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Nneka: l’intervista

19-07-2015 Marta Blumi Tripodi

Nneka: l’intervista

In un mondo di cantanti pop-soul fatte con lo stampino, Nneka si distingue nettamente. Nata e cresciuta in Nigeria da padre africano e madre tedesca, ha cominciato a fare musica a diciannove anni, quando si è trasferita in Germania per frequentare l’università. La laurea in antropologia conseguita a pieni voti, però, non l’ha mai utilizzata davvero, perché nel giro di breve è diventata una delle principali promesse della world music africana ed europea (e ben presto anche americana: Nas e Damian Marley la vorranno come opening act del loro tour insieme). Il suo stile non è facilmente definibile, però molti critici la paragonano a Lauryn Hill, e tanto dovrebbe bastarvi a convincervi ad ascoltare il suo ultimo, ottimo album, My fairy tales, uscito lo scorso marzo. In questi giorni è in Italia per alcune date (domani, 21 luglio, all’Eutropia Festival di Roma; il 22 luglio al Mojotic Festival di Sestri Levante; il 23 luglio al World Music Festival di Merano) e ne abbiamo approfittato per scambiare quattro chiacchiere con lei.

Blumi: Sei nata in Nigeria, dove hai vissuto fino a diciannove anni. Com’è stata la tua crescita musicale laggiù?

Nneka: Lì ovviamente chi vuole diventare musicista di solito non frequenta una scuola di musica, ma piuttosto si ispira a ciò che lo circonda. In Africa si cresce a contatto con la musica anche a livello spirituale, religioso, tradizionale: è molto presente nelle nostre vite e riveste un ruolo culturalmente fondamentale. A casa mia in realtà non c’era molta musica, ma nella zona dove abitavo io c’erano molti festival, e anche un sacco di chiese con i relativi cori. In Nigeria il sound varia da regione a regione, perché abbiamo tribù differenti con tradizioni differenti: dalle mie parti è molto importante l’aspetto ritmico, ad esempio, e le percussioni la fanno da padrone.

B: A 19 anni ti sei trasferita ad Amburgo: come mai?

N: Non è stata una decisione mia: era un periodo un po’ turbolento, ho avuto l’opportunità di lasciare il Paese per la prima volta e mi sono sentita in qualche modo spinta ad accettarla. Ho vissuto sei anni in Germania, ma poi ho scelto di tornare in Nigeria, dove abito tuttora.

B: Sei famosa in tutto il mondo, ma in Nigeria sei una specie di superstar nazionale: com’è l’accoglienza quando torni a casa dopo un lungo tour?

N: Non è che succeda niente di speciale: di solito recupero i bagagli, salgo su un taxi e torno a casa! (ride)

B: Hai dichiarato che le tue principali ispirazioni sono la musica hip hop e reggae, eppure la tua musica non è classificabile in nessuno dei due generi: si può dire che tu li abbia rielaborati a modo tuo…

N: La gente tende a voler sempre definire a parole e categorizzare quello che li circonda, ma non credo che sia necessario etichettare la mia musica per far sì che la gente la capisca. Per essere onesta, quando faccio musica faccio semplicemente quello che mi va di fare, soprattutto ora che produco i miei album e ho il controllo totale degli aspetti creativi. Non do retta a quello che pensa il resto del mondo, cerco di mantenere uno stile integro e originale. E più che la musica degli altri mi ispira il silenzio: rende la musica ancora più ricca di significato.

B: Utilizzi spesso le tue canzoni per parlare di temi che ti stanno a cuore, come i problemi dell’Africa. Negli ultimi anni, però, sembra che la maggior parte dei tuoi colleghi non abbiano più voglia di farsi portavoce del cambiamento, preferendo cantare canzonette superficiali. Come mai, secondo te?

N: Non posso parlare per loro, ovviamente. Diciamo che secondo me dipende dall’attitudine di ciascuno: per me, ad esempio, la musica è arte, non è semplicemente una forma di intrattenimento. Voglio usare il mio lavoro per illuminare me stessa e chi mi sta intorno: se la musica riesce a unire le masse vuol dire che ha un grande potere, e questo potere va usato saggiamente. Riesce a influenzare profondamente i nostri corpi, le nostre menti, i nostri cuori. Non va mai dato per scontato.

B: Sei stata in tour con Nas e Damian Marley: che ricordi hai di questa esperienza?

N: È stato davvero emozionante per me, anche perché non era un semplice tour, aveva un significato più ampio dietro: si chiamava Distant Relatives, parenti lontani, proprio per rappresentare la connessione tra i discendenti degli africani in tutto il mondo. Io sono stata scelta per rappresentare l’Africa, la femminilità, la madre universale. Incontrare Damian personalmente è stato meraviglioso, ho imparato moltissimo da lui. È una persona molto riflessiva, di quelle che credono che non esista una risposta a tutte le domande e che bisogna accettarlo. Nas, dal canto suo, è stato molto incoraggiante: ha una forte personalità ed è davvero capace di motivare chi gli sta intorno.

B: In questi giorni sei in Italia per una serie di concerti: cosa ti aspetta nei prossimi mesi?

N: Sono in tour fino a fine agosto in Europa, dopodiché tornerò in Africa (manco da 5 mesi ormai) per altri concerti in Kenya e Angola, e infine mi dirigerò in Brasile. In autunno dovrebbe uscire il primo singolo del mio nuovo album. Nel frattempo, ovviamente, continuo a occuparmi di The ROPE, l’organizzazione non governativa che ho fondato: in questo periodo siamo in Eritrea a seguire diversi progetti.