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Forelock: l’intervista

20-11-2018 Haile Anbessa

Forelock: l’intervista

Forelock è certamente una delle voci più interessanti e dotate del panorama reggae e nostrano. Con i suoi Arawak ha prodotto recentemente To the Foundation, un autentico tributo al Crown Prince della musica in levare Dennis Brown. Vediamo che cosa ci ha raccontato all’indomani dell’uscita di questo potentissimo disco.

Haile Anbessa: Forelock come hai iniziato ad appassionarti al reggae? Forelock: avevo più o meno 16 anni e mi finì tra le mani un album dei Gladiators… Ancora non so come e da dove arrivò ma trovai questo disco che ovviamente ascoltai per curiosità. Sono stato rapito immediatamente dal magico modo con cui quella musica riusciva ad ipnotizzarmi. Mi ricordo che ho ascoltato tantissimo i Gladiators per poi scoprire subito dopo Jacob Miller, i Black Uhuru, Misty in Roots, Steel Pulse, Matumbi, sino ad arrivare al king Marley che effettivamente arrivò molto tardi tra i miei ascolti. Da lì in poi ho cercato qualsiasi musica si ispirasse alle sonorità giamaicane.

H. A.: quale percorso hai compiuto per poi approdare a queste sonorità? F.: sono nato da una famiglia di musicisti e cresciuto tra musicisti… Ho iniziato con il pianoforte da bambino per poi proseguire gli studi sino a laurearmi in Musica e Nuove Tecnologie al Conservatorio di Sassari. Durante il percorso di studi conobbi un musicista africano che mi fece appassionare alle sonorità della musica tradizionale africana e più precisamente della Costa d’Avorio. Ho collaborato per diversi anni con un ensemble di percussionisti dove ho avuto modo di conoscere e sviluppare le varie tecniche degli strumenti a percussione africani e tutto il mondo che quella cultura musicale nasconde e di cui mi sono innamorato da subito. Iniziai a collaborare come percussionista con una piccola band reggae della mia città… progetto che durò pochissimo ma che ricordo come il mio primo approccio live al reggae.
Poco tempo dopo mi trovavo ad una dancehall e conobbi Franco (ai tempi voce e chitarrista degli Arawak) mi disse che avevano bisogno di un tastierista e che avevano intenzione di propormi di suonare con loro per un breve periodo… l’idea era che sostituissi il loro tastierista che ai tempi doveva lasciare per qualche mese l’Italia per questioni di studio.

H.A.: gli Arawak quando e come sono nati? Tu quando hai iniziato a collaborare con loro? F.: gli Arawak nacquero nel 2003, la formazione ha subito diversi step negli anni. Iniziai come tastierista e con il tempo cominciai a scrivere e proporre le mie cose alla band. Scrivevo sia le strumentali che i testi ai cantanti di quel periodo. Passò poco più di un anno e feci il mio primo esperimento alla voce che funzionò… una volta rotto il ghiaccio, lavorarci e cantare le cose che scrivevo fu un evoluzione abbastanza semplice e soprattutto spontanea. All’inizio eravamo tre voci che si alternavano, io avevo molta voglia di fare e probabilmente è stata una forte necessità di espressione a portare me ed Arawak alla formazione attuale. Mi riferisco al momento in cui il progetto è rinato come Forelock & Arawak.

H.A.: come è stato il passaggio dalla Sardegna a Bologna? Perché lo hai fatto? F.: se la domanda è “ti sei pentito di aver lasciato un clima mite per assaporare il freddo umido bolognese?” allora ti dico che è stato ed è ancora un passaggio difficile!
Scherzi a parte, Bologna ci ha accolti come ospiti ben graditi. Avevamo già dei link fondamentali a Bologna in quanto il nostro booking Django Concerti fa base qui e quindi è stato decisivo il loro contributo soprattutto nei primi periodi.
Il motivo per cui ho deciso di lasciare casa è che sono stato spinto da una forte ambizione, orgoglio di non abbandonarsi al “no, non si può vivere di musica anche quando un progetto underground è seguito ed inizia a funzionare”. Arrivavano tante richieste da promoter e situazioni in cui venivamo invitati ma troppo spesso non c’erano le condizioni finanziarie per colmare il gap che il mare impone agli isolani. Negli ultimi anni attraversare il mare è diventata una spesa assurda, inverosimile e tante volte ridicola. Continuo a sostenere che sia responsabilità di chi amministra i trasporti quella di garantire alle isole dei collegamenti con la penisola che abbiano dei costi molto più contenuti di quelli attuali. Questo dovrebbe valere sia per il sardo che decide di andare a Milano/Venezia/Roma ecc… sia per il milanese/veneziano/romano che vuole venire in Sardegna a godersi anche solo un weekend tra i paesaggi magici che la Sardegna possiede e vanta.
Ci troviamo ancora in una fase di mezzo in cui ci godiamo l’agilità dello spostarsi facilmente con un mezzo mentre coviamo un po’ di nostalgia per la Sardegna.

H.A.: e con Paolo Baldini e i Mellow Mood in che modo hai cominciato a collaborare? F.: coi Mellow Mood ci siamo incontrati subito dopo la loro vittoria al Rototom Contest attorno al 2008/2009… ci siamo piaciuti da subito! Ci dicevamo quanto figo sarebbe stato fossimo vissuti nella stessa città o comunque abbastanza vicini per poter creare delle relazioni collaborative più facili. In realtà poi col tempo è nato un rapporto di stima ed amicizia enorme che ha colmato anche le distanze. Vedi il fatto che abbiamo dato vita alla squadra La Tempesta Dub con cui continuiamo a progettare e investire sulle produzioni. Credo che la nostra conoscenza abbia generato un sanissimo rapporto di competizione benigna (che va avanti ancora oggi) ed è una cosa che ci permette di sfruttare il confronto per crescere nel miglior modo a livello artistico.
Baldini è arrivato poco dopo, ha sostenuto dall’inizio la mia figura come cardine per il progetto Arawak. All’inizio ha collaborato con noi per una dub version che gli avevamo commissionato, poi provammo con le prime produzioni… Poi è arrivato il primo Dubfiles video, quello di “Leave I or Love Me Forever”, mentre organizzavamo il cantiere per la produzione del nostro disco “Zero”… da quel momento è partita una bellissima discesa che cavalchiamo insieme da qualche anno ormai.

H.A.: hai qualche voce a cui ispirarti per il tuo stile vocale? F.: Konshens, Ziggi Recado, Jah Cure, sono stati quelli che inizialmente hanno acceso in me la voglia di provare ad avvicinarmi a quello stile. Poi ho desiderato così tanto provare a cantare come Dennis Brown per vedere se la pelle d’oca (goosebomps) dipendeva dalla sua voce o dall’intramontabile bellezza delle sue canzoni… È stato questo desiderio a dare inizio al lavoro per “To The Foundation”.

H.A.: parlami del nuovo album “To the Foundation”… F.: abbiamo messo in gioco tutte le skills di Arawak insieme a quelle di Baldini e alle mie. Ci siamo approcciati alla fase di registrazione così come facevano i musicisti negli anni settanta. One take, one shot… tutti gli strumenti in una stanza, si stacca il 4 e si parte dall’inizio alla fine senza sosta. Poi le sessioni della voce, stessa cosa. Ci sono dei brani che sono venuti fuori al “buona la prima”. Credo che questa modalità abbia dato al disco un’organicità che un po’ desideravo per il nostro lavoro precedente “Zero”.
Con questo modus operandi abbiamo scelto 6 cover di Dennis Brown, le abbiamo registrate e utilizzato gli stessi strumentali per fare delle version originali alternative, sopra le quali mi sono cimentato con dei deejay style mentre Baldini ha colorato tutto con la sua inconfondibile firma.

H.A.: cosa ti piacerebbe realizzare prossimamente e con chi? F.: col prossimo lavoro mi piacerebbe misurare il livello di versatilità che riusciamo a raggiungere sia dal punto di vista strumentale che canoro. Mi piacerebbe esplorare le varie sfumature della musica reggae dalla quale non riesco ad allontanarmi e che mi ha letteralmente rubato l’attenzione. Ci sono diversi artisti moderni che mi hanno colpito e devo dire che la cosa curiosa è che in qualche modo finisco sempre per incontrarli, questo mi mette nelle condizioni di poter costruire un rapporto collaborativo reale… È successo, anche da poco e ci sto lavorando!

H.A.: stai già preparando qualcosa? F.: attraverso sempre dei periodi molto produttivi ed altri meno… dal punto di vista della creatività e della voglia di mettermi a lavoro, sento di essere già pronto per il prossimo disco! È chiaro che sto cavalcando le varie soddisfazioni che “To The Foundation” continua a procurarmi e mi rendo conto che anche nell’aspetto produttivo c’è bisogno di avere un ritmo fisiologico. Questo serve per permettere a ciò che facciamo di ricevere tutte le attenzioni che si merita. Credo che comunque non passerà troppo tempo prima che io, gli Arawak e Paolo ci metteremo di nuovo a lavoro ma abbiamo un bel programma e calendario per questo fine 2018 e soprattutto tutto il 2019. Cercherò di concentrarmi il più possibile sui frutti di “To The Foundation”, lavoro di cui sono davvero orgoglioso, e sui live. Nei prossimi mesi infatti saremo molto impegnati con concerti in città come Roma, Ravenna, Milano, Modena, Padova, Fermo, Brescia e anche in India per varie date tra cui il Goa Sunsplash!