Noyz Narcos e Fritz da Cat si sono sempre distinti per la continuità e la solidità della rispettiva discografia: i loro album valgono sempre l’acquisto, sono ben al di sopra della media del periodo (di qualsiasi periodo si parli) e generalmente non deludono mai le aspettative. Anche chi per gusti personali o altre ragioni di solito non li apprezza, è costretto a riconoscerlo. Insomma, quando hanno annunciato che avrebbero lavorato a un album insieme era lecito e ragionevole aspettarsi una piccola bomba. Che puntualmente è arrivata, con un ulteriore nota di merito: è il tipo di bomba che non ci aspettavamo. Anziché limitarsi a collaborare per modo di dire, unendo le forze ma senza influenzarsi troppo a vicenda, hanno spalancato le dighe della loro creatività e hanno lasciato che le rispettive acque si mescolassero, contaminandosi fino a diventare qualcosa di diverso, di nuovo; in un certo senso anche di più sporco, ma di assolutamente genuino. “Mai incrociare i flussi”: chi l’ha detto evidentemente non ci ha ancora provato, perché i risultati valgono assolutamente il rischio. E dovrebbe essere proprio questo il vero senso della parola collaborazione. Abbiamo incontrato Noyz e Fritz a Milano, all’indomani dell’uscita di Localz Only.
Blumi: Come è scattata la scintilla tra voi due?
Noyz Narcos: La prima volta che ho sentito le produzioni di Fritz non avevo ancora cominciato personalmente a fare musica, però da ascoltatore mi sono subito piaciute. Qualche anno dopo abbiamo avuto modo di conoscerci, e ho subito colto l’occasione per chiedergli un beat per il mio album Monster. Da lì è iniziata una serie di collaborazioni tra di noi che poi è sfociata nell’idea dell’album, che è il frutto di un anno di lavoro molto intenso.
Fritz Da Cat: La prima volta che io e Noyz ci siamo presentati eravamo a Roma, nel suo studio di tatuaggi. Ero entrato per farmi tatuare da un altro ragazzo che lavorava lì; lo avevo già sentito nominare ma non ne avevo nessuna conoscenza diretta (anche perché era il periodo in cui facevo tutt’altro lavoro), tanto che pensavo che Noyz Narcos fosse il nome di una band. Quando poi ho ripreso a fare musica mi sono guardato un po’ in giro per mappare la situazione italiana e capire quali erano le realtà più interessanti, e ovviamente lui era uno dei nomi in cima alla mia lista. Al che l’ho ricontattato e, appunto, abbiamo cominciato a collaborare insieme; l’idea dell’album è arrivata abbastanza naturalmente.
B: Il tour insieme ha contribuito in qualche modo a rinsaldare il vostro legame artistico?
F: Beh, sicuramente il fatto che ci siamo trovati bene a livello umano ha fatto la differenza.
N: Siamo stati parecchi mesi a stretto contatto, essendo sempre in giro per concerti, e lì abbiamo cominciato a fantasticare su qualcosa di più solido di un semplice featuring.
B: Avete raccontato che Localz Only è nato in maniera molto istintiva, senza ragionare troppo sul concept o sui singoli pezzi; a sentirlo non si direbbe però, perché è un progetto molto omogeneo e calibrato fin nei minimi dettagli…
F: Me ne rendo conto, ce lo dicono in tanti; probabilmente è perché dopo anni e anni di esperienza, quando lavori a un album ti viene automatico ideare un percorso, anche quando non è la tua intenzione.
N: Il fatto che abbiamo lavorato in maniera istintiva non vuol dire che non abbiamo curato i dettagli, infatti. Diciamo che la lavorazione di questo disco ha avuto due fasi. Nella prima ci siamo detti “Cominciamo a registrare e vediamo un po’ che piega prendono le cose”; nella seconda invece, una volta impostato il progetto, abbiamo dato una direzione precisa ai vari pezzi e abbiamo costruito le tracce in una maniera che ci piaceva e che rispecchiava le esigenze di tutti e due.
B: C’è stato spazio per l’improvvisazione, o arrivavate in studio già preparati?
F: Arrivavamo già preparati. Quella della gente che entra in studio senza avere niente pronto e registra il pezzo del secolo è una mezza leggenda metropolitana, non succede quasi mai. Soprattutto quando si parla di produzioni, che sono frutto di innumerevoli cambi di rotta e aggiustamenti: quando arrivi al momento di tirare le fila, la struttura portante esiste già. Magari fai delle modifiche dopo aver registrato, ma avendo già ben chiaro in mente quello che vuoi fare e la direzione da prendere.
N: Idem per il rap, quando arrivo davanti al microfono e metto le cuffie il testo esiste già. Magari mi capita di cambiare una parola qua e là, ma non esiste che mi metta a scrivere mezza strofa in studio in fretta e furia, non è proprio il mio modo di fare. Ovviamente poi ci sono delle eccezioni. Ad esempio, quando ti capita di entrare in studio per registrare una strofa per un pezzo in cui rappano tante persone, e magari scopri in quel momento per la prima volta quello che diranno gli altri; lì diventa fondamentale sapersi confrontare e cambiare il testo all’occorrenza, perché non bisogna sovrapporsi troppo o andare fuori tema. Ma non è questo il caso di Localz Only.
B: È un album molto concentrato (dura solo 35 minuti), per vostra stessa ammissione avete scartato molte tracce. Che criterio avete usato per decidere cosa sarebbe finito nella tracklist definitiva?
F: Banalmente una sensazione a pelle. Emanuele (Noyz, ndr) fa impressione da questo punto di vista: è istinto allo stato puro, e se una cosa per lui non va glielo leggi proprio negli occhi. Quando dice no, per lui è no davvero. Certo, ovviamente ci sono stati dei momenti in cui per me era sì e per lui era no, e quindi ci ritrovavamo un po’ in stallo, però siamo sempre riusciti a trovare una mediazione.
N: Fino a qualche anno fa fare un disco da venti pezzi con canzoni da quattro minuti era una buona idea; oggi, però, con la frenesia che c’è e con la quantità di musica che viene prodotta, un sacco di belle canzoni si perdono nel calderone delle nuove uscite. Forse non è più il caso di fare album così chilometrici, almeno per quanto ci riguarda: meglio puntare a fare un disco d’impatto, in cui tutte le tracce hanno un perché e restano impresse. Bisogna andare a togliere piuttosto che aggiungere, per non creare dispersione.
B: Noyz, i beat prodotti da Fritz per Localz Only sono tutti di altissimo livello, ma probabilmente non è il tipo di beat che avresti scelto per un tuo album solista: è stato difficile per te scrivere su strumentali del genere?
N: Di solito no, ma anche perché abbiamo quasi sempre scelto i beat su cui mi trovavo più a mio agio. In alcuni casi, però, effettivamente è stato più complicato del solito, proprio perché abbiamo esplorato atmosfere su cui non mi ero mai cimentato. L’approccio che ho usato per questo progetto è stato un po’ diverso, ma era un periodo in cui avevo voglia di mettermi alla prova e fare cose nuove, perciò mi sentivo pronto a affrontare tutti gli ostacoli del caso e a tirare fuori il meglio da ogni situazione e da ogni strumentale. Per le cose che mi interessano davvero sono disposto a mettermi in gioco.
B: Ciascuno dei due, in effetti, è uscito dalla propria comfort zone per venire incontro all’altro. Almeno, questa è la percezione che si ha dall’esterno. Quando riascoltate l’album, voi vi sentite diversi rispetto al solito?
N: Certo. Nelle nostre precedenti collaborazioni si trattava del mio stile sul suo stile, mentre invece in questo caso abbiamo lavorato su più fronti, sia ciascuno per conto proprio che in studio, per creare qualcosa di nuovo.
B: Cambiando del tutto discorso e passando ad argomenti più leggeri: Fritz, leggenda vuole che ogni volta che tu entri in studio per registrare un album ti addormenti…
N: Ma chi ve le ha date queste informazioni? (ride)
F: Onestamente io mi addormento davvero ovunque: in studio, in viaggio, a casa…
N: Ogni tanto è come se qualcuno tirasse giù l’interruttore della corrente, si spegne proprio!
F: E lo rivendico con orgoglio! In studio in particolare ho una tale botta di adrenalina che dopo un po’ vado in tilt e ho bisogno di chiudere gli occhi e ricaricarmi un po’, mentre il rapper di turno va avanti a registrare… (ridono entrambi, ndr)
B: Noyz, la leggenda metropolitana che riguarda te, invece, è che tu faccia una vita da rockstar, in particolare quando sei in studio.
N: Ma chi, io?!? (ride, sinceramente stupito, ndr) Boh, ci sarà stato qualche episodio isolato che ha dato il via alla leggenda, ma non mi risulta sia la regola. Certo, mi porto dietro qualche birra, fumo, ma non più di qualsiasi cristiano io conosca.
F: Confermo. Anche perché se facesse la rockstar sregolata non avremmo avuto il tempo e il modo di lavorare come abbiamo lavorato, con grande concentrazione. Fai conto che parte del disco è stata registrata ad Amsterdam, e nemmeno lì è successo nulla di particolarmente rock’n’roll. Certo, è capitato che ogni tanto mi paccasse causa hangover della sera prima, ma a chi non è successo? (ridono entrambi, ndr)
B: Localz Only è un titolo che, come avete già raccontato in altre interviste, prende spunto dai cartelli all’ingresso delle spiagge dei surfisti, per avvertire ai turisti che non sono i benvenuti…
F: Esatto. È una dichiarazione d’intenti: noi apparteniamo a qualcosa, e quel qualcosa appartiene a noi. Certo, c’è un tocco di arroganza in questo: in un certo senso è un invito a non rompere i coglioni. Volevamo sottolineare che noi apparteniamo a un certo tipo di cultura, la cultura più classica e ortodossa dell’hip hop, e non è un mistero.
N: È una bandiera che siamo orgogliosi di sventolare.
B: Il vostro immaginario, però, è molto più ampio di quello classicamente hip hop: anche chi non dovesse conoscere la vostra musica lo capirebbe al volo guardando i vostri video…
F: Quello della title track, in effetti, è un miscuglio di tante cose diverse: noi ci abbiamo messo il nostro amore per certi b-movie anni ’90 stile Tremors, altri ci hanno visto dentro gli spaghetti western, Tarantino, Rodriguez, Breaking Bad…
N: I video che cominciano con i fari di un macchinone nella notte e il primo piano di una scarpa col tacco e poi proseguono con un rapper tirato a lucido che muove le mani guardando in camera, diciamocelo, hanno rotto il cazzo. Abbiamo deciso di cambiare un po’ le carte in tavola e di farci due risate. Ovviamente c’era un fattore di rischio: noi non siamo degli attori, e non sapevo se sarei risultato ridicolo a rappare travestito da redneck. Poteva venirne fuori una pagliacciata. Ma a conti fatti non credo che sia un video grottesco, anzi. Forse perché abbiamo dedicato parecchio tempo sia a girarlo che a definire la storia, i personaggi, lo script.
B: Anche i suoni richiamano un po’ l’estetica redneck, peraltro.
N: Né io né lui siamo grandi ascoltatori di quel tipo di rap che va di moda oggi, quello contaminato con la trap. In compenso ci sono sempre piaciute le chitarre: la prima volta che ho sentito il campione di Localz Only, mi aveva già conquistato alla prima nota.
E i risultati si sentono, ndr.