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Esdì: l’intervista

05-06-2018 Riccardo Primavera

Esdì: l’intervista

Bianca è il titolo dell’ultimo disco di Esdì, giovane veterano attivo sulla scena romana da ormai diversi anni. La sua musica si contraddistingue per una forte vena autobiografica, tutt’altro che patinata, dal retrogusto cementato e spesso agrodolce. Il suo ultimo lavoro è infatti una raccolta di racconti, di vittorie e sconfitte, di momenti sereni e di rovinose cadute, affrontate sempre e comunque a testa alta. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui per capire cosa si cela dietro alle molte sfaccettature dell’album. (Continua dopo l’immagine)

Riccardo: Partiamo dal titolo: perché proprio Bianca? È impossibile non notare la presenza di questo colore nel video del singolo Senza Zucchero, accompagnato dal forte contrasto con il rosso. Cosa si cela dietro questa scelta stilistica?

Esdì: Bianca è la persona che mi sta vicino da tanti anni ormai. Mi ha visto vincere e sprofondare in momenti di gravi down, ed è sempre stata la stessa, non mi ha mai voltato le spalle; anche quando me lo sarei davvero meritato. Questo disco l’ho scritto con lei dall’altra parte del tavolo che mi diceva “Ma basta! Questa roba l’hai già detta 4 canzoni fa, questo concetto puoi esprimerlo ancora meglio, hai tanto da dire!” – è stata una bella prova. Ogni volta che terminavo un pezzo glielo volevo far sentire e la chiamavo dall’altra stanza, “Bianca! Bianca viè qua! Bianca!”… Da lì mi sono detto “Ma si, Sto disco se deve chiamà Bianca!”. Ho raccontato la mia attitudine nei confronti della vita, che è la stessa che condivido con lei, che si può banalmente riassumere nel “non arrendersi mai”, in quella che mi piace chiamare “la rivincita dei sottovalutati”; credo nella bellezza dell’esistere, che sta proprio nel perdere per poi crescere, vincere e aiutare chi vuoi bene a farlo. Tutto questo concetto ho voluto esprimerlo nel video di Senza Zucchero: la mia idea è stata quella di rappresentare in meno di tre minuti quello che per me è il senso della vita. La calma apparente di un appartamento che viene progressivamente distrutta da un’entità (può essere una donna, una sostanza, un rapporto malato con una persona, quello che preferisci) che ribalta tutto il tuo ordinario, mentre tu rimani inerme a guardare che cosa succede. Anche se ne esci “sporco”, l’importante però è che tu ci sia e che riesca a distruggere quel “male”. Dopo ci sarà tempo per riordinare.

R.: Il disco è intriso di una forte romanità, ma non di quella classica, diurna e caciarona, quanto più di quella notturna e oscura, dalle tinte malinconiche e disilluse. Com’è davvero la Roma che vive Esdì?

E.: A me piace Roma quando finalmente “respira”. Roma la considero come una grande mamma, con milioni di figli che fanno casino per tutta la casa. Di giorno non può darti troppo retta perché ha troppe persone da accontentare, ma se rimani sveglio fino a tardi la puoi incontrare mentre si sta riposando in cucina dopo una giornata piena; quello è il momento giusto per parlarle, perché finalmente può ascoltarti e aprirsi anche lei.

R.: Papà è un brano fortemente autobiografico, uno storytelling descrittivo dal sapore agrodolce. La malattia e il malessere si scontrano infatti con la forza di volontà e la voglia di lottare: quanto è difficile raccontare una storia simile in una canzone? Hai fatto ascoltare la canzone a tuo padre?

E.: Mio papà è proprio l’emblema del concept dell’album, ciò di cui ti parlavo prima. Non è stato difficile parlare di mio padre perchè ne vado fiero. La sua forza è stata proprio quella di non far pesare la sua malattia a nessuno, specialmente al figlio. Lui mi ha insegnato che ciò che conta è la sostanza, non la forma, che davanti a tutto c’è l’Uomo. Prima non ci avevo mai riflettuto abbastanza, ma da quando non vivo più con lui scopro ogni giorno quanto di mio padre c’è in me e nei momenti difficili che ho passato il suo “essere Uomo” mi ha salvato. La canzone l’ha ascoltata con me e non mi ha dato grandi soddisfazioni… Però poi l’ho sgamato che se la metteva in loop quando stava da solo (sorride, ndr).

R.: “Ma una stella brilla pure se è coperta dallo smog”: recita così un verso di Bianca. Si tratta di una di quelle immagini iconiche, in grado di racchiudere un turbinio di emozioni diverse. Che cos’è lo “smog” nella vita di Esdì?

E.: Lo “smog” sono le mie paranoie, quelle che mi hanno fatto sempre fare un passo indietro. Mi sono sempre odiato per questo: una volta per paura di non farcela, la volta dopo per paura di farcela! Lo “smog” sono anche tutti quegli opportunisti succhia energie che si cibano di te fin quando gli fa comodo per poi sparire. Lo “smog” racchiude tutte quelle persone che odiano indistintamente e senza un valido motivo, che hanno deciso di perdere in partenza e vogliono trascinarti nel loro oblio. Tutto questo mi ha sempre circondato e oscurato ma mai sopraffatto, ho sempre brillato anche se non lo vedi ad occhio nudo. (Continua dopo il video)

R.: Il disco è contraddistinto da una forte presenza femminile, alla quale ti approcci sia in maniera ironica che più seria ed emotiva. Se penso al contrasto tra pezzi come Paracula e Senza Zucchero, sembrano quasi antitetici. Parli della stessa persona? Una relazione serena funge da carburante per la scrittura o è nei momenti burrascosi che sopraggiunge l’ispirazione?

E.: Si, la donna è molto presente in questo disco, a partire dalla copertina. In realtà però è stato tutto molto spontaneo, non pensare che sia stato calcolato. Quando scrivevo mi venivano in mente ricordi che buttavo giù; più che della donna volevo parlare di come mi sentivo in quel momento della mia vita. Pensa che hai nominato il brano che ho avuto più facilità a realizzare – Paracula -, che ho scritto praticamente di getto, senza regole e ripensamenti, e il brano che per me è stato il più difficile, Senza Zucchero. E’ stato molto sofferto perché parlo di una storia che mi ha fatto stare davvero male e di cui per molti anni mi sono portato dietro, soffrendo, gli strascichi. Questo trauma mi ha fatto pensare al concetto di dipendenza – che sia essa da cose, persone, sostanze ecc – e scrivere un brano profondo sulla dipendenza, che allo stesso tempo sia utilizzabile anche come singolo, ti assicuro non è semplice. Grazie a Marco Blarzino (MVRK LNDRS) ci sono riuscito e ne sono molto soddisfatto. Per rispondere completamente alla tua domanda: il vero motore per la scrittura per me è la burrasca e chi ascolta il disco se ne accorge; anche nei pezzi più spensierati c’è sempre quel non so che di malinconico. Ad esempio in Cena sulla luna, che ha una sonorità festaiola, nel ritornello dico “ho un conto in banca ma non conto in banca; vuoi i miei soldi forza chiedi al barman; ho perso tempo pure donne e calma”. Insomma, non te sto a dì “guarda come flexo bibbi” (ride), quindi provo sempre un po’ di inquietudine anche quando sto tranquillo.

R.: Le strumentali sono ben variegate, dalle chitarre calde di Un po’ con te fino alle sonorità più attuali di Bianca. Hai sentito il bisogno di metterti alla prova su tappeti sonori diversi?

E.: Considera che io ho ascoltato circa un centinaio di strumentali per scrivere questo disco. Volevo che il suono fosse perfetto per la mia voce e per i miei racconti. Non mi sono tanto affidato agli stili (della serie “questa la faccio trap perché adesso va, però questo beat boombap mettiamolo perché è da lì che vengo”, tutte cazzate secondo me) ma alle atmosfere. In nessuna traccia dell’album senti il beat più potente rispetto al rappato o viceversa, è tutto perfettamente omogeneo secondo il mio punto di vista: questo è stato il lavoro più impegnativo nella fase di realizzazione dell’album e credo di esserci riuscito. Ne approfitto per ringraziare tutti i producer che hanno partecipato, che sono stati eccezionali.

R.: I featuring nel disco sono esclusivamente rapper con i quali collabori da sempre, persone con le quali hai prima di tutto un gran rapporto personale. I tuoi diversi anni di attività sulla scena romana però ti avrebbero permesso di portare anche nomi di spessore sul disco: come mai hai scelto di mantenerli tutti in ambito quasi familiare?

E.: Un album così intimo non avrei saputo come proporlo ad un rapper che non fosse stato un mio vero amico. Per i miei progetti non sono mai stato a favore dei featuring strategici, perché poi sono quelli che riescono peggio secondo me. Per me la musica deve emanare vita vissuta davvero e con i Santa Sangre ho condiviso ogni tipo di sciagura e vittoria. Poi anche loro sono “delle stelle che brillano pure se sono coperte dallo smog”, quindi perfetti! Ti confido che però un rimpianto ce l’ho: avrei fatto fare una strofa mega hardcore a Delgado nel suo vecchio stile: lui è un vero fratello – oltre ad essere mega talentuoso – e mi dispiace che sia assente nel disco.

R.: Ultima domanda: se dovessi spiegare a qualcuno perché Bianca è un disco da ascoltare assolutamente, cosa gli diresti?

E.: Direi che Bianca ha un bel culo… Anche solo per questo merita il tuo ascolto.