Chiunque abbia ascoltato hip hop e musica black in Italia negli ultimi dieci anni si è imbattuto almeno un paio di volte nel nome di Martina May. Talento naturale dell’R’n’B di casa nostra, ha prestato la sua voce a moltissimi artisti, per ritornelli, cori, perfino hosting di mixtape, soprattutto nell’area di Roma, da sempre la sua città. Stranamente, però, finora non aveva mai voluto/osato lanciarsi in un progetto tutto suo (il perché ce lo spiegherà in questa intervista), lasciando molti ascoltatori e appassionati in perenne attesa di un annuncio che sembrava non arrivare mai. Quell’attesa, finalmente, è finita: lo scorso autunno Martina ha firmato un contratto con Asian Fake e a distanza di oltre un decennio dal suo debutto è finalmente uscito il suo primo singolo ufficiale, Stasera, a cui proprio oggi è seguito un videoclip, che potete vedere qui sopra. Il video spiega molto bene l’estrema cura del dettaglio con cui Martina lavora: i vari set che vedete, infatti, sono dei modellini in miniatura realizzati dalla designer e artista Adriana Napolitano, e di fatto potrebbero essere contenuti in una scatola da scarpe: le riprese, effettuate in green screen, hanno proiettato la cantante all’interno delle stanze con un lavoro titanico che ha richiesto parecchie settimane di lavorazione. L’abbiamo incontrata proprio nel bel mezzo del periodo frenetico di editing e montaggio, un momento carico di tensioni e aspettative ma anche di grandi soddisfazioni.
Blumi: La prima domanda non può essere che una…
Martina May: “Perché ci hai messo così tanto a uscire con un tuo singolo?”. (ride)
B: Esatto!
M.M.: Ci sono abituata, a questa domanda. Diciamo che prima non sarei stata in grado di uscire con cose che mi convincessero al 100%, non sarei stata altrettanto soddisfatta della mia roba. Forse mi sono anche lasciata trascinare in progetti che non erano giusti per me, perdendo un sacco di tempo: ero circondata da persone la cui visone era molto diversa dalla mia, e ingenuamente ho creduto che per me fosse giusto seguire consigli anziché seguire il mio istinto. E ovviamente c’è anche una componente personale, di vita, che ha un po’ messo i bastoni tra le ruote ad alcuni progetti, tra cui la musica. È colpa di tutti e di nessuno, insomma.
B: Ti aspettavi che Stasera finisse dritta nella Viral Top 50 di Spotify, dopo tutto questo tempo e senza neanche un video a trainarla?
M.M.: Ovviamente la speranza era quella, ma cercavo di non farmi nessuna aspettativa. Anzi, anche le persone che ci hanno lavorato con me mettevano le mani avanti: Frenetik, che ha prodotto la traccia, il giorno prima che uscisse il singolo mi diceva “Mi raccomando, se non va troppo bene non ti buttare giù, non vuol dire nulla, sono cose che succedono la prima volta che ti presenti con un brano nuovo!” (ride) È passato tanto tempo da quando ho iniziato a cantare, e decidere di uscire adesso con un singolo, con una consapevolezza e una maturità di un certo tipo, ti fa ragionare in modo diverso. Ho deciso che avrei fatto quello che mi piace, indipendentemente dal riscontro. Non volevo scendere a compromessi – o almeno non a troppi perché, non giriamoci intorno, quando fai un lavoro come il musicista e devi confrontarti con il mercato, a qualche compromesso devi scendere sempre.
B: Facciamo un passo indietro: la tua esperienza musicale è cominciata parecchio tempo fa, ci fai un riassuntone?
M.M.: Ho sempre ascoltato hip hop, R’n’B, soul, e frequentato la scena romana. Ho iniziato più o meno quindici anni fa, facendo le cover di Lumidee in cameretta, registrandole sul computer e mandandole ai miei amici. Nel frattempo qualcuno dei miei amici si è fatto conoscere in giro, cominciando un percorso artistico prima che lo facessi io e raggiungendo una certa fama. Un po’ di gente ha cominciato a chiamarmi quando aveva bisogno di un ritornello melodico: Cor Veleno, Ghemon, Briga, Coez… Alcuni erano amici di vecchia data, altri invece mi avevano sentito sull’album di qualcun altro. E così è cominciato tutto. (Continua dopo la foto)
B: Sei stata una delle prime a investire sull’R’n’B in Italia, un genere in cui fino a dieci anni fa non credeva nessuno, ancora meno del rap. Oggi, invece, perfino nomi meno mainstream come SZA cominciano ad essere abbastanza conosciuti anche da noi. Siamo finalmente pronti?
M.M.: Credo di sì: sdoganato finalmente il rap, anche l’R’n’B comincia a ritagliarsi qualche piccolo spazio. Non sarà mai esattamente come in America, però, anche perché l’Italia ha le sue particolarità a livello musicale e culturale. Ho sempre detto che i nostri cantanti R’n’B sono i neomelodici, e ci credo ancora: non solo come immaginario e testi, ma anche come virtuosismi vocali, che nel pop non ci sono ma nella musica napoletana sì. Non a caso, se ci pensi, da noi il progetto che ha sfornato le canzoni più simili a quelle dell’R’n’B mainstream americano è Liberato. E anche il successo di prodotti tv come Gomorra sicuramente aiuta il grande pubblico a conoscere quella scena.
B: A fare virtuosisimi vocali, però, sono capaci in molti: quello che riesce meno facile è scrivere canzoni R’n’B convincenti. Un problema che tu assolutamente non hai. Che consigli ti sentiresti di dare a chi comincia adesso?
M.M.: Difficile a dirsi, perché io ho imparato facendolo. Credo sia una cosa latente in me, nel senso che a furia di ascolti ho assimilato quel mondo musicale. Da fine anni ’90 ad oggi non ho fatto altro che ascoltare dischi R’n’B. Amando molto anche il rap, inoltre, ho cominciato ad assimilare anche una certa attitudine nello scrivere i testi, che si differenzia molto da quella del pop italiano. Anche l’esperienza mi ha aiutato parecchio, ad esempio quella dei laboratori di Genova x Voi, anche se mi ha lasciato un po’ con l’amaro in bocca… (ride: Martina è stata una delle finaliste della sezione canzone nel 2015 ed è arrivata a un passo dalla vittoria, ndr)
B: Quali sono i dischi essenziali che suggeriresti di ascoltare a chi vuole conoscere questo mondo?
M.M.: The writing’s on the wall delle Destiny’s Chid, The Miseducation of Lauryn Hill di Lauryn Hill, Full Moon di Brandy, Aijuswanaseing e Juslisen di Musiq Soulchild.
B: Tornando ai tuoi nuovi progetti, come sei approdata ad Asian Fake?
M.M.: La loro visione mi piace molto, perché fanno cose fuori dagli schemi. Il mio primo impatto con loro è stato l’ascolto di un singolo dei Coma Cose, e da lì ho capito subito che avevano un approccio diverso, originale. Curano molto i loro prodotti: pensa che ogni artista dell’etichetta è stato trasformato in un personaggio dei fumetti, con una sua storia e le proprie illustrazioni ad hoc. Il fatto che vogliano dare un’identità e un senso comune all’etichetta è bellissimo, e in Italia un po’ mancava. Quando mi hanno proposto di firmare con loro non ho avuto dubbi.
B: Capitolo album: non ci farai aspettare altri dieci anni come per il primo singolo inedito, vero?
M.M.: No, tranquilli! Anche perché ho un contratto che mi vincola a consegnare il master entro una certa data… (ride) Ci stiamo lavorando in questo periodo, diciamo che siamo a metà dell’opera. Sono tutti brani abbastanza freschi, scritti con continuità nell’ultimo periodo: per tornare al discorso iniziale, uno dei motivi per cui finora non avevo mai pubblicato un album è che avevo scritto tanti brani in tanti momenti diversi, ed erano completamente slegati tra di loro, senza un filo conduttore o un sound omogeneo. Ho ricominciato da capo, e ora sento che si tratta di un lavoro molto più coerente.
B: Cosa dobbiamo aspettarci, quindi?
M.M.: Poche canzoni d’amore in senso tradizionale, perché non sono molto nelle mie corde: sono una persona molto ironica, non mi prendo troppo sul serio. Però ci sarà tanta malinconia e sofferenza, quello sì, perché sono una persona affezionata allo struggle! (ride)