Antigravity è il nome dell’album della coppia trentina Drimer & Ares Adami, uscito il 9 giugno su tutte le piattaforme digitali. Il disco li vede coprotagonisti in ognuna delle 14 tracce prodotte dal collettivo Beatmakers With Attitude (Apoc, Freshbeats, Zesta, Sandal) e da Nost Nolli, il quale si è occupato anche di tutta la parte di missaggio e mastering.
Ares e Drimer hanno avuto l’occasione di presentare live Antigravity al Playground di Bolzano – festival che ogni anno si può definire come il Capodanno dell’hip hop del capoluogo altoatesino – appena il giorno dopo la pubblicazione e, al termine dell’esibizione, è stata la volta di scambiare quattro chiacchiere con i due rapper per parlare del disco. (Continua dopo l’immagine)
Gabriel: Avete più volte detto tramite i social che questo è uno dei migliori dischi rap che usciranno quest’anno: per quale motivo?
Drimer: In realtà la prima puntualizzazione è che l’ho scritto molto più io di Ares, che è molto più umile, alle volte sbagliando, di quanto lo sia io (e anche meno legato ai social network, ndr)… Il motivo per cui ritengo che questo possa essere uno dei migliori dischi rap dell’anno è innanzi tutto la coerenza, cioè il fatto che nonostante affronti diversi tipi di stili, sia un disco che riesca ad essere coerente dall’inizio alla fine, con un brano come Working Class Rap, che parla di lavoro e struggle, e un brano come Get Loose, che parla di scopate ed estate…
Ares: Fare classifiche è sempre complicato, poi non è che ci interessi granché, era solo un modo per dimostrare che nonostante magari certi artisti e certa musica non abbiano così tanta esposizione, questo non significa che i prodotti che si possano sfornare non siano di qualità per certi versi superiore alla gente che è più esposta in questo momento. Siamo molto fieri di questo disco e ci teniamo a ribadirlo.
G.: Cosa significa per Drimer lavorare con uno di quelli che quando ha iniziato guardava come modello da seguire e cosa significa per Ares fare un disco con “il bocia” che lo prendeva come esempio e che è “il bocia” che più di tutti ce l’ha fatta? (Continua dopo l’immagine)
D.: Io l’ho ribadito anche sugli stessi social, sui quali scrivevo che secondo me questo era il lavoro più bello, o uno dei lavori più belli che secondo me sarebbero usciti… è un onore fare un disco con Ares ed è anche un cerchio che si chiude, in un certo senso, perché la mia prima battle di freestyle l’ho fatta perché Ares, nonostante io fossi l’ultimo dei nessuno e lui fosse già un elemento importante della scena, si “accollò” di spiegarmi dove sarebbe stata, quando e come… e comunque c’era sempre lui a capitanare tutte le situazioni, un po’ come capita ora a me. E poi mi sento di dire che è bello il fatto che le persone persone ritrovano alchimia nel disco, che, comunque sia va detto, vede due artisti che hanno 12 anni di differenza, e però confermano che l’hip hop e le esperienze comuni sono superiori addirittura a quelle della vita stessa, perché ti portano – almeno all’interno di un disco – ad azzerare quelle differenze. Quindi per quanto mi riguarda questo disco è una ciliegina sulla torta di tutto quello che ho fatto fin qui, soprattutto a livello locale, e un trampolino di lancio rispetto a quello che cercherò di continuare a fare fuori, soprattutto a livello nazionale.
A.: Grande! Sì, diciamo che siamo molto contenti dell’amalgama che si sente nel disco, nonostante appunto la differenza d’età, di esperienze e di vissuto. Quando io ho “beccato” Drimer le prime volte, ho riconosciuto subito il talento. Ed è proprio per questo motivo che al “bocia” abbiamo sempre rotto i coglioni (ride, ndr), abbiamo dato per lo meno mazzate morali, per fargli capire un paio di cose… poi lui di suo ha un sacco di forza di volontà e determinazione ed è riuscito a venire fuori con le sue “robe” in maniera molto forte, sia artisticamente, sia come impatto. Quindi per me lavorare con una persona che si è messa in mano i coglioni e ci ha messo il cuore al cento per cento fin dall’inizio – un ragazzo che quando abbiamo cominciato con il disco aveva 21 anni -, vederlo così convinto e sapere perfettamente quali sono i suoi obiettivi con la sua musica, mi ha dato veramente un grande stimolo. Io sono sempre stato uno che tendenzialmente se ne stava per i cazzi suoi, per le retrovie, ho sempre fatto quello che dovevo fare e sono fiero di quello che ho fatto, però vedere quanto ci crede Drimer mi ha stimolato molto nel prendermi sul serio come artista che trasmette la sua arte in maniera così forte.
G.: Non è usuale vedere due rapper che fanno un disco insieme, tanto meno se hanno docici anni di differenza come voi. Che difficoltà avete incontrato nella creazione di Antigravity?
D.: Sicuramente c’è sempre stato un problema di distanza, perché nonostante Ares sia ovviamente un rapper trentino a tutti gli effetti, da tempo vive a Treviglio, vicino a Milano, mentre io sono a Trento e lo studio dove abbiamo registrato il disco si trova a metà strada, vicino a Brescia, ma in un posto un po’ difficile da raggiungere – tra l’altro un saluto va a Nost Nolli, che ha curato tutto il processo di registrazione, mix e master alla perfezione. Però, appunto, la nostra voglia di fare le cose per bene ha portato i suoi frutti e anche se ci abbiamo messo tanto tempo, rispetto a quanto ce ne avremmo messo se avessimo lavorato vivendo più vicini, il risultato è stato lo stesso e forse anche migliore.
A.: Diciamo che per il metodo di lavoro che abbiamo – siamo entrambi molto pignoli e orgogliosi in ciò che facciamo – ogni tanto ci sono stati degli scontri anche abbastanza forti su delle sottigliezze, come la singola parola di un ritornello o la sporca fatta in un determinato modo. Ma questo perché ci tenevamo a far uscire un prodotto di qualità. Poi in realtà le canzoni, per quanto riguarda il processo di scrittura, sono uscite tutte in maniera super veloce, trovandoci molto bene insieme; il problema è stato trovare il tempo materiale per registrarle e, in alcuni casi, farle suonare meglio di come le avevamo pensate.
G.: Una domanda che deve sorgere spontanea, vista l’ambientazione dell’intervista, svolta al Playground di Bolzano, dove si è addentrato nel mondo del rap Moab e dove lo avete conosciuto. Com’è lavorare ancora adesso con un ragazzo che è più giovane di entrambi, ma in un paio di anni ha conquistato la scena con le sue grafiche, arrivando persino a gestire il team americano che ha dato vita alle copertine dei due dischi che hanno lanciato i Migos nelle classifiche di tutto il mondo?
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D.: Mi sento di dire che è più Stole, che nonostante sia un grafico di estremo successo, continua a lavorare con noi. Questo perché essendo lui cresciuto con gli stessi esempi – lui era e credo sia tutt’ora molto vicino a Base (negozio di streetwear a Bolzano, uno dei simboli della cultura hip-hop bolzanina, ndr) – credo che abbia lo stesso tipo di testa e di mentalità che abbiamo noi e che condividiamo con le altre persone. A prima vista può non sembrare per degli aspetti esteriori, ma in realtà è così e questo è il motivo per cui nonostante avrebbe tutti i diritti e i motivi di non farlo, è ancora gasato, ovviamente alle giuste condizioni, di collaborare a un disco che di sicuro, per quanto andrà bene, non gli darà mai il responso di progetti che può curare anche ‘solo’ in Machete e che invece gli garantiscono. Big up Stole!
A.: Stole è un grande e vedere un ragazzo così determinato, a dispetto di tutta questa mandria di rincoglioniti tra i quindici e i vent’anni, che prova a investire nel proprio talento, è un bello stimolo.
G.: Andando ad analizzare il disco, la titile track, “Antigravity” è un featuring, anche questa una cosa che non capita molto spesso. Che importanza ha Egreen per la vostra concezione di fare rap e quanto lo è la sua strofa per questo disco?
D.: All’inizio ero dubbioso sul fatto di fare la title track con uno dei featuring, ma anche il fatto che fosse una cosa strana mi ha invogliato a farla. D’altra parte Egreen per me ha sempre avuto un ruolo che chiunque ascolti la mia musica sa. L’ho citato tantissime volte: fa l’intro del mio mixtape uscito l’anno scorso, lo cito addirittura in questo stesso disco disco, nel brano We Serious!… lo cito veramente tante volte. E questo perché sono sempre stato un suo grande estimatore e ho sempre portato grande rispetto per un artista che ha sempre cercato di continuare a fare una determinata cosa in un periodo storico in cui non era facile, soprattutto qualche anno fa. Per me quindi avere una sua strofa nel disco, come già lo era stato avere semplicemente la sua voce nell’intro di Scrivo Ancora, è stata una soddisfazione enorme e tant’è che anche stasera portando il pezzo live abbiamo deciso di tenere comunque la sua strofa, perché per me è proprio un orgoglio andare sul palco e dire che abbiamo una strofa di Egreen nel disco. Per il tipo di percorso che lui ha avuto, è qualcosa che ti certifica.
A.: Nico è prima di tutto un amico. Lo conosco da un po’. Pensa che era venuto ad Arco (una piccola città in Trentino, ndr), dove avevamo organizzato un concerto di Ill Bill. Lui mi aveva scritto dicendomi che era il suo fan numero uno in Italia e chiedendomi se ci fossero possibilità di conoscerlo. Poi era venuto alla jam e siamo rimasti in contatto… quindi per me ha un valore ancora maggiore, perché lo stimo tanto sia come rapper, sia come persona, per quanto ci crede in questa roba. Quindi sono molto contento di avere fatto un pezzo non solo con un emcee che ritengo tra i migliori d’Italia, ma anche con una persona che stimo molto a livello umano.
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G.: Le altre due collaborazioni sono con due artisti, anch’essi di spicco, come Kiave e Dj MS, testimonianza, per tutti coloro che ancora non se ne fossero accorti, che il rispetto della scena non vi manca.
D.: Chiunque non si fosse accorto di questo, soprattutto per quanto riguarda Ares, doveva essere molto poco al corrente delle cose. Io posso sembrare, magari dal punto di vista dei numeri e dell’esposizione, un pochino più conosciuto, ma in realtà, soprattutto se si parla di rispetto da parte dei membri della scena – tutti, da quelli storici più vecchi a quelli storici più attuali, e quindi da un Moddy, a un Danno, a un Kiave – lo rispettano. A chiunque mi chieda di Ares gli rispondo sempre che lui magari lo conosce da quel giorno, ma tutti i suoi rapper preferiti lo conoscono da sempre, perché ha sempre spaccato. Per quanto mi riguarda poi, con Dj MS ho già collaborato tanto e personalmente è il deejay con cui mi trovo meglio a collaborare, perché è super forte e disponibile, oltre che un esempio lavorativo e di fotta; mentre avere la possibilità di fare un featuring con Kiave, oltre che artisticamente anche da fan antico, è stato molto positivo perché si tratta di una persona che mi ha aiutato molto; anche con i laboratori.
A.: Simone MS è un amico da una vita e Mirko (Kiave, ndr) è uno degli MCees più forti in Italia da tempi non sospetti, uno che incarna anche certi ideali. È la prima volta che facciamo un pezzo insieme: finalmente è capitata l’occasione con il nostro disco! Per quanto riguarda Simo, considero anche lui un talento cristallino e veder cosa fa lui per la sua scena (facendo riferimento in particolare alla Gold Leaves Academy, ndr) è bellissimo. È uno che si è sempre sbattuto un sacco per gli altri e non si può che volergli un sacco di bene.
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G.: I tappeti su cui avete steso i vostri testi invece sono stati tessuti dai Beatmakers With Attitude (Zesta, Apoc, Freshbeat, Sandal) e da Nost Nolli, che vi ha ospitato anche per le registrazioni. Sembra un messaggio che testimonia che nonostante siate legati a producers come Big House, Menevolt o Ric De Large, non vi limitate e anzi spaziate andando a scegliere una rosa di produttori che addirittura non li comprende in nessun pezzo.
D.: In realtà l’aneddoto che sta alla base del disco è che non siamo noi ad aver scelto i produttori, ma i produttori ad aver scelto noi per chiederci di fare un disco insieme. Il collettivo Beatmakers With Attitude ha avuto l’idea di fare qualcosa prodotto da loro, con me e Ares come protagonisti. Poi in realtà con il passare del tempo abbiamo preso noi in mano la cosa ed è diventato un nostro disco con loro che hanno comunque curato le produzioni – e li ringraziamo per questo. In realtà eravamo lontani ma vicini a loro, perché avevamo già collaborato con loro e, ad esempio, Freshbeat è mio compaesano. Nost, prendendosi carico di registrazione, mix e master, si è inserito nel progetto di produzione creando dei beats che ci mancavano e completando così l’opera.
A.: I “regaz” fanno delle produzioni incredibili, perché sono ragazzi talentuosi che ci mettono impegno e cercano sempre di suonare originali. Poi anche con loro ritorna il discorso delle esperienze e delle amicizie condivise. Con loro ho un sacco di ricordi di cose che abbiamo combinato insieme… alcune che possiamo raccontare e altre no.
G.: Si può dire che il pezzo dai maggiori contenuti rivolti all’aspetto sociale a 360 gradi è Dacci Aria (feat. Dj MS). Che messaggio volete che passi tramite questo testo?
A.: Il nostro punto di vista è davvero soggettivo. Entrambi abbiamo cercato di dare le nostre chiavi d’interpretazione della società. C’è sempre questo nemico interno o esterno, a cui bisogna cercare di trovare delle alternative, facendosi domande anche ad esempio sul ruolo dei media o su come vengono percepite le notizie. Io spazio di più sulla mia sfera lavorativa, mentre lui si fa domande più sulla sfera familiare o politica… Mi piacerebbe che trasparisse questa voglia di cercare delle risposte importanti. Ultimamente sento molto questa asfissia. Sarà che mi sono trasferito dal Trentino alla Lombardia e quindi i ritmi sono più frenetici e anche il mio modo di scrivere ne ha risentito e ho cercato di dare delle immagini abbastanza crude e penso di esserci riuscito, in modo tecnico ma simbolico.
D.: Le risposte che cerchiamo sono l’aria che chiediamo nel titolo. In questo caso ha detto quasi tutto Ares. Il pezzo vuole essere una nostra considerazione rispetto la società che viviamo e, visto l’aspetto molto viscerale del disco, in ognuna delle strofe appare quella che è la nostra esperienza personale – per lui l’asfissia lavorativa e per me magari più la visione dei ruoli delle forze potenti che stanno nella nostra società e la influenzano negativamente.
G.: In “Sapore di Salem” invece criticate l’ipocrisia odierna e l’operato di certi addetti ai lavori che in alcuni casi non fa bene alla musica. Che cosa vorreste che cambiasse nella scena e in tutto il mondo imprenditoriale che gira intorno al rap? (Continua dopo l’immagine)
D.: La prima cosa che vogliamo sottolineare è che in realtà Sapore di Salem è nato come un pezzo tipicamente rap, con delle strofe cattive ma senza dei bersagli ben precisi, che sono venuti fuori per il tipo di strofe che abbiamo scritto. Il siparietto del giornalista e del manager in realtà è stato inserito più per gag che per attaccare i due tipi di personaggi. Per quanto mi riguarda stiamo vivendo un momento bellissimo in cui il rap ha una sovraesposizione costante e quindi tutti – anche persone con meno possibilità di un tempo – hanno la loro opportunità di trovare posti dove rappare e pubblici presso i quali affermarsi, ma non bisogna far si che questo lato positivo ci impedisca di vedere molti lati negativi e di condannarli, come invece tanti evitano di fare. Questi possono riguardare gli addetti ai lavori o anche il distorcere le carriere da parte dei social network, come scrivo nel pezzo. Tutte piccole cose che abbiamo inserito in un brano che di partenza era solo il tipico “pezzo rap”.
A.: Questi fanno cagare e quindi è giusto che qualcuno se la prenda… detto proprio in modo palese. Mi sento comunque di dire che qualcuna di queste persone non ha la minima conoscenza musicale, tecnica e non gliene frega niente. Sono lì solo per fare la parte dei teatranti. Io posso essere tollerante fino a un certo punto, capisco i nuovi modi di espressione, le nuove influenze musicali e tutto… ma stai facendo rap di merda e portando avanti messaggi del cazzo, quindi te ne puoi andare a fare in culo.
G.: Il disco in generale pare sia stato creato per essere fatto live, così come è sempre stato per tutta la vostra musica. Tra le diverse dimostrazioni di tecnica e skills che offrite a chi vi ascolta ci sono gli scambi di rime in cui arrivate a chiudere mezza barra a testa alternandovi al microfono, cosa che fate spesso in freestyle e avete riproposto in More Drama, ma che è raro vedere da parte di chiunque, difatti lo stesso Ensi, mostro sacro di questa disciplina, a tratti non riuscì a starvi dietro in un freestyle a fine serata due anni fa a Rovereto. È un vostro cavallo di battaglia, che pensate possa distinguervi da tutti gli altri rapper che si esibiscono in coppia?
(Continua dopo il video di More Drama, realizzato da Nicola Corradino)
A.: È una cosa nata per caso, mezza per divertimento, che però venendo riprovata si è dimostrata essere una tattica vincente, anche perché non lo fa nessuno e devi dimostrare alla gente che stai improvvisando. Non c’è spazio per pensarci troppo. Anche questo fatto di creare discorsi di senso compiuto alternando una barra a testa è una bella sensazione, perché il pubblico reagisce molto bene e per me il freestyle è quello: puro intrattenimento, cercare di far star bene la gente durante la festa, darle qualcosa di nuovo.
D.: Abbiamo iniziato a farlo e quando abbiamo fatto il disco ci siamo proprio detti che ormai la gente quando ci vede in live sa che accadrà questa cosa del freestyle con una barra a testa. Tant’è che – per fare una piccola digressione – quando c’erano da fare le squadre per il Mic Tyson a Milano, Nerone ha chiamato me e Ares ovviamente perché individualmente siamo forti, ma soprattutto perché voleva avere delle persone che sapessero scambiarsi molto bene all’occorrenza. Anche questo ci ha soddisfatto ed è un segnale di come la gente rimandi a noi questa “skill”, che necessita sia delle skills in sé, sia della conoscenza reciproca. Per cui, nonostante ci sarebbero stati altri pezzi più “passibili di fare hit e diventare numero” abbiamo deciso di puntare su More Drama, che è il manifesto programmatico del disco: rap fatto come si deve, in cui ti spacchiamo il culo dicendo cose serie e mostrando questa nostra forte capacità di equilibrarci.
G.: L’ultimo pezzo del disco, “Get Loose”, è molto ballabile e anche un po’ piccante. Vi piacerebbe riuscire a crescere e trovare sotto i vostri palchi un pubblico formato da entrambi i sessi?
D.: Sicuramente con il rap, soprattutto quello che facciamo noi, è difficile arrivare alle “ladies”. Non per loro, ma quanto più per i canali attraverso cui la musica passa. Una volta, anche se non le vedevi alle jam, le ragazze che orbitavano intorno all’universo rap ascoltavano quello. Adesso il genere si è quasi diviso tra il tipo di rap fatto apposta per le ragazze e quello che sembra doverle escludere, quando invece non è così. Non abbiamo fatto Get Loose per cercare chissà quale allargamento della fetta del pubblico, ma perché a me piace Drake e ad Ares piace un certo tipo di musica come il reggae o il sound system…
A.: È un beat dall’influenza molto caraibica e quando Freshbeat ce lo ha mandato, abbiamo pensato subito che sarebbe stato ideale per fare un pezzo un po’ più leggero, più ballabile, mantenendo comunque alto il livello del rap, ma magari accentuando di più la musicalità. Il ritornello mi è venuto in mente in Birmania mentre mi stavo rilassando. Il pezzo era pronto, ci mancava solo quello e avevamo già pensato a delle persone a cui potessimo affidarci, ma non avevamo trovato niente che ci soddisfacesse. Mi è venuto di getto, gliel’ho mandato su Whats’App e appena sono tornato dal viaggio siamo andati in studio a registrarlo, mentre quello che originariamente doveva essere il ritornello (“Io non ho mai… Io non ho mai… Io non ho mai”) è diventato il bridge. Siamo contentissimi di come gira il pezzo e che sia una cosa che si differenzia un po’. È molto ballabile e ha un’atmosfera molto groovy, crea una bella vibe… e usare un linguaggio piccante con il giusto flow e in maniera che sia comunque elegante è un’aggiunta al pezzo.
G.: Concludo con due domande più personali per entrambi.
La prima è per Ares. Il disco ha nella versatilità dei propri protagonisti uno dei punti di forza, poiché rappate con stili diversi su strumentali completamente diverse l’una dall’altra. In F.U.K.M. vi destreggiate su un beat di Freshbeat dalle sonorità trap, non esattamente l’ambiente in cui gli ascoltatori sono abituati a trovare Ares Adami. D’altra parte però tu vieni dalla dancehall: quanto questa tua esperienza ti ha aiutato a rappare su un beat di questo tipo? E quanto ritieni sia importante che i rapper non scordino di proporre messaggi e contenuti anche su strumentali così “fresche”?
A.: Questo era l’intento del pezzo: dimostrare che anche su una base trap si può rappare in maniera per lo meno dignitosa e mandare quei due o tre messaggi, che non serve siano per forza “Salva il mondo” o “Difendiamo le balene e le foche in via d’estinzione”, ma che siano importanti e ti facciano avvicinare al tema trattato. Non mi si sente molto sulle sonorità trap, perché mi è più vicino un altro tipo di sound, ma non mi metto dei limiti e se il beat spacca ci rappo sopra e basta. L’hip-hop nasce dall’esigenza di trasmettere un messaggio, quindi se voglio dire qualcosa, su un supporto musicale di qualunque tipo, lo faccio. Per quanto riguarda invece l’influenza della musica che ascolto – reggae, raggamuffin, dancehall, chiamiamola come volete – devo dire che mi ha aiutato un sacco. Il DJ style che viene dalla Giamaica ti permette di adattarti a tanti tipi di beats. Io questi deejay – che nel reggae sono gli MCees, è una cosa un po’ strana ma funziona così – li ho studiati molto e mi hanno aiutato tuttora a interpretare una base trap come quella di F.U.K.M., cercando anche attraverso i riferimenti di far passare quello che è il mio background.
G.: La seconda è per Drimer. Alla fine della tua strofa in Antigravity torni a ricordare il motivo per cui fai il rap: “La nostra bandiera sull’albero maestro / Coi miei lupi alle spalle, chiamatemi San Francesco / E se voler cambiare il mondo ad oggi è un reato / Vostro onore mi dichiaro colpevole per questo”. Tu vuoi cambiare il mondo. Credi che avere obiettivi nobili o comunque profondi come questo sia d’aiuto o sia un macigno pesante da trainare, nell’evoluzione di una carriera musicale?
D.: Intanto mi piace molto che tu abbia “sgamato” quelle piccole cose all’interno del disco che vogliono essere il collegamento con i miei lavori da solista, come questo messaggio – peraltro non scontate da inserire in una traccia come Antigravity, traccia che sia io sia Ares – e ovviamente anche Egreen – siamo riusciti a trasformare non nel solito pezzo rap che parla di rap, ma anche in qualcosa in più. Per rispondere alla domanda, direi che dipende sempre da che punto di vista si guarda la cosa. Se si parla di un mero vantaggio dal punto di vista dei numeri, non sono io a dirlo ma è consolidato che tutte le cose lontane dal portare un messaggio pesante – che, sono il primo a dirlo ci stanno – e tutte le altre cose che non hanno minimamente un messaggio hanno più hype, quindi ovviamente dal punto di vista del mercato fare un pezzo più impegnato diventa un problema. Però dal punto di vista della soddisfazione personale non può che essere un qualcosa in più, perché avere come pezzo più ascoltato – pur non facendo numeri esorbitanti – Noi non vi vogliamo per me vuol dire riuscire in una cosa a cui molti altri hanno rinunciato e a cui io non voglio fare a meno. Smussando infine il discorso riguardante il mercato, in un periodo storico in cui tanti artisti – chi per un motivo e chi per l’altro – non parlano di certi argomenti e non si espongono, anche se posso essere tacciato come noioso, parlare di ciò di cui si parla di meno può contribuire a formare un personaggio. Io ora posso uscire con un pezzo che parla solo di politica senza pormi problemi, perché so che la gente si aspetta questo da me. Per chiudere in bellezza, secondo me si realizza così un bel circolo virtuoso per il quale il pubblico del rapper – che si ingrandisce più lentamente rispetto agli altri ma si ingrandisce – oltre al pezzo che deve spaccare, vuole, o quantomeno non disdegna, il fatto che il pezzo tratti determinati contenuti; mentre sicuramente certi altri artisti non possono – purtroppo – dire lo stesso.