Dopo i pareri positivi ricevuti con il loro ep “Hashishinz Sound Vol.1” abbiamo incontrato, nella prima vera e propria giornata primaverile di Milano, Gue’Pequeno e Deleterio che ci hanno parlato del suddetto lavoro e dei numerosi progetti futuri che li vede coinvolti. I personaggi ormai li conoscete quindi bando alle ciance, eccovi subito il resoconto di questa piacevole chiacchierata.
Blumi & Icon: Una domanda che probabilmente vi avranno già fatto in tanti: com’è nata la collaborazione tra voi due?
Gué: Tanto per cominciare, noi due avevamo già un rapporto d’amicizia da prima. Circa un anno fa, poi, durante la promozione dei Club Dogo io, Marracash e Donjoe abbiamo cominciato a lavorare sempre più spesso nello studio di Deleterio: in questa circostanza abbiamo cominciato ad ascoltare musica insieme e a trovare una bella sintonia anche artisticamente. Essendo io abbastanza prolifico mi era venuta voglia di uscire con un progetto parallelo che mi rappresentasse e mi è subito piaciuto il suo particolare suono: non tutti lo sanno, ma Del ha lavorato per vari progetti in Francia, principalmente mc toaster che rappavano sulla jungle. Così è iniziata la lavorazione di qualcosa che all’inizio doveva essere semplicemente un singolo e che poi, evolvendosi, è diventato un EP. Nelle fasi successive abbiamo anche avuto l’aiuto di Donjoe che ha supervisionato il sound.
I. & B.: Deleterio, rispetto agli altri produttori della scena italiana sei un nome un po’ meno conosciuto. Per la cronaca, raccontaci qualcosa del tuo background
Deleterio: Tutto è iniziato quando avevo quindici anni, quando ho messo mano per la prima volta a un computer e un campionatore Col passare del tempo la mia è diventata una vera e propria passione, tanto che alla fine mi sono diplomato alla scuola di tecnico del suono e due anni fa ho aperto uno studio di registrazione, che ora si sta avviando.
G.: Del, insieme a Donjoe, è ormai un altro producer fisso con cui lavoriamo. Come avrete notato, ci affidiamo sempre alle stesse persone e proprio per questo Del sta lavorando al nuovo disco di Marracash.
I. & B.: Tornando a parlare del tuo suono, possiamo dire che si distacca dal classico sound delle produzioni hip hop: immagino che tu sia stato influenzato da molti altri tipi di musica
D.: Sì, come dicevamo prima in Francia ho lavorato con mc che cantano sopra la drum’n’bass, che è un genere che mi piace molto. Già allora cercavo di dare una programmazione meno classica alla batteria e anche adesso cerco di trovare strade alternative rispetto alle sonorità più comuni: siamo nel Duemila, per me bisogna cercare di rinnovarsi e soprattutto di uscire dai confini mentali dell’Italia e cominciare ad andare oltre. Non ha senso limitarsi a proporre il classico schemino anni ‘90, soprattutto quando si ha a che fare con un flow come quello del Gué, che per me è parecchio innovativo.
G.: Esatto. A tutti noi piace il suono della Golden Age, ma onestamente in Italia c’è un suono troppo standard, e da anni. Senza fare i presuntuosi noi pensiamo all’europea , ci rapportiamo ben poco alla scena italiana; certe cose che si sentono a casa nostra sono anche belle, per carità, ma si appiattiscono molto su un unico modello. Il nostro concetto di rap è in continua evoluzione, perfino il nostro primo album, anche se ci ha fatto raggiungere grandi traguardi, inizia ad avere 3 anni e non ci rappresenta più come un tempo: alcuni pezzi sembrano davvero troppo sul filone metà anni ‘90. A rischio di non piacere ai b-boy italiani, preferiamo fare qualcosa di diverso, come appunto questo EP, che secondo noi è qualcosa di fresh.
I. & B.: A questo proposito, Deleterio, quali sono le fonti principali a cui attingi per creare i tuoi beat?
D.: Funk, soul anni ‘70, musica italiana, quello da cui pescano un po’ tutti. L’unica differenza è che cerco di metterci anche un po’ di sonorità più nuove: lavorare troppo coi synth non mi piace, però mi sforzo di trovare un giusto connubio tra le due cose.
G.: È impossibile pretendere di riprodurre certi particolari giochi di synth americani se non hai dei costosissimi macchinari che ti permettono di finalizzare il suono in un certo modo: proprio per questo è giusto cercare di personalizzare il proprio stile, senza voler per forza imitare quello che senti altrove. Quelli che vogliono strafare senza averne i mezzi fanno un po’ sorridere, come i vari 9th wonder dei poveri… è sempre l’intenzione meno il risultato raggiunto.
I. & B.: Una curiosità: pensate di fare un video di almeno uno dei pezzi?
G.: Per noi realizzare un video vuol dire realizzarlo bene: farlo tanto per fare non è il nostro stile, sarebbe come se facessimo un cd tanto per fare. È difficile pensarci quando non hai molti soldi a disposizione, anche se devo dire che c’è gente che riesce a fare un ottimo lavoro anche con mezzi minimi, come Bod e la sua crew ad esempio. Ci piacerebbe fare un video low budget ma molto creativo, magari per Piombo a tempo, in questi giorni ne stiamo parlando coi produttori ( Produzioni Oblio) ma non c’è nulla di certo per ora. Parlando invece più in generale, una buona filosofia sarebbe quella di realizzare un video street di un pezzo più pesante e un video un attimo più patinato di un pezzo più leggero, da destinare a radio e televisione. Non sempre però un contratto con un’etichetta indipendente ti fornisce tutti i fondi necessari per questo genere di cose.
I. & B.: Gué, poco fa ti definivi l’mc più prolifico tra tutti i Club Dogo: stando così le cose, perché hai pubblicato un semplice EP e non un intero album?
G.: Non voglio nulla togliere agli altri miei soci… ma diciamo che ho più tempo per scrivere. Avrei preferito anch’io realizzare qualcosa di più consistente, infatti anticipo che il volume 2 sarà sicuramente un LP. Parlando di questo primo capitolo, invece, non c’è stato un vero motivo per cui è uscito sottoforma di EP: quando abbiamo avuto i pezzi in mano ci siamo ritenuti soddisfatti e abbiamo deciso di fermarci lì. Calcola anche che di lì a poco io avrei dovuto cominciare a lavorare al nuovo disco dei Club Dogo, cosa che ora abbiamo iniziato finalmente a fare e che ci prenderà molto tempo. Per quanto riguarda l’essere prolifico, a volte bisogna farlo per lavoro, come quegli mc americani o europei che passano il loro tempo a registrare freestyle o scrivere strofe a ritmi pazzeschi. Diciamo che per me essere prolifici è una caratteristica professionale: non riesco a concepire un artista che pubblica due dischi in dodici anni. Preferisco continuare a lavorare, finché riesco a restare su un buono standard qualitativo, e cerco di collezionare più fogli possibili per mantenermi.
I. & B.: A proposito, qual è stato il processo creativo dei pezzi? Chi propone e come si perfeziona?
D.: Effettivamente questo progetto è stato un po’ pazzo
G.: Beh, come tutti i nostri progetti!
D.: Infatti. Capitava che io avessi un beat che a Gué piaceva e su cui iniziava a scrivere; poi, una volta registrata la strofa, magari io intervenivo a modificare certi suoni, o magari rifacevo proprio tutto un altro beat che si adattava di più alla sua interpretazione. A quel punto anche lui decideva di cambiare di nuovo qualcosa, ad esempio il ritornello Siamo andati avanti così per un bel po’, finché non siamo stati tutti soddisfatti del risultato finale.
I. & B.: Avete pubblicato tutti i pezzi su cui avete lavorato o ne avete scartato qualcuno?
D.: Li abbiamo tenuti praticamente tutti: siamo molto soddisfatti di quello che abbiamo fatto.
G.: Sicuramente abbiamo puntato più alla qualità che alla quantità e, senza falsa modestia, crediamo di aver realizzato un prodotto curato e fuori dagli schemi. Il risultato
è stato questo anche perché abbiamo preferito concentrarci su poche cose: nella nostra testa è come se si trattasse di un singolo di Piombo a Tempo e/o Amore e odio, a cui si sono aggiunti dei bei b-side.
I. & B.: Gué, entrando nello specifico dei pezzi, tu utilizzi sempre metafore molto ricercate: l’hip hopper medio italiano, in genere molto giovane, difficilmente riesce a coglierle. Vuoi proporti a un pubblico più adulto?
G.: Non è che io mi voglia proporre a questo o a quell’altro pubblico: per selezione naturale ci siamo trovati a diventare un gruppo che non si rivolge più semplicemente alla scena hip hop italiana, ma ha un raggio molto più ampio. Questo ci viene dal nostro suono e dal modo di fare e comunicare penso.. e dall’aver suonato in situazioni in cui altri gruppi italiani non si sono mai trovati: negli ultimi due anni abbiamo fatto più di cento live nelle location più varie, dalle luccicanti alle marcissime, dai club agli squat, è una bomba quando magari ti fa i complimenti per la tua musica un punk, uno zarro, un fighetto o un ,rockkettaro è un circolo virtuoso. Insomma, è vero che magari per una certa fetta di pubblico è più facile recepire quello che ho da dire, più abituata agli schemi e agli slang dell’hip-hop, nello stesso tempo non mi sembra di avere uno stile così sconvolgente da comprendere ..i commenti più ricchi mi arrivano comunque da persone che amano e ascoltano la musica in generale. Ogni tanto ti viene il dubbio che il ragazzino b-boy che compra il tuo disco non colga tutto quello che deve cogliere, ma purtroppo chi fa arte non può allegare un libretto di istruzioni alla propria opera né decidere a chi venderla. Se il mio rap è un miscuglio di riferimenti, dalla rima ignorante alla citazione della letteratura greca, la mia massima aspirazione é ovviamente quella di essere apprezzato da ogni categoria di persone.
I. & B.: Piombo a tempo, come già Cronache di resistenza, è un pezzo molto particolare per quanto riguarda sonorità e stile, ma anche dal punto di vista dei contenuti. È un’esigenza, per te, rapportarti a temi sociali?
G.: Io ritengo fondamentale colpire i miei ascoltatori con le parole, poi ovviamente ciascuno può essere più o meno d’accordo con il punto di vista (quando ce n’è uno) espresso nei pezzi. Le tematiche sociali sono in qualche modo da sempre parte del mio background, considerando il fatto che mio padre è uno scrittore che si è occupato a lungo di storia e controinformazione; oltretutto credo che parlare della realtà che ti circonda sia una prerogativa dell’hip hop, anche se in Italia magari è un aspetto poco considerato. Per quanto io mi senta molto vicino ad argomenti più impegnati, però, resta il fatto che vanno affrontati in maniera fresca, senza per questo accantonare le punchlines e lo stile. Piombo a tempo si è evoluto molto durante la sua lavorazione, e il risultato voleva essere un pezzo da club, ma sovversivo, un pezzo da pogo, ma meditativo: una specie di ossimoro in musica, se vogliamo chiamarlo così. È diverso da Cronache di resistenza anche perché quello, che è stato il primo pezzo che abbiamo fatto con i Club Dogo e che venne realizzato nel 2001, era ispirato più che altro dagli avvenimenti del G8 di Genova.
I. & B.: Che nessuno si muova, invece, è un esperimento praticamente inedito in Italia. Come è nato questo pezzo?
G.: Per quanto riguarda il testo, nasce dall’amore per alcuni artisti americani degli anni ‘90, soprattutto Kool G Rap, che è il peso massimo della narrativa gangsta. Oltretutto il mio modo di scrivere è pesantemente influenzato anche da libri e film, e lo stesso è per Marracash, che ha partecipato al pezzo, quindi possiamo considerarlo anche come un omaggio a un certo filone cinematografico. Il beat lo considero eccezionale. Anche Note killer era più o meno su quella falsariga, anche se è più easy listening: nasceva infatti come una storia di gangster che abbiamo voluto sceneggiare e mettere in scena.
D: Confermo che ci è voluto molto lavoro per terminarlo. Abbiamo campionato un italiano, ma non diciamo chi, per creare un’atmosfera da film, come una specie di colonna sonora: questo dovrebbe già aiutare a capire da dove viene il sample
I. & B.: Dalle nostre parti lo storytelling è un genere molto marginale, in effetti, mentre voi cercate sempre di inserirne una componente in tutti i vostri dischi. Perché ci tenete così tanto?
G.: Chi ama un certo tipo di rap, come appunto quello di Kool G Rap, AZ, Scarface, e chi ama il cinema noir e criminoso come noi può apprezzare lo storytelling; a noi prende sempre bene farlo.. Per quanto riguarda gli argomenti scelti, si tratta sempre di catturare l’attenzione dell’ascoltatore: onestamente uno che mi racconta di lui che prende l’autobus o che fa la coda alle Poste non mi prende granché. Preferisco piuttosto raccontare un film in rima, qualcosa che rimanga in testa alla gente.
Si tratta di gusto personale, a me piace accostare all’ultrarealismo strofe di fiction, o narrazioni esasperate, sta al buonsenso e all’intelligenza dell’ascoltatore capire dove finisce la realtà. Rispetto e apprezzo moltissimo allo stesso modo chi fa un rap prettamente realistico e veritiero con sentimento e stile, lo spessore è alla base di tutto.
D.: Secondo me se in Italia è così poco considerato è anche perché sono in pochi a saperlo fare bene
I. & B.: Anche Amore e odio è molto particolare, sia perché gli mc italiani non sono molto lanciati sulle canzoni d’amore, sia perché nella produzione dei Club Dogo finora non ce n’è mai stata una vera e propria. Come mai avete deciso di provarci?
G.: Questo è un pezzo nato in maniera molto spontanea: noi non ci siamo mai limitati nelle tematiche , e visto che anche l’amore è un aspetto della vita, non vedo cosa ci sia di così particolare. In Italia un argomento del genere è sempre stato considerato la chiave per accedere ai passaggi in radio, ma per me non è così: nell’hip hop alcuni tra i miei brani preferiti sono canzoni d’amore, come ad esempio Mahogany di Rakim. In questo caso, però, Amore/ odio non ha un significato particolarmente autobiografico, volevo semplicemente descrivere i due poli opposti in un rapporto con una donna. Potrei dire che l’ho fatto per il gusto di usare certe parole, certe metafore: è soprattutto il frutto della mia passione per la poesia, che ultimamente sto cercando di mettere a frutto in molte delle cose che faccio.
I. & B.: In effetti in questo periodo sei rimasto coinvolto in molti progetti che la riguardano, anche in ambito più accademico: mi riferisco alla tua collaborazione con la Levi’s per la slam poetry in radio, o al fatto che siete stati integrati in un racconto presentato a un concorso letterario, o anche alla recente tesina in Antropologia Musicale che aveva per oggetto un brano dei Club Dogo
G.: Ne sono felicissimo, perché è il segno che quello che riusciamo a trasmettere va al di là del semplice esercizio di stile. L’amore per la letteratura e la poesia farà sempre parte del mio modo di comporre: cerco sempre di mantenere alto lo spessore delle liriche, senza la pretesa di essere il Neruda dell’hip hop italiano. Questi episodi che hai citato non significano certo che siamo diventati un gruppo da convivio di poesia, perché la nostra forza è anche l’attitudine street e la potenza sul palco ma ci lascia comunque molto contenti. Certo, magari una cosa del genere fa più piacere a me, così come a Vincenzo ad esempio farebbe piacere la possibilità di suonare nelle carceri: tra di noi ciascuno ha le proprie attitudini e le proprie aspirazioni. La mia è soprattutto la scrittura, e spero e non escludo in futuro di poter scrivere qualcosa anche al di fuori dell’ambito hip hop.
I. & B.: In chiusura, progetti futuri?
G.: Continueremo i nostri live, che vanno avanti ormai da due anni in un tour perenne:
io e Del saremo in giro tutto maggio per dei set di promozione per l’EP. Ritroverete Deleterio sull’album di Marracash, che uscirà a settembre e s’intitolerà Popolare (ma ancora non chiedeteci se uscirà sotto etichetta o autoprodotto) e su altri album italiani come il debutto dei Mazzini Maghreb, di cui ultimamente avete sentito il massiccissimo Royal Mehdi in Trafficanti di Sogni. Per quanto riguarda i Club Dogo, siamo in studio per preparare del materiale nuovo: ancora non sappiamo bene come sarà strutturato, ma probabilmente faremo uscire un primo cd street, in forma strettamente indipendente, e un LP ufficiale tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006. Donjoe sta producendo per grossi artisti italiani, come ad esempio Kaos, e stranieri. Aggiungerei che il nostro EP si può ordinare su areadicontagio.com a 10 euro comprese le spese di spedizione, in modo da sfatare le critiche sul prezzo troppo alto. E vorrei sottolineare che se un nostro supporter scarica il disco, non fa altro che limitare la nostra possibilità di pubblicare e promuovere materiale futuro: ovviamente nessuno ha i soldi per comprare tutti i dischi che vorrebbe, me compreso, ma sta alla sensibilità di ciascuno capire quali artisti vengono davvero penalizzati dai download.
Per info su Gue’Pequeno, Deleterio e i Club Dogo:
-Visita il Club Dogo online: www.clubdogo.org
-Acquista Hashishinz Sound a 10 euro in tutta Italia comprese le spese di spedizione: www.areadicontagio.com
-Informazioni sul Poison Studio Milano [email protected]
-Date live aggiornate: www.vibrarecords.com