene… Diciamo che è come se mi fossi dato una svegliata da solo.

R.P.: In sostanza hai fatto un lavoro di pianificazione più solido?

E.K.: Sì, diciamo che c’è stata anche più complicità con la casa discografica (Carosello, ndr). Terza Stagione è stato un album che ho concepito in completa autonomia, di conseguenza sposato molto meno – rispetto a Supereroe – dalla casa discografica, perché erano i primi a non crederci troppo. Era comunque un album molto rap, a parer mio molto bello ma sicuramente molto meno fruibili per quello che era il pubblico in quel periodo; cioè, se non ascolti il rap quel disco lo capisci a metà. Questa volta invece ci siamo trovati tutti più complici a lavorare.

R.P.: Apri il disco con Open Water, un brano che – soprattutto nella prima parte – ti vede metterti a nudo in maniera piuttosto sincero. Recentemente, anche Salmo in Playlist ha realizzato un brano simile, che lo vede svestire i panni del rapper di successo, come fai tu in questo pezzo. Quanto è difficile decidere di scrivere un brano del genere, soprattutto dopo una carriera costellata di successi e rivincite?

E.K.: In realtà per me non c’è una difficoltà emotiva, non mi viene difficile espormi – magari mi viene difficile scriverlo bene (ride). Essendo un genere di rap molto introspettivo, è uno di quei pezzi che non escono spesso, a meno che tu non sia un preso male, e in quel caso fai tutto il disco così. A me non verrebbe da scrivere una canzone come quella per dieci volte in un disco, al massimo me ne escono due; alla gente però piace quello, vedere i supereroi “umani”, è il motivo per cui in Italia funziona il gossip, perché così tutti possono sapere i cazzi degli altri. È come se venisse abbattuta quella barriera che separa i “comuni mortali” da quelli che fanno successo, come spiare dalla finestra e guardare dentro casa loro.

R.P.: Fuoco e Benzina è un brano fortemente autobiografico, il racconto della tua relazione. Per la prima volta vediamo un altro rapper accreditato come autore insieme a te, pur non trattandosi di un featuring, ossia Jake La Furia. Hai sempre ribadito – anche in conferenza stampa – che il suo rap ti ha accompagnato nell’adolescenza: com’è stato collaborare con lui ad un pezzo simile? È stato complicato descrivere a quattro mani una storia così personale?

E.K.: Il brano mi fu proposto proprio da Jake, perché a detta sua mi stava bene addosso e l’avrei potuto rifare in maniera credibile anche mettendoci del mio. All’inizio non ero convinto del brano, proprio perché, essendo molto fan di Jake da sempre, ci sentivo tanto lui anche nella mia versione; cosa che invece non succedeva agli altri quando facevo ascoltare loro il provino. Ti dico la verità: inizialmente mi sembrava così tanto una versione brutta del pezzo di Jake, che non volevo neanche metterla nel disco, mentre tanti mi dicevano che la mia versione era più bella dell’originale. La verità ovviamente sta sempre nel mezzo, però alla fine ho visto che il brano piaceva a tutti – lui compreso – e mi sono convinto che potesse essere un punto cardine del mio album. Riascoltandolo poi mi sono convinto anche io, arrivando a sceglierlo come singolo di lancio.

R.P.:Hai già accennato l’argomento parlando di Linda, ma vorrei approfondirlo proprio con una canzone di Supereroe, Cocaina, che ha tutti i crismi necessari a consacrarsi come uno street banger, dal beat alle barre, passando per il ritornello che entra in testa sin dal primo ascolto. Utilizzi la droga come metafora per descrivere una serie di situazioni, dando vita ad un’operazione neanche lontanamente descrivibile come un’esaltazione o un invito all’uso della sostanza. In Italia però sembra impossibile parlare di qualcosa che in realtà è ovunque, e quindi la cocaina viene trattata come un pessimo segreto di pulcinella e stigmatizzata nella musica: secondo te come mai?

E.K.: Eh, bella domanda (ride). Perché ti indottrinano così, fin da quando sei piccolo ti crescono con la convinzione che se fumi gli spinelli muori, quindi tutti imparano a nascondere i propri vizi. In realtà è un’ipocrisia mastodontica, la cocaina – come dico nel pezzo – è veramente dappertutto. Io ho frequentato tutti gli ambienti, partendo da quelli di strada per passare alle radio, la televisione, i party con gente benestante, i club, le discoteche dove si balla la techno: ti posso assicurare che una roba come la cocaina è ovunque, se la fanno tutti. C’è ZeroZeroZero, il libro di Saviano, che parla della cocaina: fa un’introduzione in cui spiega che la cocaina è letteralmente in ogni luogo, in ogni situazione; ed è vero. Non è una droga che ti sconvolge, a meno che non esageri non salta all’occhio, non è come gli acidi – a meno che tu non sia un altro che ne fa uso e allora lo sgami al volo. Agli occhi di uno che non ne fa uso però, una persona sotto cocaina ti sembra semplicemente loquace, entusiasta; è un po’ una droga insospettabile insomma. Io credo che tutti i nostri taboo siano dovuti alla chiesa, abbiamo il Vaticano in Italia, c’è gente che cresce indottrinata dalla religione – qualcosa che io personalmente non seguo, non pratico, anzi, per certi versi la vedo in maniera un po’ avversa. Non mi piace questo perenne negare ciò che la scienza dimostra con i fatti, oppure il fatto che l’atto sessuale venga definito il peccato originale; in un paese dove comunque la religione cristiana ti indottrina così, non mi stupisce che se qualcuno dice “droga”, tutti hanno una reazione sconvolta. La realtà però è che si fanno tutti e basta. (continua dopo l’immagine)

R.P.: In Donald Trump metti alla berlina la cecità del mercato radiofonico di fronte al rap, facendo riferimento al fatto che – tra le altre cose – sembrerebbero non vedere il monopolio del rap nelle classifiche Spotify. Qualche giorno fa invece Jay – Z, in una strofa presente nel nuovo disco di Meek Mill, recitava «We was praised in Billboard, but we were young, Now I look at Billboard like, “Is you dumb?”», lasciando forse trasparire un certo dissenso verso il tipo di rap che monopolizza le classifiche USA. Secondo te le classifiche – di Spotify, di Itunes, di Billboard – sono un metro di valutazione obiettivo della qualità intrinseca della musica?

E.K.: No, non sono utili a valutarne la qualità ma lo sono per valutarne la funzionalità, questo è il mio discorso, ed è una roba molto diversa. Io non dico che tutti i pezzi che sono in top 10 sono delle mine, anzi – su 10 pezzi magari 4 o 5, a volte anche tutti e 10, siano delle cagate; però non puoi ignorarli se sei una radio. Perché il Pulcino Pio, che era una cagata di canzone ma prima in classifica, la passavano tutti? Perché Andiamo a comandare di Rovazzi, che era un’altra cagata di canzone – con tutto il rispetto per Rovazzi che mi sta anche simpatico – la passavano tutti? Perché invece quando arriva il rapper con la canzone prima in classifica, nessuno lo passa? Allora c’è un’incoerenza di base, il rap è stato preso di mira. Cos’è che non ti piace? Il fatto che ci droghiamo, che spendiamo i soldi in vestiti – magari non il mio caso, non sono uno che ostenta troppo, parlo a nome del genere -? Cos’è di noi che in radio proprio non piace? Non riesco a capirlo, però non sembra esserci una via di mezzo. Non ti dico che devi riproporre in radio solo quello che c’è in top ten di Spotify, altrimenti ci sarebbe solo il rap; come dice appunto Salmo, che citavi prima, “in classifica solo i rappusi”. Ed è vero: ormai il rap è il genere più ascoltato in Italia, chiunque dica il contrario nega – o comunque è uno dei tre generi più forti, insieme all’indie e vabbè, ai mostri sacri del pop, ma quelli ci sono da una vita… E hanno anche un po’ rotto i coglioni (ride).

R.P.: In che senso?

E.K.: Il mio discorso è che bisogna prendere con le pinze tutto: quando cito Ligabue nel pezzo non ce l’ho con lui, è un’icona di quello che intendo. Ti faccio un esempio con Jovanotti, che a me piace molto e che probabilmente è il mio cantautore preferito in Italia: ora non è però che tutte le canzoni che fa Jovanotti sono belle. Non ti faccio lo stesso esempio con Ligabue che altrimenti poi è come sparare sulla croce rossa, ma io voglio spiegarmi meglio (ride). Ti sto facendo un parallelismo con un artista che stimo molto, perché ho sempre comprato i dischi di Lorenzo (Jovanotti, ndr) e sono andato spesso a vederlo in tour, è un personaggio che mi piace al 100%; è il mio ideale di artista in Italia, che si è evoluto ma continua a fare musica figa. Ti parlo di lui perché ogni tanto anche lui fa delle canzoni brutte, però in radio le passano lo stesso, perché l’ha fatta Jovanotti. Perché in radio se uno ha una certa credibilità sposi la sua causa a prescindere, senza valutarne la qualità, mentre magari musica di qualità ma senza numeri esorbitanti non viene passata? Tu, radiofonico di merda, svegliati, inizia ad usare la testa: mi sembra di essere rimasti indietro di più di vent’anni. In radio ci entrano sempre gli stessi nomi, oppure chi esce dai talent e si costruisce un minimo di credibilità, oppure il successo del momento; quest’ultimo, però – lo dice proprio il nome -, non può durare in eterno. Posso avere un anno in cui spacco il culo a tutti l’estate, ma l’anno dopo non è detto, anche perché ormai la concorrenza è abnorme. Io mi aspetto semplicemente che questi ascoltino il mio disco, riconoscano che dentro ci sono almeno due o tre pezzi che meritano di essere passati in radio, e passarli, niente di più; invece non passano niente. Ora in radio senti Salmo, ma perché in radio non sono del tutto scemi: sanno che è il personaggio del momento, per non attirarsi addosso l’antipatia del pubblico, lo passano – anche perché è primo in classifica. Lo stesso è stato fatto con Sfera Ebbasta, Coez e altri ancora. La verità è che a quelli delle radio – non tutti ma quasi – non gliene frega un cazzo di me, di Salmo o di Sfera; prendono i successi del momento e li passano. Se Salmo farà un disco che andrà meno bene, lo accantoneranno, a differenza di quanto fanno con i nomi dell’indie o del pop.

R.P.: Supereroe e Come fossimo cowboy hanno infatti diversi elementi che le rendono calzanti alla descrizioni di hit radiofoniche, dal grosso potenziale pop, e la tua fama come artista dovrebbe rinforzare questa posizione. Ciò però non sembra essere successo, e magari un pezzo dalle tinte diverse – come Rollercoaster – ha molto più successo degli altri due; come mai? Pensi sia cambiato il pop, oppure la versione italiana della trap sta letteralmente sostituendo il pop, per certi versi?

E.K.: Premetto che se devo scegliere tra il pop italiano e la trap proposta da uno Sfera o da un Ghali, scelgo centomila volta la seconda opzione, preferisco la loro musica a tutto il pop italiano, parlando a grandi linee; non saprei però rispondere alla tua domanda. Anche secondo tutto il mio team, Come fossimo cowboy era un pezzo perfetto per andare in radio, non capiamo come mai non lo stiano passando sinceramente, non capisco quale sia il meccanismo. Forse per loro ci sono troppe parole, forse semplicemente non gli piaccio io (ride). Non lo so, ad un certo punto arrivi proprio a pensare “ma magari gli sto sul cazzo io alle radio”.

R.P.: Sembra assurdo a tratti, anche pensando proprio a Supereroe, che ha anche quel messaggio positivo alla base che spesso cercano in radio.

E.K.: Ma guarda, quel pezzo già un po’ meno, perché tratta un tema un po’ meno mainstream. Come fossimo cowboy invece è un pezzo d’amore, con delle sonorità radiofoniche, che in parte riprendono anche alcuni suoni anni ’80 che stanno tornando nel pop – anche The Weekend li ha inseriti nel suo ultimo disco. Onestamente non capisco proprio, però sono sicuro che se quel pezzo avesse fatto due dischi di platino, a quest’ora lo starebbero passando in radio. Mentre la radio dovrebbe avere il potere di condividere, di far conoscere e aiutare a crescere una canzone valida che al momento non ha i numeri, in Italia non lo fa – si limita a confermare chi ha un successo già esistente. Così però è troppo facile però, non fai più la radio, fai scouting di “seconda mano”; soprattutto, se un pezzo ha già successo se ne fa poco della radio. Prendi ad esempio Parole di ghiaccio, che nel 2012 ebbe un successo clamoroso, era uno dei pezzi più ascoltati – se non il più ascoltato – tra i giovani in quell’anno: non è mai passato in radio. In quel periodo eravamo fuori io e Tiziano Ferro con La differenza tra me e te, che stava andando fortissimo su Youtube in quel periodo. Ad un certo punto però Parole di ghiaccio lo aveva addirittura superato su Youtube: cazzo, se sei uno che lavora in radio il tuo compito è informarti. Posso accettare il discorso del tipo “ ha un pubblico di ragazzini, a differenza di Tiziano Ferro, i numeri non sono del tutto veritieri”, ma la verità sta nel mezzo; possibile che nessun radiofonico abbia pensato “beh, se questo è così amato dai giovani, probabilmente mi conviene passarlo in radio, magari qualche giovane si avvicina alla mia radio”? Niente oh, sembra che alla radio italiane non freghi un cazzo dei giovani.

R.P.: Chiudendo questa triste parentesi sulle radio italiane, vorrei riallacciarmi a Donald Trump; durante la conferenza stampa del disco sono state infatti fin troppe le domande a sfondo politico che ti sono state rivolte proprio riguardo questo pezzo. Senza però tornare a fare politica, voglio chiederti: secondo te, in Italia, un rapper può prendere una posizione non tanto politica, quanto di coscienza civica, senza essere completamente strumentalizzato proprio dalle forze politiche in campo?

E.K.: Ti direi sì, a patto che i messaggi lanciati vengano lanciati da essere umano, non da uno che ha uno schieramento politico. Se uno dice “ragazzi votate la destra piuttosto che la sinistra, perché gli altri sono dei coglioni, perché il nostro presidente è un razzista” allora ti dico di no, non riesci a staccarti di dosso quell’aura di influenza politica che ti affibbiano e che affibbiano a chi ti ascolta. Se invece vuoi dire “non ti piace che la Lega abbia fatto questa roba? Scendi in piazza e fatti sentire” ti direi di sì, però a quel punto strumentalizzerebbero la roba in un altro modo e ti direbbero che istighi alla rivoluzione, all’anarchia, e ti romperebbero le palle per altri cento motivi. La roba che sta succedendo in questo periodo in Francia, che è successa anni fa in Egitto, in Italia non succede: gli italiani ingoiano, sopportano, finchè non vengono toccati nel profondo non si ribellano. Siamo un popolo meraviglioso per mille motivi, allo stesso tempo però siamo un po’ ignavi, non stiamo ne da una parte ne dall’altra; lasciamo sempre che qualcuno faccia il lavoro sporco per conto nostro. Se tutti però una notte ci convincessimo del fatto che siamo 60 milioni contro 200 mila stronzi – a dirla larga -, se tutti prendessimo coscienza di ciò, ci sarebbe una sorta di democrazia – non so se mi spiego. Invece qui, a parte il voto, di democratico c’è veramente poco: alla fine devi stare zitto e sucare, senza dire niente, fare come dicono loro e pagare le tasse come dicono loro. Per carità, le tasse vanno pagate eh, perché contribuiscono a rendere questo paese civile; però mi fa incazzare che se io verso più tasse di quanto debba, me le lasciano a credito – mica me le ridanno -, se pagavo meno tasse vedi invece come veniva Equitalia a pignorarmi i mobili a casa (ride). O anche sta roba che devo anticiparti delle tasse sull’ipotesi di quanto guadagnerò l’anno prossimo. Sono tutte delle piccole cose che mi fanno incazzare, pensi “che democrazia è?”, tanto decide tutto lo stato. Che poi anche la democrazia ha i suoi difetti – e adesso Bea (la sua addetta stampa, ndr) si mette le mani ai capelli – perché penso: io sono ignorante in politica, ho qualche idea ma non sono esperto e non voglio quindi influenzare nessuno, soprattutto nella maniera sbagliata. Ci sono un sacco di persone come me, anzi sono più quelle come me che quelle che se ne intendono, però votano tutti: perché il voto di un ignorante come me deve valere quanto quello di qualcuno che è istruito e sa esattamente quello che sta facendo? Come se dovessimo valutare la canzone rap dell’anno e chiedessimo un parere a tutti gli italiani – vecchi, ignoranti, chi non ascolta il genere -; alla fine cosa ne esce? Chi vince, quello che è stato più bravo a vendersi? Non vince il politico più bravo, vince quello che ha fatto campagna meglio. Vedere politici che comunicano come un influencer, come farebbe un trapper sui social, mi fa ridere, è surreale. Sta gente non dovrebbe poter governare un paese – e non ho nulla contro nessuno, alla fine penso che se sono lì, la gente li ha votati, vedremo cosa cazzo combineranno. Sembrano uno peggio dell’altro.

R.P.: Torniamo a parlare strettamente di musica, per concludere l’intervista. Quella foto di noi due è un brano dal sapore squisitamente classico, che – come recita il comunicato stampa – ricorda un po’ i suoni della west coast dei ’90. La produzione di Big Fish mi ha ricordato anche le atmosfere che hanno contraddistinto i vecchi lavori di J.Cole, nello specifico quelli precedenti a K.O.D. Volevo quindi chiederti: cosa c’è nella playlist degli ascolti di Emis Killa? C’è qualche progetto d’oltreoceano che ti ha ispirato o stimolato mentre lavoravi a Supereroe?

E.K.: Non c’è stato un progetto in particolare perché in quel periodo c’era un po’ di confusione generale nella musica. Adesso invece stanno tornando alla ribalta un po’ di personalità: il disco di Meek Mill, ne parlavi prima tu, a me è piaciuto molto proprio perché rappa. C’è stato un periodo in cui i dischi sembravano tutti uguali: è uscito il disco di Future, minchia – con tutto il rispetto per lui -, tutto il resto della roba uguale a quello. L’ultimo lavoro precedente a questo periodo che mi aveva colpito un botto era stato quello di Kendrick Lamar, e in generale quelli di artisti che avevano conservato la loro identità, a differenza del resto che si assomigliava un po’ tutto. Non c’è stato quindi un progetto che mi abbia ispirato particolarmente. Per assurdo, inizialmente il beat di Quella foto di noi due era ispirato alle robe di XXXTentacion, poi in realtà il pezzo ha preso una piega totalmente diversa e lo abbiamo riarrangiato con un mood più west e i suoi di cui parlavamo, rendendolo più conforme a quel tipo di suono. In generale comunque è raro che io prenda un disco come riferimento e dica “voglio fare una roba così”, perché poi rischi di fare la brutta copia. È più facile che trovi un produttore che ti legge bene, che ti faccia ascoltare della roba che ti ispira; poi io sono – nel bene e nel male – un po’ trasversale, mi piace un po’ di tutto. Mi piace il rap come lo fa Booba, crudo, mi piace il classico come lo fa J. Cole, mi piace come canta The Weeknd, mi piace Stromae perché è geniale, mi piace l’ignoranza di Gucci Mane. Alla fine sto talmente in fissa con la musica che faccio in fatica a trovare la roba che mi piace più di tutte; magari c’è un disco che mi piace più degli altri, ma non è detto che sia il genere che mi piace di più. Questa caratteristica si riversa nei miei dischi, nel bene e nel male: ci trovi un po’ di tutto, ma qualcuno potrebbe trovarci dell’incoerenza tra una traccia e l’altra, e lo accetto.

R.P.: Sì beh lì entra in ballo fortemente anche l’aspetto dei gusti personali.

E.K.: Esatto, è proprio una questione di gusto. Ad esempio, per me il disco del 2017 è stato Polaroid di Carl Brave e Franco 126, è il disco che ho ascoltato di più. Mi piaceva proprio il fatto che trovavo delle similitudini tra una traccia e l’altra, c’era una grande coerenza. Ho sentito però qualcuno dire “sì ma il disco è tutto uguale”; quindi capisci che boh, a me piace, a qualcuno magari no. Son gusti.