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En?gma: l’intervista

26-05-2014 Marta Blumi Tripodi

En?gma: l’intervista

Che En?gma sia un rapper fuori dagli schemi lo si capisce fin da quando ci sediamo al tavolino di un bar per l’intervista e, anziché ordinare una birra come avrebbero fatto tutti i suoi colleghi, con aplomb british ma accento decisamente sardo chiede un tè caldo – nero, possibilmente. Anche il suo album è altrettanto fuori dagli schemi: Foga si contraddistingue per l’approccio fresco e originale di chi è abituato a pensare con la propria testa, e ha alle spalle un team solido e combattivo in grado di aiutarlo a realizzare la sua visione. Nonché, naturalmente, per un rap potente, evocativo, ricco di immagini, riferimenti e metafore, e anche piuttosto sorprendente nei toni e nel mood. Abbiamo incontrato En?gma a qualche settimana dall’uscita dell’album, e questa è la fedele trascrizione della nostra chiacchierata.

Ph: Mirko De Angelis, tutti i diritti riservati
Blumi: Raccontaci qualcosa del periodo pre-Machete.

En?gma: Ho iniziato a scrivere le mie prime cose attorno ai 16/17 anni, dopo avere ascoltato i primi pezzi rap in italiano. A Olbia, dove vivevo, non conoscevo praticamente nessuno della scena rap locale: ho cominciato in maniera molto solitaria. Dopo un paio d’anni di musica da cameretta ho cominciato a fare i miei primi live, e così ho finalmente avuto occasione di conoscere Salmo, El Raton e Slait, che erano già abbastanza conosciuti in zona. Ci siamo trovati molto bene anche sul piano umano. In quel periodo io stavo lavorando al mio primo street album, mentre Salmo si era deciso a mettere insieme un po’ dei pezzi che aveva realizzato fino a quel momento per creare Island chainsaw massacre: aveva voglia di portarlo un po’ in giro dal vivo, e così ci ha proposto di accompagnarlo a suonare. Quella è stata la primissima formazione live della Machete: Salmo, Slait, El Raton (che però ai tempi faceva avanti e indietro da Londra) e io. Da lì è partito tutto: ho realizzato il mio primo mixtape, e poi l’EP Rebus

B: A proposito di Rebus: l’anno scorso è stato il primissimo prodotto a uscire con la neonata etichetta Machete Empire, e da indipendente e perfetto sconosciuto al grande pubblico ti sei ritrovato a dominare immediatamente la classifica di iTunes. Quando hai pubblicato Foga, c’è stata un po’ di ansia da prestazione per eguagliare gli ottimi risultati dell’EP?

E: Dopo i vari mixtape avevo la percezione che la gente aspettasse un mio progetto solista, per quello ho deciso di mettere in cantiere qualcosa: ho scelto un EP perché era un prodotto relativamente veloce da realizzare, con cui potevo esprimermi nell’immediato. Un po’ di ansia da prestazione per l’album ovviamente c’era, ma soprattutto a livello artistico, perché la qualità dell’EP era alta, almeno per me. Su Rebus avevo riflettuto a lungo, e anche a distanza di un anno le rime mi piacevano ancora molto: dovevo riuscire ad eguagliare quel livello, più che i dati di vendita. E farlo su tredici tracce è più complicato che farlo su sette. Alla fine sono soddisfatto di quello che ho fatto, anche se ci sono delle differenze fondamentali tra Rebus e Foga: Foga, come ho già detto altre volte, paradossalmente è meno ponderato, mentre in Rebus ogni traccia era una traccia a sé, studiata nel dettaglio per funzionare in un certo modo.

B: È per questo che l’album si intitola Foga?

E: Esatto, per l’istintività e la voglia che avevo di tirare fuori un prodotto senza pensarci più di tanto. In quest’album ci ho messo impeto, spensieratezza e naturalezza.

B: In effetti il disco unisce una serie di mood molto differenti, e nell’intera tracklist si salta da atmosfere più cupe a brani più d’impatto senza soluzione di continuità…

E: Esatto: magari si passa da Rabbia random a May day, è un bel salto. È una cosa voluta, un modo di interpretare la tracklist che è venuto da me: volevo variare, non ristagnare troppo a lungo su un’ambientazione spensierata piuttosto che su un mood più oscuro, in modo che si capisse immediatamente che si tratta di un album vario.

B: Parlando dei pezzi più oscuri, non so perché come attitudine mi ricordano molto i Cypress Hill degli anni ’90. È un viaggione mio o ci ho preso?

E: È un viaggione tuo! (ride) Comunque mi fa piacere, perché è un bel rimando. Però questi pezzi mi escono molto naturali, senza ispirarmi a un immaginario preciso. Cerco di restare nel mio mondo al 100%, senza prendere altri riferimenti americani o italiani. Sono contento, però, quando qualcuno paragona la mia roba a qualche album storico del passato, perché vuol dire che la strada che ho intrapreso è quella giusta.

B: Parlando invece dei beat, leggendo i crediti mi sono resa conto che non conosco (o conosco solo vagamente di nome) la maggior parte dei produttori sul disco. Il che, per quanto mi riguarda, è molto positivo, visto che in questo periodo si tende a lavorare sempre con gli stessi dieci beatmaker e il risultato è che molti degli album in circolazione suonano uguali a quelli della concorrenza…

E: Diciamo che è stata una scelta abbastanza spontanea, anche se sono d’accordo con te: ormai la tendenza è quella di rivolgersi ai soliti produttori famosi. Io comunque preferisco avere un contatto diretto con le persone con cui lavoro, e i producer in voga in questo momento non li conosco granché, e non so neanche se a loro potrei piacere come mc… E comunque è inutile usare le produzioni di un big se le sue strumentali non riescono a darti lo stimolo giusto per scrivere. Ho voluto affidarmi a gente che conosco io, come Kiqué Velasquez, un ragazzo di Cagliari che non ho mai neppure incontrato di persona, ma con cui ci siamo trovati subito, dal primo momento che ho ascoltato il suo materiale. Oltretutto ha un suono molto fresco, vuoi anche perché non è ancora un nome molto sentito. È anche il caso di Ergobeats, anche lui sardo di Porto Torres, con cui avevo già collaborato per Olimpiade (inclusa in Machete Mixtape II, ndr). Anche lui non è molto famoso, ma riesce sempre a regalarmi le atmosfere giuste. Idem per Dimoz, che fa parte della Machete. Oltre a questi nomi meno noti c’è anche qualche artista conosciuto, tipo Bassi, ma non si tratta di sintonie casuali: ci conosciamo di persona e c’è una grande affinità a livello di mentalità. Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per i featuring: ho chiamato a rappare persone che stimavo, conoscevo e sapevo che potevano arricchire il disco in qualche modo.

B: Riguardo alle persone che hai chiamato a cantare, invece? I ritornelli mi hanno colpito molto, e anche in questo caso non li conoscevo…

E: Gabriele Deriu (ritornello di Ode, ndr) è uno dei miei più cari amici. Manuela Manca (ritornello di John Nash, ndr) è anche lei sarda, vive in un paesino vicino ad Olbia. Nessuno dei due è conosciuto al grande pubblico, ma sono voci molto serie: ho pensato immediatamente a loro non appena ho sentito le due strumentali dei brani. Ho preferito coinvolgere loro, anziché chiamare la Sony e chiedere di recuperarmi qualche artista più importante. A me il cantato piace molto, lo uso anche volentieri nei miei pezzi – tant’è che entrambi i ritornelli sono stati scritti da me, sia nel testo che nella melodia – ma non dev’essere la classica commercialata: credo che loro siano riusciti a renderlo molto particolare.

B: A proposito di Sony, è la major che supporta tutta la Machete Empire (ivi compreso Salmo, che qualche giorno fa ha annunciato l’addio a Tanta Roba) a livello di produzione e distribuzione. Come si articola la collaborazione con loro, nella pratica?

E: Libertà assoluta dal punto di vista creativo: noi ci limitiamo a consegnare il materiale già pronto. Oltre alla distribuzione ci hanno dato una grandissima mano per gli instore: lavorano davvero bene e la cosa migliore è che ci lasciano fare tutto ciò che vogliamo, senza limitazioni. Continuiamo a curare il prodotto dalla A alla Z, grafiche comprese. Quello che facciamo funziona e riusciamo a seguirlo dall’inizio alla fine, quindi c’è una totale fiducia reciproca. È un modo di lavorare non comune per una major, credo, quindi lo apprezziamo molto.

B: Tornando a Foga, una cosa che non mi aspettavo da un tuo disco è la massiccia presenza di viaggioni, ma quasi in senso geografico: penso a brani come Mesopotamia, Pleiadi o Jumperz

E: In questo periodo della mia vita, in effetti, nei miei pezzi ho inserito molto la geografia e la pittura, cosa che magari non avevo fatto tanto nei miei precedenti lavori. Dopo lunga autoanalisi sono arrivato alla conclusione che probabilmente ho voglia di viaggiare, ma il lavoro non me lo permette! (ride) Da ragazzino però ho viaggiato parecchio, e questo si riflette nelle mie liriche. Mesopotamia, ad esempio, è una metafora sulla felicità, una terra fertile in cui vorresti approdare e rifugiarti. E Jumperz è ispirato all’omonimo film, che parla di un gruppo di personaggi che sono in grado di spostarsi istantaneamente in ogni angolo del pianeta.

B: Rimanendo in tema di pezzi, e marginalmente anche in tema di geografia, mi ha colpito molto Giù da me, in cui parli di Olbia: come Machete Crew siete molto attaccati al vostro territorio e l’avete dimostrato in moltissime occasioni, ma allo stesso tempo in questo brano sei molto critico nei confronti della tua città e di come vi ha trattato…

E: Ognuno di noi, nei confronti della propria città natale, prova un po’ di amore e odio. Io me ne sono andato da Olbia a diciotto anni, ma credo che se fossi rimasto per altri due anni sarei scoppiato. Ora sono tornato a fare base lì, dopo cinque anni a Milano, ma è stato proprio questo distacco che mi ha permesso di analizzare le cose dall’esterno e a vederle più chiaramente. Olbia non è una vera e propria città, è una cittadina, anzi, più precisamente un paesone: tutti sanno tutto di tutti. Con quel pezzo mi sono tolto qualche sassolino dalla scarpa – cose anche abbastanza personali, ma in cui credo che molti si ritroveranno. Ripeto, l’amore per la mia città resta immutato, ma ho voluto fotografare alcune dinamiche. Tipo i classici tizi che a scuola facevano i fighi e oggi non combinano niente.

B: E che all’apparenza oggi sono anche vostri grandi supporter, anche se all’inizio non credevano affatto in voi, giusto?

E: Sì, è pieno di gente che prima non ci cagava di striscio e oggi, se ci incontra in giro, ci viene dietro per farci i complimenti. E poi magari ci offre una birra, ma solo per starci addosso, per farsi raccontare i cazzi nostri, per poter dire di conoscerci… Ma chi cazzo ti ha mai conosciuto, a conti fatti? Noi siamo orgogliosi di rappresentare la nostra città, ma non ‘sta scritto da nessuna parte che per questo motivo dobbiamo per forza scambiare due chiacchiere con quelli che tolleravamo poco anche prima! (ride)

B: A proposito di togliersi sassolini dalle scarpe: ho letto che non hai condiviso alcune recensioni, una in particolare. Cosa pensi non sia stato capito del tuo album?

E: La recensione a cui ti riferisci (quella di Rapburger, che En?gma ha commentato su Facebook, ndr) l’ho apprezzata nella sua interezza, ma l’unico grosso appunto che ho da fare è questo: mi si critica il fatto che il disco non ha un filo logico o un concept. Ma è quello che vado ripetendo da quando Foga è uscito: era proprio così che lo volevo! Lo spiega perfino il titolo, e te l’ho spiegato anch’io all’inizio di questa intervista. Chiaramente per qualcuno può essere comunque un limite, lo rispetto, ma onestamente non condivido. Non me la sono presa, sia chiaro: ho apprezzato la schiettezza, ma a mia volta volevo mettere i puntini sulle i. Mi sembrava doveroso anche nei confronti di chi legge la recensione. Per quanto riguarda invece il discorso generale, ovvero il mestiere del giornalista musicale e in particolare quello del giornalista hip hop, c’è un sacco di gente che lo fa senza esperienza, e questo è sotto gli occhi di tutti. La maggior parte della gente che scrive di musica rap non lo fa su riviste serie, ma su siti poco accreditati, e molto spesso sono ragazzini: tu lo sai, ma chi legge la recensione no, e quindi magari dà un peso eccessivo alle loro parole. E poi, se posso permettermi, ci vorrebbe un po’ meno protagonismo da parte di alcuni personaggi, che magari vorrebbero essere artisti ma non lo sono… O almeno, questa è la mia impressione! (ride)

B: Tu mi perdonerai, ma visto che siamo già in tema di internet ne approfitto per chiederti delle recenti accuse di Inoki nei confronti della Machete. Hai un messaggio da mandargli a mezzo stampa?

E: No, no, assolutamente. Ci ha già pensato lui! Ci ha sommerso di messaggi e di tanto amore… Resteranno unilaterali, però! (ride)

B: Non mi resta che chiederti i progetti futuri.

E: Avremmo voluto uscire con il nuovo Machete Mixtape prima dei mondiali, ma purtroppo non sarà così: preferiamo prendercela con un po’ più di calma, per salvaguardare la qualità del progetto. Alla fine usciremo la prima settimana di settembre. Prima dei mondiali, però, uscirà il nuovo volume di Bloody Vinyl di Slait, in cui ovviamente saremo presenti tutti: sarà più grasso e più ricco del precedente, sentirete. Ne approfitto anche per annunciare che anche El Raton pubblicherà un suo EP (il primo estratto è uscito proprio ieri, ndr); entro l’anno uscirà anche un EP di Nitro e a breve anche l’album di Jack The Smoker. C’è tanta carne al fuoco, insomma, anche se poche date precise. Vi terremo comunque aggiornati!