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Bless the Ladies: l’intervista (collettiva)

29-04-2013 Marta Blumi Tripodi

Bless the Ladies: l’intervista (collettiva)

Al Castellana è una garanzia per il soul italiano: se un progetto è presentato e curato da lui, c’è da fidarsi a scatola chiusa. E infatti questo suo ultimo Bless the Ladies non fa eccezione. Scritto e realizzato in collaborazione con il socio Daniele ‘Speed’ Dibiaggio, con il quale il nostro eroe ha fondato sia il team Soul Combo che l’etichetta Lademoto Records, è un album collettivo che vede la partecipazione di ben nove soul singer italiane, tutte rigorosamente donne. Ironia della sorte, però, nonostante questo sia un progetto made in Italy in tutto e per tutto, non è l’Italia che se lo è accaparrato per prima, bensì il Giappone, dove uscirà con tutti gli onori grazie a una versione fisica speciale e dove probabilmente l’intera brigata si recherà in tour tra qualche mese (da noi l’album è disponibile in versione digitale su iTunes grazie alla collaborazione con BM Records). Abbiamo incontrato buona parte del gruppo a Milano, in occasione del loro showcase radiofonico a Urban Suite (Rai Radio2): presenti Al Castellana, Daniele Dibiaggio e tre delle soul singer protagoniste, ovvero Lil’ Cora, Nicole e Lady Drumha. Accompagna il gruppo anche Lefty, in rappresentanza di BM Records. Ecco il resoconto di questa affollatissima chiacchierata, in cui abbiamo avuto occasione di chiedere qualcosina a tutti i diretti interessati.

Blumi: Com’è nato il progetto Bless the Ladies?

Al Castellana: Nasce da un’idea mia e di Daniele ‘Speed’ Dibiaggio: ci siamo accorti che avevamo tante ottime cantanti intorno a noi, nonché dei meravigliosi musicisti – quelli con cui di solito suoniamo dal vivo – così abbiamo pensato di unire tutte queste variabili e di realizzare un bell’album collettivo che ci rappresentasse musicalmente, sulla falsariga di progetti come quello di Robert Glasper. Le ragazze presenti nel disco, tranne Lil’ Cora che è di Perugia, sono tutte della nostra zona, quindi dal punto di vista logistico non è stato complicato riunirle tutte in un disco. La vera sfida per me è stata scrivere canzoni al femminile, ma l’ho accettata di buon grado e credo che il risultato possa piacere, anche a giudicare dai riscontri ottenuti finora.

B: Perché vi siete concentrati solo sulle ragazze?

A.C.: Il motivo è molto semplice: tra i cantanti che conosco io, le ragazze sono nettamente più brave. Non c’è molto materiale, per quanto riguarda la componente maschile del soul italiano, ma questo non vuol dire che un giorno magari non daremo un seguito al progetto in versione Bless the gentlemen! (ride) Di vocalist valide ce ne sono già moltissime, quindi ci è sembrato un ottimo punto di partenza da cui cominciare. Non vorrei, però, che passasse il messaggio che si tratta di una compilation: è un vero e proprio concept album, costruito ad hoc attorno alle protagoniste. L’esempio perfetto del tipo di lavoro che abbiamo fatto è Ax, che canta un pezzo dedicato alle sue bambine perché è venuta a registrare con il pancione…

B: Sulla scrittura torneremo dopo, nel frattempo chiederei alle ragazze quipresenti di presentarsi…

Lil’Cora: Mi chiamo Cora e, come diceva prima anche Al, vengo da Perugia. Ho il piacere di collaborare con lui e Daniele anche dal vivo come corista, e canto già da qualche tempo; non è il mio lavoro, ma mi piacerebbe prima o poi riuscire a farlo a livello professionale. In Umbria ho due band: la prima si chiama Lil’Cora & The Soulful Gang ed è un progetto che rivisita brani soul anni ’60, dalla Motown alla Chess Records passando per la Atlantic. Il secondo progetto, invece, si chiama Honey Attitude, ed è più orientato verso il funk anni ’70. Nel frattempo, si vocifera che insieme ad Al Castellana io stia scrivendo i pezzi per un album interamente targato Lil’Cora… (ride)

Nicole: Io sono Nicole, vengo da Trieste e in Bless the ladies interpreto Miracle Man, il primo singolo estratto. Anch’io canto da un po’ e ho vari progetti, soprattutto incentrati sulle cover, ma anch’io sto lavorando al mio disco, che sto scrivendo personalmente. In passato ho collaborato con vari artisti, soprattutto con Elisa, di cui sono stata la corista per tanti anni, e con i Tiromancino, con cui ho anche registrato un brano per il loro album (Verso Nord_, estratto da_ Illusioni parallele_, ndr_).

Lady Drumha: Io sono Alessandra, meglio nota come Lady Drumha, e arrivo da Udine. Conosco Al da diversi anni perché sono anch’io una delle sue coriste, e anch’io canto da un po’. Da cinque anni faccio parte del FVG Gospel Choir, il coro della regione Friuli Venezia Giulia, con cui abbiamo fatto delle cose davvero grandi: ad esempio ci siamo esibiti all’Arena di Verona per ben tre volte, una delle quali per accompagnare Stevie Wonder. Mi è piaciuto molto entrare a far parte del progetto Bless the Ladies, innanzitutto perché racchiude persone che stimo molto, e poi perché è un gran bell’album italiano che non ha nulla da invidiare ai progetti neo soul realizzati all’estero.

B: Daniele, manchi solo tu!

Daniele Dibiaggio: Mi chiamo Daniele ‘Speed’ Dibiaggio, vengo anch’io da Trieste e sono un pianista poi approdato alle tastiere. Un bel giorno, mentre suonavo in una cover band, Al Castellana ha fatto il suo ingresso nel locale e mi ha scoperto, per poi portarmi con sé nel suo meraviglioso mondo soul. Per me era tutto molto nuovo, ma ho imparato in fretta, riscoprendo dischi fantastici come quelli degli Earth, Wind & Fire o dei Cameo. Abbiamo scritto insieme Funk me to the moon, il disco solista di Al uscito nel 2011, e ora anche Bless the Ladies.

B: Tornando al processo produttivo dell’album, come dicevate prima è stato scritto interamente da voi due. Come mai, visto che alcune di loro compongono le proprie canzoni, non avete richiesto anche la partecipazione delle ragazze che hanno cantato?

A.C.: Mi piacerebbe molto che tutte le ragazze mi portassero dei pezzi loro su cui lavorare, ma non sempre è facile, anche perché vengono da vari generi musicali. Diciamo che stavolta ci faceva piacere parlare soprattutto della nostra musica utilizzando delle interpreti femminili. Come raccontavamo prima, però, i pezzi sono stati tutti modellati sulle ragazze che li avrebbero cantati, e a ciascuna di loro è piaciuto molto il proprio, il che vuol dire che abbiamo colto nel segno. Certo, se avessimo scritto un brano sul genere “Siamo in un club e te la faccio vedere”, magari qualcosa da ridire lo avrebbero avuto! (ridono tutti, ndr) Scherzi a parte, a me piace molto scrivere canzoni: a volte mi riesce bene, altre volte meno, ma credo che stavolta abbiamo centrato l’obbiettivo. Tant’è che nell’album ci sono solo due cover: Superwoman (where were you when I needed you) di Stevie Wonder, cantata da me, e They say I’m different di Betty Davis cantata da Dorina. Anche questa è stata scelta ad hoc per lei, che ha partecipato a X Factor qualche stagione fa e effettivamente è diversa da tutti gli altri concorrenti di talent in circolazione, tant’è che non si è fatta lusingare dalle proposte commerciali e se n’è andata in Germania per studiare il jazz.

B: Ascoltando il disco si sentono parecchie affinità con il tuo precedente album Funk me to the moon, cosa abbastanza ovvia visto che è stato scritto dalle stesse persone. Com’è stato riascoltare un sound molto personale come il tuo ricantato da qualcun altro?

A.C.: È stato molto bello, perché ciascuna di loro ci ha messo del suo, pur rispettando il canovaccio che ci eravamo preparati. La gente ci dice che Soul Combo ha un suono preciso, e questo mi piace: bella o brutta che sia, la mia musica è riconoscibile. Le ragazze hanno dato un tocco in più al progetto, ragion per cui probabilmente daremo un seguito a quest’album utilizzando però le loro idee: saranno loro a scrivere per Soul Combo e non viceversa.

B: Bless the ladies è prodotto principalmente per il mercato estero, tanto che quella di cantarlo in inglese è stata una scelta precisa…

A.C.: Sì, grazie al precedente disco abbiamo attirato parecchio l’attenzione dell’estero, e credo per la prima volta in assoluto ci troviamo di fronte al caso di un disco soul che discograficamente parte dal Giappone. Da quelle parti sono davvero maniacali nella loro ricerca musicale, e il progetto Soul Combo è piaciuto molto: ci hanno proposto di stampare un’edizione giapponese fisica (l’unica che uscirà), che conterrà anche diversi brani da Funk me to the moon. Ho cominciato a farmi un nome in terra nipponica, siamo molto curiosi di vedere come andrà a finire. Vista la situazione in Italia, almeno rispetto alla musica, volevamo in qualche modo bypassare il mercato italiano, però il pubblico di casa nostra ha comunque apprezzato l’idea e si è fatto vivo su iTunes (dove l’album è arrivato primo nella classifica soul/ R&B italiana, davanti ad artisti come Earth, Wind & Fire o Alicia Keys, ndr).

B: Dobbiamo aspettarci un vostro tour giapponese, insomma?

A.C.: Beh, il contratto che abbiamo firmato contempla questa possibilità, perciò credo proprio che lo faremo ben volentieri! (ride)

B: Cambiando argomento: ragazze, vorrei che ciascuna di voi desse un consiglio alle aspiranti cantanti soul che magari, per scelta o per necessità, non hanno voglia di passare tramite i talent show.

L.C.: Secondo me la prima variabile importante è cantare sempre quello che ti piace, perché è senz’altro la cosa che ti viene meglio. Inoltre bisogna scegliere di cantare per stare bene e divertirsi, e non necessariamente per arrivare da qualche parte.

N: Chi ha talento secondo me riesce ad emergere e a spiccare anche nel calderone dei talent show, dal quale infatti sono usciti anche artisti molto validi. Sono d’accordo con Cora: l’essenziale è cantare quello che piace, e metterci l’anima. Io ho fatto anche la corista: in Italia sono pochi i cantanti che ancora usano i cori dal vivo, anche perché c’è poco ricambio generazionale, ma è una strada che si può tentare. Personalmente ho avuto fortuna, perché con Elisa ho cantato agli inizi e lei, che mi conosceva bene e che come Al ci tiene molto a far suonare i musicisti della sua zona, mi ha coinvolto nei suoi tour.

L.D.: Crederci tantissimo: se ci credi, prima o poi da qualche parte arrivi. Studiare, studiare, studiare. Coltivare dei buoni ascolti, e non basarsi soltanto sulle mode del momento. Io, poi, come dicevo prima faccio parte di un coro gospel, anche quella un’esperienza molto sottovalutata in Italia. Il coro aiuta moltissimo, perché ti porta a stare spesso su un palco, ma in una dimensione più protetta, di insieme, in cui la paura è senz’altro di meno. E poi è un grande sfogo e un’ottima scuola: quando canti con altre persone impari ad ascoltare e ad avere più controllo.

A.C.: Scusate se mi intrometto, anche se era una domanda rivolta alle ragazze: vorrei aggiungere che secondo me i talent show non sono affatto il male, a patto però che i concorrenti siano liberi di cantare quello che vogliono, e quello che più li rappresenta, quando escono da lì. In America Jennifer Hudson o Fantasia sono entrambe un prodotto dei talent, ma sono riuscite ad imporre il proprio gusto nei dischi che hanno realizzato dopo. Insomma, il mio consiglio è di partecipare tranquillamente a X Factor, ma puntando i piedi: pretendete di fare ciò che sapete fare meglio, che si tratti di soul, di rock’n’roll o di musica barocca. In caso contrario la vostra carriera potrebbe prendere una piega molto spiacevole e svilente.

B: Daniele, tocca di nuovo a te. Tu, invece, che consigli daresti a un aspirante musicista soul?

D.D.: Ovviamente iniziare studiando, che sia in una scuola o a casa davanti a un tutorial di YouTube. E poi metterci tanta passione e tanti buoni ascolti. Crederci e impegnarsi, perché più ti sbatti e più vai avanti; anche senza cercare di far succedere qualcosa a tutti i costi, perché spesso le cose accadono anche da sole.

B: Dall’ultima volta che vi ho chiesto com’era messa la scena soul in Italia (la risposta era “non benissimo”, per intenderci) è cambiato qualcosa?

A.C.: Va un po’ meglio. Io e Daniele abbiamo unito le forze tra di noi, fondando Lademoto Records, e insieme ci siamo appoggiati anche a BM Records, che difatti ci aiuta a promuovere il disco in Italia. Anche BM lavora per diffondere il soul, ad esempio un artista di cui sentirete parlare presto, Noà. Qualcosa si sta muovendo; molto più al femminile che al maschile, come dicevamo prima. Non me lo spiego: quando ero giovane io c’erano tantissime band funk-soul e tutti volevano essere lo Stevie Wonder o il James Brown della situazione…

(Interviene Lefty): Credo che dipenda anche dal fatto che il soul non è più particolarmente diffuso sui media: se non è in radio o in tv la gente non impara a conoscerlo e non riesce ad appassionarcisi. Ma credo che là fuori ci sia tanta gente che lo ama e ci crede: bisogna andare a cercarla col lanternino, però, e incoraggiarla. Ogni tanto mi capita di vedere questi talent show, e chi si presenta con un background soul viene subito messo da parte. Basta fare due vocalizzi in più per venire bollato come perdente, perché quel tipo di sound non appartiene alla cultura musicale italiana.

A.C.: Esatto. Cantanti come Karima, Jenny B, Loretta Grace, volevano fare soul e ci hanno provato, e oggi dove sono? Non in classifica, ma a cantare nei locali, come tutti noi. Oggigiorno ci propinano un miscuglio di generi diversi, ma la matrice di base è sempre il pop. Attenzione, il pop non è il diavolo, ma se uno ama il soul non si capisce perché non debba sviluppare e coltivare quel tipo di talento, e anzi debba quasi vergognarsene. Me lo hanno detto per anni: “Al, i tuoi dischi sono meravigliosi, ma non hanno collocazione in un paese come l’Italia, dove perfino Beyoncé vende meno di 30.000 copie”. Noi abbiamo deciso di fregarcene: sappiamo farlo, ci piace farlo e continuiamo a farlo, e i risultati dell’estero ci danno ragione.

B: Come vedete il legame con la scena rap, invece? È cambiato dall’ultima volta che ve l’ho chiesto?

A.C.: Ci sono artisti che ormai non fanno distinzioni e discriminazioni, come il quipresente Lefty o Ghemon. Paradossalmente il soul è più presente nel rap che altrove, di questi tempi, perché i rapper hanno imparato a servirsi di questo linguaggio per fare un salto di qualità, musicalmente parlando. Io personalmente col rap ormai c’entro poco: ogni tanto faccio qualche ritornello per un amico, quando vengo coinvolto in maniera diretta anche nella costruzione del pezzo, ma per il resto l’insert cantato fine a se stesso non mi piace. Così come non mi piace il 90% del rap che sento in giro, perché non ha spessore musicale. Osservando dall’esterno, vedo un movimento underground che si sbatte e deve fare fatica per sopravvivere, e un movimento mainstream che ormai è arrivato e si rivolge allo stesso pubblico del pop italiano, con lo stesso spessore del pop italiano. Ci sono moltissimi rapper bravi in giro, però sono quelli che l’industria discografica non vi fa sentire. Insomma, a conti fatti come potrei mai inserirmi in una situazione del genere? Ormai ho un’età! (ride)

B: Progetti futuri?

A.C.: Con Lademoto Records continueremo a sfornare musica, tra cui il mio nuovo album a settembre e a seguire quello di Lil’Cora. Continueremo a collaborare anche con BM Records.

L.C.: I miei progetti futuri li ha appena spiegati Al! (ride)

N: Anche io sto lavorando al mio album.

L.D.: Cosa che vorrei fare anch’io, ma sono ancora in una fase molto embrionale.

B: Se qualcuno volesse sentirvi suonare dal vivo, invece?

A.C.: Noi abbiamo fatto concerti qualitativamente molto belli, ma quantitativamente erano molto pochi. I motivi principali sono due. Primo, facciamo un genere musicale che nelle feste di fricchettoni non va molto di moda; secondo, siamo nove elementi e abbiamo una dignità professionale, e visto che ormai non c’è quasi mai budget per pagarci decentemente, non me la sento di proporre ai miei musicisti di suonare in cambio di una paga da fame. Preferisco accettare quando mi propongono di suonare all’estero, a questo punto. Cercheremo comunque di fare qualche showcase e presentazione anche qui – anche a livello didattico, come quello che ho fatto tempo fa con il Comune di Trieste per il recupero della tossicodipendenza giovanile, un’esperienza molto commovente – però il modo migliore per sentirci è seguirci in Giappone o in Inghilterra! (ride)