L’hardcore diventa con il tempo uno stile sempre più di nicchia, ancora di più di quanto non lo sia già di per sè. Alcuni rapper di ieri con il tempo affievoliti, cambiando genere o approccio, si sono distaccati da questa sottocultura, altri rapper di oggi ne stanno bene alla larga, eppure il genere conta ancora i suoi valorosi rappresentanti. Tra questi, nell’underground più recondito lontano dalle mode e dalle classifiche, troviamo Sklero Man, rapper che da sempre unisce uno scenario molto crudo ad un’attitudine hip hop classica, concimata da una sottile attenzione per argomenti di natura sociale ma pur sempre da rime ad effetto, punchline ed egotrip. Un mix ben calibrato che sta alla base anche del suo ultimo album Controvento, pubblicato proprio recentemente: su quest’ultimo, sul suo background artistico e sulle sue intenzioni ho avuto il piacere di fargli qualche domanda. (Continua dopo la foto…)
Luca Stardust: In un’epoca di omologazione anche in campo musicale, Controvento è un titolo che marca sin da subito le tue intenzioni che si accostano da sempre all’ambiente underground. Ma per chi non ti conoscesse, a cosa vai in controvento?
Sklero Man: Essere controvento è la mia attitudine. Sono sempre andato contro corrente rispetto alla massa, fin da ragazzo e, soprattutto, mi sono sempre sentito fuori posto. Ero solo io o comunque eravamo in pochi a fare questa cosa, anche oggi che la musica rap o urban è ascoltata da più persone rispetto a una volta non si ha più identità come cultura, io non scendo a compromessi, non mi reinvento ma mantengo il mio stile e rimango coerente.
L. S.: L’omologazione appunto è un tema molto importante e ricorrente in diverse tracce. Secondo te perché è un problema sempre più dilagante e perché ha colpito anche l’hip hop, un genere di natura esattamente contraria?
S.M.:L’omologazione è un problema perché, in generale, la musica è arte. Il rap lo vedo come una forma d’arte poetica, se resta limitato a un solo stile, a un solo suono non fa crescere nessuno e non trasmette nulla di serio. Puoi fare un pezzo orecchiabile, ma finisce lì. Non rimane un pezzo che ti riascolterai dopo anni. Con questo non ce l’ho con chi fa trap, rispetto i colleghi perché hanno una loro identità, ce l’ho con chi va dietro la moda del momento volendo fare quello che fanno loro, senza minimamente cercare di avere una propria personalità.
L. S.: Al contrario dell’omologazione c’è il disapprovare qualcosa e l’interessarsi ad un’altra, in questo caso l’interesse per l’hardcore e per un suono più classico. Credi che in uno stile come questo la forma e l’approccio siano più importanti del contenuto o che vadano di pari passo? Tu cosa fai pesare di più?
S.M.:Per come la vedo io, sono due cose che devono andare di pari passo: la forma e l’approccio sono importanti ma senza il contenuto, dopo un po’, tendi a essere monotono. Sicuramente voglio il beat che spacca e la rima tagliente ma non voglio fare solo punchline. Il contenuto è molto importante ma quello che propongo non sono argomenti da enciclopedia, quanto più storie, non voglio fingermi chi non sono. Quindi propongo il mio immaginario fatto di storytelling, storie horror e mettendo in luce i problemi “scomodi” di questo pianeta, che spesso vengono messi in secondo piano o tenuti nascosti.
L. S.: Nei featuring oltre a nomi cult e dell’ambiente come Tormento, Gast e File Toy, ne troviamo altri come Bunna e Leila che vengono rispettivamente del raggae e dal soul, generi anche questi in controvento rispetto al mercato, che donano varietà al disco. Da cosa nascono queste collaborazioni e come mai hai scelto anche stili molto lontani da te?
S.M.:In realtà non sono così lontani da quello che faccio, o più che altro da quello che mi ha formato. Rispetto a quanto ho detto prima, il raggae ha sempre affrontato delle tematiche sociali o parlato di strada ed è un genere che in America o in altri Paesi, rispetto all’Italia ha sempre avuto un collegamento con l’hip hop, e uno ha contaminato l’altro (basti pensare alla collaborazione tra Nas e Damian Marley); discorso simile anche per il soul. La scelta di mettere Bunna nella traccia Persi deriva dal fatto che cercavo qualcuno che avesse la giusta maturità per affrontare quest’argomento, cantando nel ritornello una speranza. Gli Africa Unite sono stati un gruppo con cui sono cresciuto fin da ragazzo, e che ho sempre stimato. Quindi, anche se il pezzo non ha chissà quale sonorità raggae, ho pensato alla sua voce. Quando gli scrissi per chiedergli la collaborazione rimasi in ansia nell’attesa della sua risposta, perché non sapevo se gli sarebbe piaciuta l’idea, e quando mi è arrivato il suo messaggio, non l’ho aperto per un giorno interno per paura di sapere cosa pensava. Invece Bunna è rimasto molto contento del sound e della tematica e poi ha voluto invitarmi, abbiamo passato una serata insieme davanti a una birra chiacchierando di musica e del pezzo. Scoprendo un vero maestro di vita e una persona di cuore dietro il mio idolo d’infanzia che fino a quella sera avevo visto solo sopra al palco. Invece la traccia Guarda Avanti ha il ritornello di Leila, che prima di essere una grande cantante è una mia grande amica. Erano già diversi anni che discutevamo di una possibile collaborazione e dato che questa traccia nella mia testa richiamava nuovamente un ritornello cantato è stato automatico aver pensato a lei per questa parte, visto che la sua voce si prestava perfettamente al beat.
L. S.: Il disco ha diversi scenari e attitudini, da story telling a rime chiaramente immaginarie, da pezzi più malinconici a pezzi sul sociale. In particolare l’influenza cinematografica di un certo tipo di horror si fa sentire ad esempio in Calma Apparente e Teschi Fratturati. Per questo ti chiedo, nella stesura dei testi cerchi di trasformare in parole immagini che ti colpiscono o piuttosto descrivi immagini che ti vengono in mente? E inoltre per rimanere in tema quali sono le tue influenze extra-musicali?
S.M.: Non ho uno schema preciso. Mi trovo, a volte, a mettere in rima scene di film o racconti, come per esempio ho fatto nella traccia Calma Apparente, ispirata a un film del 2001, “Jeepers Creepers”. Ho cercato di raccontare in un brano la mia visione di quello che mi ricordavo del film tirandone fuori un racconto in rima. In altri casi, invece, ho delle immagini o pensieri logicamente contaminati dai racconti, film e serie Tv che guardo e, a differenza del disegno, nel rap mi ritrovo a descriverle con le parole, ottenendo a volte un risultato anche più crudo e più profondo di quello che avrei potuto ottenere attraverso il disegno. Tra le altre naturali contaminazioni c’è il mio lavoro: sono un tatuatore e mi sono specializzato nello stile chicano, sono affascinato dalla cultura latino-americana e dalle sue iconografie. Nel brano La Santa, per esempio, prendo spunto da questa cultura cercando di ritrarre una fotografia di questo culto… ho dato il mio personale omaggio a la santissima.
L. S.: Come e dove hai intenzione di portare sui palchi il disco? Hai date in arrivo?
S.M.: Ho intenzione di portare questo disco su più palchi possibili. Ora stiamo lavorando alle prove, per tirare giù una buona scaletta. Anche perché, per me la performance live è molto importante. Mi piacerebbe avere la figura di un Dj che sappia scratchare dal vivo, per riportare questa disciplina di nuovo alla luce. Per il momento stiamo lavorando per delle date che saranno svelate più avanti. Ma se mi volete a suonare nella vostra città potete mandare una mail a [email protected]