Gli alfieri della dancehall in Italia, i membri del champion sound Kalibandulu, si raccontano ai nostri microfoni. Il loro mixtape Digital Jungle, in collaborazione con Slait, è appena uscito ed è disponibile in free download qui.
Haile Anbessa: partiamo dal vostro nuovo mixtape. Come avete coinvolto nomi come Redman e Method man per i dubplate? Kalibandulu: la combo dei due artisti internazionali è nata da una “dritta” di un nostro amico promoter tedesco! Loro due erano in tour in Germania, così abbiamo deciso di caricare in auto il nostro studio e partire per seguire i due rapper: dopo migliaia di chilometri e svariati tentativi, siamo riusciti a portare nella nostra dub box il dubplate, oltre che a conoscere personalmente e fare amicizia con due veri pazzi! (ridono)
H.A.: quando e come è nato il vostro collettivo?
K: il nostro gruppo è nato come sound system reggae/dancehall a Milano nel 1999 e, nei vari anni, ci siamo evoluti musicalmente toccando tutti i vari generi urban e non! Da anni ormai la nostra base operativa è in Salento e il gruppo è composto da Don Leo (mc) e Dj Moiz (dj).
H.A.: prediligete più l’hip hop o il reggae? Quali vibes differenti vi danno questi due generi?
K.: amiamo il reggae quanto l’hip hop! Per noi fare musica è proprio questo: unire diversi generi musicali e accomunare sempre più culture e massive differenti!
H.A.: come è secondo voi la situazione della black music in Italia? Cosa ci manca per essere come Francia o Germania e non venire snobbati dai vari tour europei come spesso accade?
K.: potremmo definire la situazione in Italia come un genere a sé, ovvero come black music italiana o come trap italiana o anche come dancehall italiana, che a noi non dispiace affatto, anzi ci distingue da tutto il resto d’Europa! Negli altri Stati europei la lingua inglese è molto più diffusa rispetto a quanto lo sia da noi o comunque hanno delle solide comunità di black people, quindi credo che a volte un artista internazionale preferisca “andare sul sicuro” con città come Londra, Parigi ecc. Chiaramente c’è anche un fattore burocratico molto più complesso in Italia per quanto riguarda gli organizzatori di eventi che potrebbe scoraggiare molto anche chi è un addetto ai lavori da queste parti, viste le grosse spese (tasse) che difficilmente si possono recuperare con un evento musicale con un ospite internazionale!
H.A.: la serata più memorabile a cui avete preso parte?
K.: ci viene da dire tutte da quando abbiamo iniziato a salire sui palchi, perché ognuna ha sempre qualcosa di magico e da ricordare!
H.A.: in quale paese vi piace di più suonare? Quale è la vostra seconda casa.
K.: restiamo in Italia, perché sicuramente è Milano la nostra seconda casa: abbiamo tanti amici resident e tanti amici salentini che studiano e lavorano lì, quindi è sempre una grande festa ritornarci!
H.A.: il dubplate più raro che avete? E quello a cui siete più legati e perché?
K.: abbiamo tantissimi dubplate rarissimi tra cui alcuni di artisti pionieri del reggae e dello ska, tipo Alton Ellis, che oramai non ci sono più e diventa impossibile per i nuovi sound registrarne di altri… un dubplate a cui teniamo tanto è proprio quello di Method Man & Redman, indubbiamente!
H.A.: quello che invece non avete e vorreste avere assolutamente?
K.: ci viene da dire un rapper: Snoop Dogg, sicuramente.
H.A.: con quali artisti siete più legati e collaborate spesso?
K.: uno degli artisti – sicuramente più conosciuti, tra l’altro – con cui abbiamo più collaborazioni sia discografiche sia come tour è Walsh Fire dei Major Lazer.
H.A.: raccontatemi proprio della vostra esperienza con Walshy Fire.
K.: con Walshy Fire possiamo dire che ormai c’è un’amicizia ultradecennale, nata prima del suo ingresso in Major Lazer. Lui faceva parte di un sound system di Miami, Black Chiney, a cui noi facevamo riferimento come suono e stile musicale. Negli anni, conoscendoli nei vari eventi in giro per l’Europa, sono nate le prime collaborazioni musicali fino ad arrivare a suonare in uno dei party più importanti di Miami organizzato da Walshy Fire e soci: una gran bella esperienza!
H.A.: quali sono secondo voi i nuovi nomi sulla scena da tenere d’occhio?
K.: sicuramente, se parliamo della scena hip hop italiana, da tenere d’occhio c’è Mouri, che pubblicherà il suo primo EP molto presto. Poi, se guardiamo su a Milano, c’è tutta la nuova scuola della Machete crew (vedi Dani Faiv) che è pronta a prendersi tutto! Come reggae, invece, ci siamo noi… ricordate Kalibandulu, perché siamo pronti a prenderci anche l’Italia con il nostro suono “Future Dancehall”.
H.A.: a proposito, cosa è per voi la Future Dancehall? Quali evoluzioni ci dobbiamo aspettare in futuro?
K.: la Future Dancehall è quel filone del genere dancehall contaminato dai nuovi suoni dell’elettronica (ma anche da altri generi), che si sta affermando tantissimo nei club e nelle radio con tanti altri generi e artisti di altra estrazione che stanno attingendo molto a questi suoni.
H.A.: come vi ponete nei confronti della polemica tutta giamaicana per cui gente come Major Lazer o Drake depreda solo senza dare nulla indietro?
K.: non siamo molto d’accordo con questa polemica: artisti mainstream, come appunto Drake, Rihanna, Major Lazer, fanno solo del bene e danno molta più visibilità a una scena di nicchia come il reggae e la dancehall e, sicuramente, aiutano anche a incrementare il turismo in Giamaica, paese che purtroppo ha i suoi problemi economici.
H.A.: progetti futuri?
K.: al momento abbiamo appena finito il nostro Digital Jungle Tour con Nitro e Slait e siamo già pronti a lavorare a un Vol.2 del mix. Dal punto di vista produttivo abbiamo un po’ di uscite #futuredancehall per il mercato internazionale e un Ep in lavorazione per la nostra etichetta Flex Up Records! E poi ovviamente un po’ di date in giro per l’Italia e l’Europa!
H.A.: grazie.
K.: grazie a voi!