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Rayan & Intifaya: l’intervista

21-05-2020 Luca Gissi

Rayan & Intifaya: l’intervista

È raro trovare coppie musicali legate a livello di sangue: questo porta ad una strana complicità e ad un’empatia molto particolare. Rayan e Intifaya , fratello minore e maggiore, condividono musicalmente le loro vite, vite che pur avendo vissuto sempre da vicino si differenziano per le varie esperienze. Lo fanno con annesso tutto il linguaggio più moderno, sia nei testi che in musica, ma con salde radici: la musicalità e i flow sono molto importanti e ricercati seppur le rime rimangano serrate. Il quadro che troviamo in & , loro primo disco ufficiale uscito poche settimane fa in pieno lockdown , ha alla base questo legame da scoprire; alla somiglianza delle voci già chiara al microfono, va di pari passo la loro affinità stilistica ed in parte forse caratteriale. Andiamo però con ordine per riscoprire il loro percorso e focalizzarci su questo progetto.

Luca Stardust: Partiamo dall’inizio, perché dopo due percorsi separati avete deciso di tornare insieme con un intero progetto?

Rayan: Entrambi siamo partiti con un percorso solista, anche se comunque molto tempo fa avevamo già fatto i primi album, primi singoli, primi progetti. C’era una sorta di collaborazione, facevamo musica insieme ma eravamo più solisti. Poi dopo un po’ di progetti e raggiunta una certa maturità musicale ci siamo accorti che se avessimo unito i nostri due mood avremmo trovato una formula che funzionasse, anche per i nostri gusti.

L. S.: Qual è il limite e il vantaggio di lavorare tra fratelli?

Intifaya : Almeno nel nostro caso nell’essere fratelli non ci sono limiti, ci sono solo punti a favore perché tra di noi c’è alla base una competizione per provare ad alzare il livello. Quando facciamo una traccia insieme proviamo sempre a fare la traccia più figa possibile, quindi stando assieme proviamo sempre a sviluppare cose più nuove.

L. S.: A livello musicale come avete vissuto la vostra città, Padova, credo caratterizzata da una certa mentalità di provincia…

R: Durante il primo percorso musicale sicuramente ha avuto ancora più influenza su di noi, perché quando abbiamo iniziato non c’era ancora questa cosa del rap che lo facevano un po’ tutti, le serate non erano nelle discoteche ma magari nei centri sociali. C’era meno esposizione e sicuramente questo ha formato sia gli artisti che erano già qui che gli artisti con cui lavoravamo; ad esempio registravamo da Wairaki al Vandaland attorno a cui si è sviluppata tutta una realtà padovana. Avevamo un gruppo che si chiamava Young Attitude con altri tre ragazzi della città. Con il tempo siamo riusciti a tirar su questa realtà, nel senso che quando si è sviluppato il rap e abbiamo capito si potesse arrivare a molte più persone, siamo arrivati anche noi con la nostra musica. Sicuramente però per lo stile musicale abbiamo preso sicuramente qualcosa dall’immaginario della città;

I: Vorrei aggiungere che vivere in una città come Padova, quindi abbastanza isolata dalle dinamiche che può avere Milano, ci ha fatto lavorare tanto di più sulla musica, passare tanto tempo in studio per migliorare e uscire anche da questi confini. Quindi penso abbia avuto dei pro e dei contro;

R: Sì sicuramente la voglia di uscire dalla city e farci sentire anche fuori c’ha dato una marcia in più.

L. S.: Avendo alcuni anni di differenza credo veniate da due generazioni leggermente diverse. È così anche a livello musicale?

I: La differenza di età a livello musicale non ha dato grosse differenze, perché comunque lo stare insieme ha fatto sì che lo stesso rap che ascoltavo io, che sono un po’ più grande, passasse anche attraverso Rayan, roba che quindi ascoltavo io e che poi gli è entrata anche a lui inconsciamente. La differenza di età si percepisce più nei contenuti, magari io uscivo già prima, avevo i miei giri lui altri, quindi nelle esperienze di vita sicuramente diverse. Siamo cresciuti entrambi col rap e ci ascoltiamo cose sulla stessa wave. All’inizi anche per questioni di lingua ascoltavo molto italiano, quindi Dogo, Inoki, Noyz e sono venuto fuori da quella scuola lì; di americani invece passando un po’ più sull’old school ascoltavo Nas, Mobb Deep; poi invece ci siamo proiettati su robe che uscivamo in Europa o anche in America come Young Thug.

R: Sicuramente la roba che ci ascoltiamo adesso è cambiata rispetto a una volta perché ascoltiamo più roba estera rispetto alla roba italiana. Se dovessi fare qualche nome ti direi Future, Young Thug, gente che può aver ispirato non solo noi ma il modo stesso di fare questa musica.

L. S.: Per quest’album invece, com’è andata in studio con i vari produttori?

I: È nato tutto in modo molto naturale anche per l’amicizia. Wairaki è nostro amico e facciamo musica insieme da anni quindi registrando a casa sua capita spesso di creare qualcosa insieme; poi abbiamo collaborato con Master Cubo, un ragazzo di Padova, che produceva ancora prima che io rappassi ed ha avuto la possibilità di spaccare uscendo dalla sua ombra. Poi anche CRVEL che è un ragazzo di Gold Leaves, ragazzo del 2000 presente anche nel disco di Nitro, che ho conosciuto nelle varie serate. Mi ha fatto sentire un po’ di beat e abbiamo collaborato anche con lui;

R: Sicuramente sono tre producer che viaggiano su wave diverse, però questo è un punto in più al disco, hanno stili diversi ma ci abbiamo viaggiato su perché ci siamo trovati di grande intesa.

L. S.: A livello produttivo dietro c’è anche il progetto Gold Leaves Accademy, una realtà importante della vostra zona…

R: Abbiamo sempre avuto Vicenza vicino anche per le serate. Beccavamo spesso Dj Ms perché organizzava battle di freestyle o anche concerti di artisti, ci siamo conosciuti in giro. Ho avuto la possibilità di conoscerlo bene allo Sherwood, una delle mie prime battle, e ci siamo presi subito bene e da lì ci siamo sentiti negli anni. Poi è arrivata la sua proposta di lavorare insieme perché ci trovavamo bene sia come persone sia musicalmente parlando e da lì sono comunque due anni che ho iniziato a lavorare con Gold Leaves; poi hanno incrementato la mia musica con mio fratello e adesso è tutto un unico progetto.

L. S.: Tornando all’album, ad esempio Haram approfondisce le vostre radici familiari…

I: Io e Rayan siamo di padre palestinese di madre metà giordana metà italiana, le influenze di avere due culture ha influito molto di più sull’esperienza di vita, perché se devo parlarti di musica magari in Palestina ci sono influenze mediorientali che non riguardano tanto il nostro dna. Però ci ha dato una chiave di lettura diversa e libertà di espressione, mi bacio le mani alla possibilità di tornare giù. Haram è stata la possibilità di mettere quella cultura dentro il nostro mondo musicale.

L. S.: Essendo tra i pochi ad uscire in questo periodo, la situazione corona virus invece come ha influenzato l’uscita?

R: A livello musicale sicuramente penso sia stata una limitazione per tutti questo periodo, come a livello personale, però allo stesso tempo l’abbiamo presa quasi come una scusa per uscire perché noi avevamo questo progetto in cantiere da un po’ e stavamo già lavorando a cose nuove. Non mi sembrava il caso di non fare uscire la nostra musica nonostante la gente non uscisse di casa. Non abbiamo fatto troppo conto al fatto che magari la gente fosse meno attiva; questa mossa comunque è stata presa bene da un sacco di gente, c’è stato un forte riscontro e siamo contenti di averlo fatto uscire lo stesso;

L. S.: Qualche pensiero sull’ambito live invece?

I: Credo che nessuno potrà fare concerti per un po’. Avevamo due/tre date subito dopo l’uscita del disco, ma anche quelle ci sono state annullate. Speriamo che sta roba si risolva presto così possiamo ribeccare tutta la gente in giro, suonare anche il nuovo disco; non vediamo l’ora!