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Rkomi: l’intervista

07-09-2017 Marta Blumi Tripodi

Rkomi: l’intervista

La prima volta che ascolti qualcosa di Rkomi, la sensazione iniziale è quasi straniante, come una secchiata d’acqua gelida che ti risveglia da un torpore in cui non sapevi di essere caduto. Suona talmente nuovo, talmente fresco, talmente diverso da tutto ciò che hai sentito fino a quel momento, che quasi non riesci a collocarlo. E’ trap? No, forse si ispira di più al jazz. Eppure è rap, nel senso più puro e classico del termine. Il secondo schiaffone ti arriva quando scopri la sua età: 23 anni scarsi, un’età in cui avere uno stile così definito e personale in Italia è spesso un miraggio. Il terzo, quando scopri quante persone diverse riesce a mettere d’accordo: gli amanti dell’indie, quelli della musica sperimentale, i fanatici della trap, i cultori dell’hip hop golden age. Calcutta, di cui ha aperto i concerti nei mesi scorsi, e Marracash, che lo ha subito reclutato per Roccia Music. Le ragazzine, quelle che fino a pochi mesi fa avevano i poster degli 1Direction appesi in camera e ora scrivono fan fiction su di lui. E il suo album di debutto Io in Terra, uscito oggi, non fa che confermare quest’ondata generale di ammirazione ed entusiasmo nei suoi confronti: è un lavoro ricercatissimo, solido, compatto, pieno di sfumature sia a livello musicale che di contenuto. Quando lo incontriamo negli uffici di Universal, da subito è chiaro che si tratta di un ragazzo umile e riservato, deciso a fare di tutto per meritarsi la considerazione che più generazioni nutrono nei suoi confronti.

Blumi: The Night Skinny, nell’intro di Fuck Tomorrow, ti ha definito il Nas italiano, e ha detto che il tuo primo album ufficiale sarebbe stato il nostro Illmatic: insomma, fin da subito ti porti addosso un carico di aspettative che avrebbero messo in difficoltà chiunque. Come te la vivi?

Rkomi: Innanzitutto vorrei dire che il parallelo con Nas non arriva da me, perché io non mi sognerei mai di autoproclamarmi il suo erede… Illmatic è una cosa, e Io in Terra è un altro tipo di disco, forse quasi opposto. Probabilmente TNS ha visto in me qualcosa di Nas: passione, cuore, attenzione ai testi, penso intendesse questo. Sono ovviamente onorato di questi paragoni, è una grande soddisfazione. Me la vivo molto serenamente, anche perché altrimenti non riuscirei neppure a scrivere, però è vero che questi complimenti sono sempre un’arma a doppio taglio. È una grande responsabilità essere visto in questo modo. Non voglio mettermi dei paletti da solo e rinchiudermi in un recinto, altrimenti ho finito ancora prima di iniziare.

B: Ma in tutto questo, Nas è effettivamente un tuo modello? Ti ascolti i suoi dischi?

R: Non in questo periodo, ma l’ho sempre ascoltato. Un anno fa, ad esempio, ho avuto un momento di malinconia in cui mi riascoltavo continuamente gli album che sono stati importanti per la mia crescita, e Illmatic era uno di questi. Nas si allontana molto dal mio ideale di adesso, chiaramente, ma l’attitudine che aveva da giovane la sento molto mia.

B: Ecco, a proposito: come hai scoperto il rap, e quando ti è venuta voglia di prendere tu stesso il microfono?

R: Per prendere in mano il microfono mi ci sono voluti cinque anni di paranoie, forse anche perché avevo altre cose da fare. Come fan, invece, l’ho scoperto attorno ai dodici anni: mio fratello più grande ascoltava molta techno, ma gli piaceva anche il rap. È grazie a lui che ho cominciato ad ascoltare i primi rapper italiani: Marracash, Inoki… Mio cugino, inoltre, era un rapper fortissimo (e lo è tuttora, se solo avesse la voglia e la testa di rimettersi a fare musica), si faceva chiamare Pablo Asso. Dai 13 ai 18 ho sempre girato un sacco di studi di registrazione insieme a loro due; i miei amici dopo un po’ si annoiavano e volevano uscire, io invece sarei rimasto lì per ore. Ho capito da subito che mi sarebbe piaciuto provare a rappare, ma non l’ho mai fatto prima dei diciassette anni, proprio perché me la vivevo con molta ansia: alla fine mi sono detto “Dai, non stai mica andando in guerra!” e mi sono buttato. Non la chiamerei neppure gavetta, però, perché si tratta di 4-5 tracce caricate su YouTube, in fondo.

B: Hai dichiarato che Io in Terra è nato durante una full immersion di diverse settimane in studio, e in un’intervista a Rolling Stone hai anche svelato il tuo metodo di scrittura. Citiamo testualmente: “All’inizio metto un beat e urlo sillabe finché non trovo la cosa più pazza possibile. Poi mi metto a scrivere a flussi di coscienza, in modo spontaneo”…

R: Questo disco è nato veramente così, e ci tengo parecchio a dirlo! Mettevo il beat, urlavo melodie e versi parlati, e da lì approntavo il flow che mi gasava di più, provando a scrivere in base alla metrica che avevo creato. È stato un lavoraccio, perché cercavo di mantenere tutti gli accenti e di creare delle rime interne al verso. C’è gente che dice che non chiudo le rime, e questa cosa mi fa un po’ arrabbiare: sono sicuro che però è questione di tempo, e che anche loro capiranno. Mi riesce difficile spiegare cosa faccio, perché non ho ancora studiato abbastanza per riuscire a esprimermi con i termini giusti, ma nei miei pezzi la rima non è solo alla fine della barra. (Per chi non avesse capito di cosa stiamo parlando, Eminem è venerato per questo tipo di incastri, e ci sono centinaia di blog dedicati proprio ad analizzare i suoi schemi di rime, tipo questo, ndr)

B: Restando in tema di termini giusti, anche solo scambiando quattro chiacchiere con te, sembra che tu sia uno che pesa parecchio le parole. È effettivamente così?

R: Sì, certo. Le parole sono un mondo, ci tengo a trovare sempre quelle giuste, non solo quando c’è la musica di mezzo. E sui miei testi ci tengo ancora di più, infatti mi piacerebbe trovare un veicolo per spiegarli bene e nel dettaglio, prima o poi.

B: Non ti fa un po’ paura l’idea di entrare a far parte del mondo della musica italiana mainstream, dove l’importanza che viene data alle parole è minima (e infatti nei testi si usano sempre le stesse, tipo cuore-amore)?

R: No, paura non direi. È comunque un mondo molto diverso da quello a cui sono abituato, ma continuerò a fare le cose a modo mio, anche perché ci sono tanti artisti che hanno dimostrato di poter fare bene anche nel mainstream, alzando il livello. Credo che, se la mia musica continuerà ad essere naturale e spontanea, arriverà comunque alla gente. (Continua dopo la foto)

B: Quando hai annunciato questo tuo primo album ufficiale, hai detto che avrebbe avuto la direzione artistica di Marracash. In cosa si è tradotta questa supervisione, nel concreto?

R: Tanti ascolti condivisi, e non solo dei miei provini. Molti magari penseranno che Marra si sia limitato a dirmi “Questo pezzo sì, questo pezzo no”, ma non è andata così: ci trovavamo insieme, ascoltavamo musica, chiacchieravamo a lungo. Io in Terra è venuto fuori in maniera molto semplice e spontanea, da incontri come questo. La direzione artistica di Marracash nasce proprio dal confronto costante che c’è stato tra noi due per tutta la lavorazione del disco. Avere la possibilità di scambiare idee con uno come Fabio è stato un input pazzesco, per me. Non mi ha mai imposto niente, ma al contrario mi ha accompagnato in questo percorso.

B: Un disco del genere, con strofe serratissime – tanto che a tratti viene da chiedersi dove e quando prendi fiato! – sembrerebbe davvero difficile da portare dal vivo. Hai già un’idea di come farai?

R: Sembra un paradosso, ma io mi sento assolutamente un artista da live. So che in passato ci sono stati degli episodi negativi (ad esempio il Red Bull Culture Clash) ma ce ne sono stati altrettanti molto positivi. Anzi, chi ha visto entrambe le facce della medaglia a volte fa fatica a capire com’è possibile che si tratti della stessa persona! (ride) Nei momenti no entrano in gioco anche i miei stati d’animo, il fatto di essermi ritrovato di botto a gestire situazioni molto più grandi di me, ma giustamente la gente non è tenuta a sapere come mi sento in un certo momento e giudica il risultato finale. Quello che un po’ mi spiace è che per uno strano scherzo del destino sembra che ci siano in giro solo i video dei live brutti, tipo quelli del Clash. E dire che qualche giorno dopo ero sul palco al Magnolia di Milano ed è andata così bene che io stesso mi dicevo “Wow! Ma quello ero proprio io?”. Insomma, per valutarmi bisognerebbe tenere in considerazione diverse cose: intanto che sono molto giovane, e solo da poco ho cominciato a farmi una vera gavetta dal vivo, e poi che la maggioranza dei miei colleghi, se posso permettermi, porta pezzi che sono molto più semplici dei miei. Ovviamente il fatto di aver fatto un disco così è una mia scelta, e quindi sta a me dimostrare di essere in grado di gestirlo dal vivo, ma so di poterlo fare: il fiato ce l’ho, la volontà anche. E stiamo studiando un tour e una performance molto particolare, diversa da tutto ciò che c’è in giro.

B: Sembra che questa sia una questione che senti molto…

R: Lo è, infatti! Per un po’ ho anche sofferto leggendo alcuni commenti, però ora ho capito che arriverò ai risultati che desidero anche in questo, devo semplicemente applicarmi e avere tanta pazienza. So che mi devo costruire un percorso e so di poterlo e saperlo fare. Devo solo aspettare, le cose ingraneranno col tempo. E ho piena fiducia nel mio pubblico, che ha dimostrato di essere molto sveglio e di capire le cose al volo.

B: Ultimissima domanda, e ti chiedo scusa in anticipo perché è davvero stupida, ma non posso resistere e te la devo fare comunque.

R: Vai! (ride)

B: Cosa pensi delle fan fiction sul rap italiano che ti vedono come protagonista?

R: Guarda, non sei la prima a chiedermelo, ma le ho scoperte anche io da un paio di settimane, e solo perché qualcuno mi ha detto che in rete girano questi racconti e che sono tra i rapper più citati! Non li ho ancora letti, quindi non posso dirti cosa penso. Un po’ mi fa arrossire, però l’idea che qualcuno scriva su di me mi fa anche piacere: io sono una persona che mette un sacco di passione in quello che fa, so di avere un faccino un po’ tenero in confronto agli altri miei colleghi, faccio testi intimisti (anche se non mi reputo un grande poeta), e quindi magari le ragazzine trovano in me qualcosa di particolare. Una bellezza interiore più che estetica, direi. E con questo mi sono dato del bello dentro da solo, ma vabbè! (ride)