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Speciale 20100 Records: intervista (e un regalino)

14-07-2013 Marta Blumi Tripodi

Speciale 20100 Records: intervista (e un regalino)

Non tutti (almeno, non al di fuori di Milano) conoscevano la 20100 Records prima dell’incredibile exploit di Mani Pulite, uno dei progetti più interessanti pubblicati in questo 2013: l’idea di tradurre in linguaggio gangsta rap le gesta dei protagonisti di Tangentopoli – un’immaginaria Tangentopoli, perché ricordiamo che il contenuto dell’album è un parto della fantasia – è stata a dir poco geniale: dietro i travestimenti e le maschere di questi anti-supereroi si nascondono alcuni misteriosi rapper, di cui non sveleremo le identità, ma che militano nel roster dell’etichetta, dove tra l’altro trovano posto anche nomi promettenti della scena locale come Jangy Leeon. Abbiamo intervistato una rappresentanza della label per capire come lavorano e da dove nasce la loro idea di musica: il già citato Jangy Leeon, il discografico Tommaso Grassi, il co-fondatore Matteo Eastmilan e B.O.B.O. Cracksy in rappresentanza della crew di Mani Pulite. E a proposito di Mani Pulite, se volete ascoltare il racconto di questa folle esperienza dalle vive voci di B.O.B.O., Lee Gresty, Leech o’ Jelly e Silvio B (non dai loro interpreti, ma da loro personalmente!) vi consigliamo di scaricare il podcast del loro live + intervista in onda ieri sera a Babylon, su Rai Radio2. Basta cliccare qui (tasto destro + salva con nome). Dentro ci troverete anche un inedito eseguito per la prima volta dal vivo.

Blumi: Com’è nata l’etichetta 20100 Records?

Matteo Eastmilan: L’idea di partenza è mia e di Jangy Leeon, con una grossa mano da parte di Gab Gato, un nostro amico producer, che ci ha fatti incontrare. Tutto è cominciato nel luglio 2011: finora sono usciti una decina di EP, mixtape e album ufficiali, tra cui le ultime due uscite, ovvero Mani Pulite e l’album solista di Jangy Leeon, Lionel collection. Diciamo che l’etichetta è fomata da 5/6 realtà affini, tra cui Mad Soul e gli ormai celebri sodali di Mani Pulite.

B: Perché avete sentito l’esigenza di aprire una vera e propria etichetta, anziché limitarvi ad essere una crew o un collettivo come avrebbero fatto tanti altri al posto vostro?

M.E.: Abbiamo sempre avuto il desiderio di avere una nostra identità precisa: ci reputiamo una realtà anomala, rispetto al resto della scena italiana. Inizialmente, grazie anche al fatto che abbiamo uno studio nostro, restavamo parecchio tra di noi e lavoravamo in autonomia: non ci piaceva troppo l’idea di legare il nostro nome a quello di altre realtà. Abbiamo sempre creduto molto nella bontà del nostro progetto e non volevamo cambiare: abbiamo grande stima di molti altri esponenti della scena rap italiana, ma abbiamo preferito continuare a fare il nostro nella maniera più personale possibile, mantenendo un’autonomia di scelta. Negli anni abbiamo preferito lasciar passare qualche treno pur di provare a fare a modo nostro. Eravamo sicuri che avremmo ottenuto i risultati sperati, non tanto in termini di fama o di ritorno economico, ma di originalità: volevamo lasciare il nostro segno. Vedi ad esempio Mani Pulite, un progetto che non avevamo del tutto programmato. È qualcosa che esula completamente dal contesto rap e potenzialmente può piacere anche al settantenne: abbiamo ricevuto dei feedback che consideravamo impensabili! (ride)

B: A proposito, com’è nata questa folle idea?

B.O.B.O. Cracksy: È nata dalle menti bacate di B.O.B.O. Cracksy, cioè io, e Tony Di Pietra: tutto questo succedeva nel lontano 2002. A distanza di 10 anni i tempi erano finalmente maturi: abbiamo riunito i sodali e abbiamo deciso di invadere l’etere con il nostro messaggio. Tutto parte, ovviamente, da un interesse personale per l’argomento: è un pozzo senza fondo, c’è tanto di cui discutere e il materiale a cui attingere è potenzialmente infinito. Come cittadini consapevoli, non potevamo non essere interessati a saperne di più e ad andare fino in fondo. All’inizio era quasi uno scherzo: abbiamo pensato di trasformare i personaggi di Mani Pulite in dei rapper e in una crew, ma non si pensava a fare dei video o un vero e proprio disco.

M.E.: Anche perché, come ben sapete, tutti i membri della gang erano in altre faccende affaccendati: chi ad Hammamet, chi in galera… (ride)

B.C.: Esatto, ciascuno aveva le proprie magagne.

B: Vi aspettavate che un progetto come Mani Pulite riscuotesse tutto questo interesse?

Tommaso Grassi: Sicuramente abbiamo intravisto le potenzialità della cosa, ma tra il pensarlo e il vederlo c’è una bella differenza.

B.C.: Era difficile immaginare o prevedere cosa sarebbe successo. Certo, finire su riviste generaliste come Wired, a Radio2 o sul palco del Mi Ami è stato una figata, ma non era quello il nostro obbiettivo principale: era quello di svegliare le coscienze.

B: E avete trovato delle coscienze pronte e disponibili ad essere svegliate?

B.C.: Come sempre succede in questi casi, la stragrande minoranza. Speravamo che l’uso di un certo tipo di sonorità ci avrebbe facilitato, perché di questi tempi è molto appetibile e si presta molto bene a veicolare quel messaggio.

M.E.: Nonostante questo all’inizio i teenager non erano tra il nostro pubblico, però pian piano sono arrivati anche loro: magari quelli degli ultimi anni delle superiori, che stavano studiando quel periodo a scuola. Una bellissima soddisfazione.

B: Anche voi, immagino, avete dovuto studiare per costruire i vari brani…

B.C.: Se si parla di date e riscontri processuali sì, sicuramente, ma la storia la conoscevamo già molto bene. Ormai le “gesta” di questi personaggi si sono trasformati in mitologia, tanto che non si sa neanche dove finisce la fantasia e dove inizia la realtà: messe nere, logge, teorie massoniche…

B: E voi, ci credete?

B.C.: È un discorso estremamente complesso. Io personalmente mi interesso di esoterismo e alchimia da molto tempo, ma diffido delle teorie complottistiche perché secondo me, nella migliore delle ipotesi, fanno parte del complotto. Che secondo me esiste, ma è la natura delle cose: giochi di potere che si risolvono in un’eterna lotta tra il “bene” e il “male”.

M.E.: O tra la disinformazione e l’informazione.

T.G.: Ad ogni modo, per tornare al discorso di prima, ci siamo documentati parecchio prima di intraprendere quest’avventura: ci siamo formati un vero e proprio archivio che conteneva i dossier e gli atti processuali – oltre che le leggende metropolitane, per evitare di cadere nel banale e sdrammatizzare un po’.

M.E.: Si parte dal presupposto che i nostri testi sono tutti invenzioni letterarie, perché chiaramente impersoniamo dei personaggi inventati da noi, ma fissare dei paletti storici e cronologici può essere utile a chi ascolta per contestualizzare le varie vicende.

B: Vi siete davvero calati nella parte. Penso al press kit che avete spedito ai giornalisti e che ho ricevuto anch’io: consisteva in una busta sigillata con ceralacca che conteneva il cd, una mazzetta di finte banconote da 50.000 lire e un atto di citazione dattiloscritto proveniente dalla “Procura della Rapubblica”….

B.C.: Quello mostra più di qualsiasi altra cosa le molteplici abilità presenti all’interno di questo gruppo. Non si tratta più di fare musica e basta, ma di intendersene in ambito di comunicazione e marketing: per un progetto del genere la presentazione è importantissima, altrimenti c’è il rischio di essere percepiti alla stessa stregua dei comici del Bagaglino.

B: Oltre alle competenze musicali e comunicative, per un disco come quello di Mani Pulite sono importanti anche le competenze legali. Non avete mai avuto paura di beccarvi una querela da qualcuno, visto che molti dei protagonisti di Tangentopoli sono ancora vivi e magari fanno ancora politica?

M.E.: Come si può leggere nel booklet del cd, i nomi sono tutti inventati, perché indipendentemente da come uno possa pronunciarli non corrispondono a quelli dei pezzi grossi dell’epoca: ogni riferimento è puramente casuale e si sconsiglia l’ascolto a un pubblico facilmente impressionabile. (ridono tutti, ndr) Siamo stati molto attenti, anche perché ci vuole un attimo: mi è capitato di leggere su Twitter che un politico di cui non farò il nome aveva scoperto dell’esistenza di un gruppo chiamato Craxi. Se ha trovato lui, può facilmente trovare anche noi e magari avere qualcosa da ridire…

B.C.: B.O.B.O. ci tiene a dire che ha un sacco di avvocati, come la storia ha insegnato! (ride)

M.E.: Scherzi a parte, noi non abbiamo fatto nulla di male. Speriamo di non essere fraintesi: si tratta di un progetto volutamente ironico ed esasperato.

B: Cambiando argomento, Jangy Leeon, come accennato prima è appena uscito il tuo album solista proprio per 20100 Records. Due parole per presentarlo?

Jangy Leeon: Potrei descriverlo come un vero e proprio percorso, anche perché è stato scritto in numerosi anni e quindi è abbastanza vario sia a livello di tematiche che a livello di stilistica hip hop. Ho cercato di spaziare il più possibile negli argomenti, nella speranza che ascoltando quest’album la gente possa vedere il mondo attraverso i miei occhi.

B: La scena di Milano è affollatissima e spesso è difficile tener traccia di tutti i rapper validi in circolazione: tu ne sei l’esempio perfetto, nel senso che pur essendo in giro da parecchio tempo agli occhi di molti sei ancora un “esordiente”…

J.L.: È un po’ colpa della situazione, ma probabilmente è più colpa mia! (ride) Da ragazzino facevo parecchi contest di freestyle e naturalmente ho sempre fatto rap, ma non ho mai provato ad alzare l’asticella passando a circuiti più prestigiosi tipo il Tecniche Perfette, che mi avrebbero garantito più visibilità. Io cerco di fare la mia musica al meglio, restando vero e mettendoci tutto me stesso: se mai riuscirò anche a farmi notare in maniera più massiccia, bene, altrimenti pazienza. Sono contento di quello che faccio e quello è l’importante.

B: Il rap è indubbiamente la musica del momento, e chi ci è dentro da tanto si ritrova a fare la stessa cosa che faceva 10/15 anni fa, ma in un contesto completamente diverso. Voi come la vivete?

M.E.: Per quanto ci riguarda, avevamo fissato i nostri obbiettivi anni fa, quindi per noi non cambia niente: continuiamo a fare esattamente quello che facevamo prima, tirando dritto per la nostra strada. E comunque credo che il suono che va di moda in un certo periodo non sia poi così importante: la produzione hip hop è così vasta e variegata che se anche non ti piace la musica del momento, puoi andare a riscoprirti le origini del gangsta rap o il sound di New Orleans o la scena di Memphis e ti si apre un mondo. Nel rap c’è un’infinita possibilità di perderti e ritrovarti e riconciliarti con il genere di cui ti eri innamorato da ragazzino. Non devi per forza avere a che fare con i tuoi contemporanei: ci sono album di 20 anni fa che sono così avanti che suonano meglio di quelli di adesso. Puoi estraniarti completamente dal contesto senza problemi, se non ti piace quello che sta succedendo in un determinato momento storico.

B.C.: Secondo me il cambiamento fa parte delle cose, è nella loro natura. Io, tra l’altro, non ho molti contatti con la scena hip hop in quanto tale: ho contatti con i singoli artisti, mi piace fare musica e frequentare le serate, ma mantenendo la mia identità. E se come artista vuoi durare nel tempo, è importante dimostrare una certa fluidità: mantenerti sempre interessante per non essere succube delle mode, e magari dettarla tu, la tendenza. Insomma, non ci sentiamo particolarmente influenzati da questo periodo storico: facciamo il nostro e basta.

B: Un artista che vi piacerebbe moltissimo avere in squadra, ad esempio?

B.C.: Tupac! (ridono tutti, ndr)

M.E.: Parecchi amici artisti che stimiamo e con cui ci sopportiamo a vicenda dal giorno zero: preferirei evitare di citarli per non correre il rischio di dimenticare qualcuno…

B: Matteo, l’ultima volta che ti avevamo intervistato era stato per parlare del tuo documentario a puntate Eu-Rap, dedicato alla scena degli altri paesi europei. A che punto siamo con quel progetto?

M.E.: Come ci dicevamo l’altra volta il progetto nasce da lontano: ho avuto la fortuna di avere un cugino che mi ha fatto conoscere il rap quando ero molto piccolo, perciò ho un background molto lungo e vario. Dopo essermi interessato al rap americano e italiano, ho cominciato ad esplorare quello europeo: mi capitava spesso di viaggiare all’estero e quando lo facevo andavo sempre a qualche concerto di artisti del posto, anche perché – senza voler offendere nessuno – fino a qualche anno fa il livello medio dei live in Italia non era minimamente paragonabile a quello del resto del mondo, anche se ormai abbiamo colmato finalmente il divario. Col tempo mi è venuto voglia di sfruttare le amicizie e le conoscenze che avevo accumulato nei miei viaggi per realizzare un documentario: ho cominciato dalla Germania, dove ho avuto la possibilità di trascorrere un periodo. Avevo iniziato anche a girare il capitolo sulla Svezia, ma per vari motivi personali ho dovuto interrompere le riprese e non sono ancora riuscito a completarlo: pian piano stiamo cercando di organizzare anche i successivi episodi. È un work in progress, a cui collabora tutto il collettivo East Milan, un grande “ombrello” che comprende varie realtà, tra cui anche il team che si occupa del programma di Radio Popolare Guida nella Giungla, in onda il giovedì notte dalle 00.50 a tarda notte e condotto a rotazione da varie persone: abbiamo accumulato oltre 250 puntate, ormai.

B: Progetti futuri?

M.E.: Stiamo lavorando al volume 2 del sampler della 20100 Records, in cui saranno presenti tutti gli artisti dell’etichetta, più vari amici. Per Mani Pulite si va avanti: come ci ha riferito B.O.B.O., Dah Lema è in possesso di alcuni documenti segreti che ci tiene a condividere col resto della crew…

B.C.: Mani Pulite è un progetto eterno, non finirà mai! (risatina satanica, ndr)

M.E.: È in lavorazione anche il primo album di Mad Soul, mentre la colonna portante del team Jangy Leeon continua la promozione del suo Lionel collection.

J.L.: Esatto, e il nuovo video uscirà prossimamente.

M.E.: In generale si può dire che tutti gli artisti 20100 sono all’opera sui loro progetti. John, il gemello buono di B.O.B.O. Cracksy, che stasera non è potuto venire perché ha lasciato la scena a B.O.B.O., sta anche lui lavorando al suo album solista, in cui ci sarà anche il featuring di un team di producer europei di cui ancora non sveliamo il nome, ma con cui siamo orgogliosissimi di collaborare. Anche Gab Gato, beatmaker dell’etichetta, sta assemblando un album che vedrà la partecipazione di numerosi mc americani. Le tempistiche sono varie perché dobbiamo coordinarci e incastrare i vari impegni, però non abbiamo alcuna intenzione di stare fermi. La carne al fuoco è parecchia, come si può notare!