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Sangue Mostro: l’intervista

03-03-2014 Marta Blumi Tripodi

Sangue Mostro: l’intervista

Il rap di Napoli e della Campania in generale è uno dei più interessanti ed evoluti della nostra ridente penisola. Le sue radici affondano lontano, in nomi storici come La Famiglia, 13 Bastardi o Speaker Cenzou; alcuni di loro, in vent’anni di attività, non hanno mai smesso di spostare l’asticella un po’ più in alto in termini di stile, tecnica, forma e contenuti. E non contenti hanno anche unito le forze per creare un supergruppo (o dream team, come a loro piace chiamarlo) a nome Sangue Mostro: la formazione attuale è composta da Ekspo e Ale Zin (ex 13 Bastardi), Speaker Cenzou e dj Uncino. E il loro nuovo album, Cuo-rap, è letteralmente musica per le nostre orecchie. Li abbiamo incontrati un paio di settimane fa per chiacchierare di vita, morte e miracoli del rap italiano e regionale.

Ph: Gaetano Massa, tutti i diritti riservati

Blumi: Esordisco autodenunciandomi: è una delle rare volte in cui intervisto qualcuno di cui non sono in grado di capire le liriche…

Ekspo: Non sei l’unica, ma all’interno del cd ci sono tutti i testi: leggendo è un po’ più facile capire di che cosa parliamo! (ride)

B: Ottimo, allora cercherò di recuperare il tempo perso! Tornando alle domande vere e proprie, il nome Sangue Mostro deriva anche dal sangue del miracolo di san Gennaro. Voi ci credete, quindi?

Cenzou: Io sì, sinceramente. O meglio, ci credo ma nel senso che in quanto esseri umani, oltre a una realtà fisica abbiamo bisogno di appellarci a una sorta di misticismo. È un discorso che non è circoscritto alla religione cattolica, al buddismo o a qualsiasi altro culto. Penso che una vita senza avere almeno la speranza di una dimensione metafisica sia vuota, quindi ci voglio credere.

E: Non devi pensare al miracolo di san Gennaro come a una questione cattolica o religiosa: è più un fatto di tradizione popolare. Ci appartiene, come cittadini di Napoli: fa parte della nostra cultura.

Ale Zin: Io invece, essendo di Acerra, credo più che altro a san Cuono che è il patrono del mio paese! Per ora non ha fatto miracoli, però…

E: È un santo di provincia! (ridono tutti, ndr)

B: Tornando alla musica, a livello collettivo siete una realtà affermata da tanto, ma anche singolarmente siete molto noti, e lo eravate anche prima della fondazione di Sangue Mostro. Si può dire che in qualche modo siate un supergruppo?

A.Z.: Il nostro è un dream team, più che altro. Veniamo da diverse realtà già affermate in Italia: io e Ekspo dai 13 Bastardi, dj Uncino dai TCK da cui provengono anche altri nomi noti di Napoli, come Ciro O’Zi e Clementino, mentre Speaker Cenzou è stato affiliato sia a La Famiglia che ai 99 Posse.

Dj Uncino: Esatto, negli anni abbiamo fatto tutti cose diverse e poi ci siamo ritrovati a un certo punto del percorso. Abbiamo un bel curriculum alle spalle tra tour, concerti, produzioni musicali e collaborazioni.

B: E ovviamente, a livello di mood, le cose che fate singolarmente sono diverse da quelle che fate come gruppo.

E: Sì, certo, sono realtà che convivono e hanno sempre collaborato l’una con l’altra, ma che avevano identità ben distinte anche da sole.

A.Z.: Questa è sempre stata la forza di Sangue Mostro: ognuno ha un proprio stile perfettamente distinto e complementare rispetto a quello degli altri.

B: Questo nuovo album, Cuo-Rap, arriva dopo una lunga pausa. Che cos’ha di diverso rispetto al precedente?

A.Z.: Non sono più i Sangue Mostro che interpretano tutto in maniera ironica e spensierata, ma dei Sangue Mostro molto più maturi e riflessivi.

E: Oltretutto ormai rappresentiamo una generazione di persone più adulte, che chiaramente meditano a fondo su alcune cose e si pongono delle domande sulla vita.

C: Infatti: secondo me la sintesi di quest’album è il concetto di crescita, sia quella artistica che quella umana. È evidente già dalla copertina, credo: gli elementi che compongono quel cuore sono molto rappresentativi di quello che poi troverai all’interno del disco.

B: A proposito di età, voi appunto non siete più giovanissimi e soprattutto avete quasi vent’anni di carriera alle spalle, ma questa ondata di successo globale e trasversale dell’hip hop italiano non si era mai vista prima…

E: In effetti è un momento storico molto particolare: ci ritroviamo a fare quello che abbiamo sempre fatto, ma nello stesso calderone di altre decine di artisti che magari adesso sono in classifica.

A.Z.: Un tempo l’hip hop era di nicchia: oggi invece lo ascoltano tutti, te lo ritrovi ovunque. Ovviamente per noi c’è una netta distinzione tra hip hop e musica rap: molto del successo del rap di oggi non affonda le sue radici in una cultura, ma semplicemente in un sound e in un trend di vendite. Vengono creati dei personaggi che usano un mezzo, ma che non hanno nulla a che fare con il fine, per così dire.

D.U.: È cambiato il periodo ed è cambiato anche il pubblico. Bisognerebbe fare molte distinzioni prima di affrontare questo discorso: c’è gente come noi che a quindici anni era in strada armata di spray, e gente che invece uno spray non sa neanche che odore ha. Il che crea dei paradossi, nel senso che se ci pensi noi, da vecchi e veterani, in questo momento rappresentiamo una novità per questo pubblico. Tutti puntano sul fast food, in questa scena musicale, mentre noi siamo una ricetta a cottura lenta.

A.Z.: Esatto, noi siamo il ragù!

B: Un’altra domanda che viene spontaneo porsi, però, è perché i ragazzi di oggi preferiscono il fast food: quando avevo quindici anni i miei coetanei ed io ascoltavamo con grande piacere Malastrada o Troppo, per citare i vostri dischi dell’epoca (il primo è un album di Speaker Cenzou, il secondo un EP dei 13 Bastardi, entrambi usciti alla fine degli anni ’90, ndr). Musica complessa, adulta e profonda, ma i ragazzini di allora ne andavano pazzi…

A.Z.: Perché purtroppo non c’è più tanta ricerca. Ormai sembra tutto talmente accessibile e disponibile che non si va più a scavare per cercare le cose più interessanti, ma si prende quello che capita sottomano o che viene fornito dall’alto: in genere, prodotti musicali massificati o scadenti.

E: Io credo ci sia anche una specie di scopo nascosto, dietro a tutto questo spacciare musica spensierata e futile: una musica ottima per tenere occupati i ragazzini e non dare loro il tempo di riflettere su quelli che sono i loro problemi reali. Li bombardi con messaggi tipo “Ho i soldi, ho la figa, ho la macchina, fai come me” e loro alla lunga vengono condizionati, seguono quel modello, oltretutto senza mai avere la possibilità di raggiungere quegli obbiettivi materiali. Negli anni ’90 erano usciti vari libri che spiegavano come il gangsta rap abbia preso il sopravvento in America anche grazie a una manovra per riempire le carceri private, gestite da società che guadagnano miliardi dagli appalti dello stato. Le corporation che le possedevano hanno pensato che pompando quel tipo di musica e spingendo i giovani a seguire quel modello di comportamento, sicuramente la criminalità sarebbe aumentata e quindi anche il loro giro d’affari. Sembra assurdo, ma è proprio così.

A.Z.: All’inizio il rap era peace, unity, love and having fun: non è un caso che la situazione sia cambiata così radicalmente nel giro di pochi anni.

E: È un po’ come quando inverti una croce: il messaggio iniziale che ti trasmetteva era quello di pace e amore, ma basta rovesciare quel simbolo perché generi l’effetto opposto.

C: Quello che sta succedendo nella musica oggi mi ricorda molto quello che è successo con l’eroina negli anni ’70, che in parte è stata diffusa nella società per impedire alla gente di pensare. Noi abbiamo cercato di distinguerci da tutto questo, ma non è stata certo una mossa studiata a tavolino: è stato tutto molto spontaneo. L’unica cosa che abbiamo studiato e meditato bene, forse, è stata l’evoluzione stilistica, per cui ci siamo sempre presi il nostro tempo.

E: In generale noi ci siamo sempre presi il nostro tempo. Se immagini l’andamento dell’hip hop italiano negli anni, con i suoi picchi di successo e i periodi di buio totale, noi siamo una specie di linea retta costante: abbiamo sempre continuato a lavorare e produrre, anche negli anni in cui non c’era più niente. Con i 13 Bastardi, ad esempio, abbiamo pubblicato Persi nella jungla in un periodo di desolazione totale, in cui telefonavi ai promoter e ti riattaccavano il telefono perché “l’hip hop non va”. Allo stesso tempo non abbiamo mai voluto sfornare un disco ogni 9 mesi solo per ricordare alla gente che ci siamo, però. Produciamo tanto, ma senza fretta di buttar fuori tutto a caso.

A.Z.: Ti basti pensare che solo per questo disco abbiamo prodotto una quarantina di tracce e ovviamente abbiamo dovuto fare delle scelte. Senza contare tutti i featuring che abbiamo fatto nel periodo precedente all’uscita del disco, che sono stati davvero tantissimi.

C: E le decine e decine di live, ovviamente!

B: A proposito di vostra produzione, una cosa che vi ha sempre contraddistinto è l’evoluzione del sound: fin dai vostri esordi negli anni ’90, avete sempre avuto idee particolarissime e spesso molto avanti rispetto agli altri (penso alle commistioni con il soul di Malastrada quando nessuno si cagava il soul, o al flow molto tecnico e competitivo dei 13 Bastardi, in un periodo in cui tutti sembravano badare più che altro al messaggio).

A.Z.: Mi ricordo una frase che mi disse Cenzou quando iniziammo a parlare di questo nuovo disco: “Facciamolo, ma prima dobbiamo capire che suono deve avere: dobbiamo prendere un indirizzo diverso, rispetto a tutto quello che abbiamo fatto finora”. Solo quando abbiamo avuto in mano del materiale che sentivamo giusto per noi, e soprattutto che era innovativo e che non ricalcava del tutto il nostro passato, abbiamo deciso di entrare in studio.

C: È stata quasi un’esigenza dell’anima, per noi. È stato quello scavare, quel ricercare, quel continuo diggin in the crates, quel non arrendersi alla banalità che ci ha poi portato a produrre Cuo-rap così com’è.

D.U.: Mettici anche il fatto che i nostri beatmaker sono titolati, per così dire. Due anni fa c’è stato il Beat the Beat organizzato dall’IDA, ovvero la International Dj Association: era una battle di beatmaking, in sostanza. I primi tre classificati, ovvero Herrera, O’ Luong e dj 2phast, sono tutti presenti sul nostro album. Herrera l’anno successivo è anche andato a rappresentare l’Italia nella competizione mondiale. Insomma, il livello è estremamente alto.

B: Tornando per un attimo al rap napoletano, per noi “forestieri” è davvero complicato tenere traccia di tutto quello che succede dalle vostre parti, non tanto per una questione di linguaggio quanto piuttosto per ricchezza, vastità ed eclettismo della scena locale. Un consiglio per riuscire a starvi dietro?

A.Z.: Trasferitevi a Napoli! O create uno stargate che vi colleghi alla Campania! (risate generali, ndr)

D.U.: O aprite una succursale della redazione a Napoli! Bisogna essere sul territorio per capire davvero cosa succede, da lontano è impossibile.

E: Però se vuoi possiamo farti un po’ di nomi. Partiamo da quelli che in questo momento sono sotto gli occhi di tutti come Clementino o Rocco Hunt, che non hanno bisogno di presentazioni; poi ci sono gli ottimi Ganjafarm e Funky Pushertz, i Capeccapa, tutta la Cianuro Prod…

C: E poi bisogna citare assolutamente la G.A.S. Family, dei ragazzi davvero giovanissimi e nuovi che spaccano.

D.U.: Poi naturalmente c’è Valerio Nazo, tutta la TCK, Ciro O’Zi, Lucariello… È una lista infinita.

C: Ed è davvero difficile trovarne di scarsi.

E.: Se volete avere un’idea di come funziona la situazione vi consigliamo i video Napoli Rap Cypher parte 1 e parte 2: lì sono rappresentati quasi tutti gli esponenti della scuola napoletana, sia quella attuale che quella storica. Un beat, niente microfoni e circa 20 mc ad alternarsi sulla traccia.

D.U.: Venti stili differenti, soprattutto, perché a Napoli la ricerca dello stile è all’ordine del giorno.

B: Un’altra caratteristica fondamentale di Napoli è che l’età è davvero solo un numero: mentre altrove gli mc giovani collaborano soprattutto con i loro coetanei e quelli storici con gli storici, da voi c’è una commistione totale tra le varie generazioni…

A.Z.: Questo succede perché tendiamo a non voler fare una divisione netta tra la nuova e la vecchia scuola: per noi esiste solo la true school. Basta con queste stupide etichette.

E: Anche perché a noi per primi il termine old school non va bene: noi vogliamo essere la future school. Quelli che stanno sempre più avanti. Non ci piace essere relegati al passato.

C: Esatto. Se fossimo stati davvero old school, forse tutto il discorso che facevamo prima sulla sperimentazione sonora non avrebbe neanche senso, perché magari staremmo ancora lì a rifare le stesse cose di vent’anni fa. Non vorremmo fare la fine di Gianni Morandi, che a quasi settant’anni canta ancora del suo amore per una signorina esattamente come cinquant’anni fa…

A.Z.: A questo punto meglio Celentano che si evolve, anche se è un vecchietto. E poi, dopo Renato Carosone, Celentano è stato il primo a portare in Italia il rap.

C: Sembra di sentire parlare Mario Luzzato Fegiz! (ride)

B: Non mi resta che chiedervi i progetti futuri…

A.Z.: Dischi, mixtape, featuring, tournée…

E: Soprattutto tournée, vogliamo portare in giro per l’Italia Cuo-rap il più possibile.