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Mecna ci racconta un disco per l’estate (scritto in inverno)

26-06-2018 Marta Blumi Tripodi

Mecna ci racconta un disco per l’estate (scritto in inverno)

Chiunque abbia ascoltato almeno una canzone di Mecna nella sua vita sa che odia l’estate. La prima cosa straniante, quindi, è prendere atto del fatto che per la prima volta nella sua carriera ha deciso di pubblicare un disco proprio in occasione della bella stagione. Oltretutto Blue Karaoke suona parecchio estivo, anche nel mood. “L’idea di uscire d’estate è arrivata un po’ per creare una rottura” racconta nella sede di Universal, la sua nuova casa discografica, mentre cerca di dribblare le domande sulla trap, l’autotune e lo stato dell’arte dell’hip hop italiano che alcuni giornalisti generalisti continuano a proporgli. “Non so se i pezzi suonino davvero estivi, ma sicuramente sono stati creati d’inverno. Il contrario di quello che è successo negli ultimi dischi, che erano scritti d’estate per poi uscire d’inverno”. Fatto sta che effettivamente in certi beat si percepisce un certo grado di novità e freschezza da festa a bordo piscina: piacevolissima, ma un po’ spiazzante per alcuni suoi fan duri e puri. Poco importa se i testi sono quelli malinconici e riflessivi a cui Mecna ci aveva sempre abituato. “C’è effettivamente un contrasto tra i beat uptempo e i testi tristi” ride. “E’ una cosa che avevo già cominciato a fare in Lungomare Paranoia. Mi affido moltissimo alla squadra di produttori con cui lavoro, che sono praticamente dei fratelli per me, ma nel caso di questo disco ho messo anch’io becco nei singoli beat, per dare la direzione che volevo ai vari brani. Anche perché mi piace uscire dalla mia comfort zone: per un artista è stimolante provare a fare cose nuove”. (Continua dopo il video)

Blue Karaoke è un album deliziosamente leggero (il che non significa che non sia denso), e lo è fin dal titolo, Blue Karaoke, una cosa che fa venire in mente i concerti più recenti di Mecna, in cui tutto il pubblico canta in coro le sue canzoni. “In effetti negli ultimi anni il pubblico del rap si affeziona molto di più agli artisti, il che rende ogni concerto una specie di festa” ammette. “Ma l’idea del karaoke viene anche dal fatto che, in un momento di fermento musicale anche eccessivo, in cui escono migliaia di album al mese, il karaoke è un metro di paragone per capire cosa rimane. Se trovi una canzone al karaoke, sai che vuol dire che è durata nel tempo. Il che è un po’ il mio auspicio, di fare dischi fatti per durare”. Sicuramente ci sono canzoni che già danno l’impressione di essere lì per restare, come Ottobre Rosso, con il featuring di Ghemon. “E’ una lettera aperta un po’ amara al rap: l’ambiente a cui appartengo è quello dell’hip hop, e sempre lo sarà, ma per artisti come me o Ghemon è sempre difficile relazionarcisi, perché risultiamo sempre degli outsider” spiega. “Ti impegni sempre al massimo, e spesso i riscontri sono meno di quelli che ti aspettavi; ma indipendentemente da questo, sono contento di come mi sta andando”. Anche 31/09 farà felici parecchie persone: “I fan mi chiedevano per scherzo di completare la trilogia, dopo 31/07 e 31/08, e alla fine ho deciso di accontentarli. È un lieto fine, perché dirsi addio il 31 di settembre, ovvero in un giorno che non esiste, vuol dire non dirsi mai addio”. (Continua dopo la foto)

Tra lieti fine e amarezze, però, c’è sempre anche la voglia di migliorarsi costantemente. “Da parte mia c’è spesso un’insoddisfazione di fondo, dettata dal volermi sempre superare” confessa. “Quando uno crede tantissimo in quello che fa cerca di portare le cose a un livello sempre superiore, e soffre se vede che non funziona. Ma negli anni ho imparato a non avere troppe aspettative, perché ci sono dei percorsi artistici che vanno in un certo modo e altri che procedono in un altro”. Una cosa è certa, però: anche se dovesse esserci uno scatto di livello nella gerarchia del rap, non smetterà di essere anche Corrado Grilli, il graphic designer. “Come dico scherzosamente in un pezzo, io ce l’ho un piano B se non funziona con la musica: il mio lavoro principale. Anzi, se non ci fosse quell’aspetto il mio lato artistico sarebbe molto limitato” racconta. “Avere un lavoro normale mi tiene a contatto con la realtà: avere un capo che ti dice cosa fare, un’occupazione che ti occupa la maggior parte del tempo e ti spinge a concentrare la scrittura solo in un certo numero di ore, tenendoti sotto pressione… Sono tutte cose che aiutano tantissimo, anche se può sembrare il contrario”. E i risultati si sentono.