Per chi fa rap in Italia, la musica black dovrebbe essere la base, appunto. Nel senso che una conoscenza (anche sommaria) della musica nera in tutte le sue forme aiuterebbe a fare cose più belle, più innovative, più ricercate: purtroppo, però, non sempre questo succede. Anzi, non succede quasi mai. Forse proprio per questo fa ancora più piacere scoprire progetti come La Base, stavolta con le maiuscole: una band che nasce dall’unione di Kenzie, rapper ben noto alle cronache dell’underground, con il chitarrista Francesco Fioravanti e il cantante Massimo Cantisani, più un’altra manciata di musicisti di grande talento accomunati dalla passione per la black music. Il risultato è un omonimo EP che è un piccolo gioiellino e – speriamo – una carriera lunga e altrettanto preziosa: abbiamo raggiunto al telefono Kenzie per parlarne.
Blumi: Come nasce La Base?
Kenzie: Tutto è cominciato un anno e mezzo fa dall’incontro tra me e il chitarrista Francesco Fioravanti, che ha scritto tutte le musiche dell’EP: anche lui è di Ascoli, come me, e ci conoscevamo già da tempo perché ho un passato da bassista, anche se non sembra, e quindi da ragazzini frequentavamo lo stesso giro di band locali. Aveva preparato queste sei strumentali, quasi dei beat, e mi ha contattato perché gli sarebbe piaciuto che qualcuno ci rappasse sopra. Appena le ho ascoltate sono impazzito: era una vita che sognavo di poter rappare su qualcosa di suonato e fatto con gusto, ma non sapevo mai a chi rivolgermi. Abbiamo unito le forze e abbiamo contattato il cantante, Massimo Cantisani, tramite Francesco, che vive a Roma e lo conosceva per via della scena jazz locale che entrambi frequentano. Ovviamente anche lui era entusiasta all’idea. Da lì è nato tutto.
B: La vostra è una formazione fissa o siete più fluidi, per così dire?
K: Dipende da come la si intende, diciamo che tutti noi abbiamo molti altri progetti. Il batterista Davide Savarese suona in altri tre gruppi, il tastierista Benjamin Ventura in altri quattro… (ride) E tutti ci occupiamo di generi diversi, dal jazz al rap al reggae. Soprattutto gli altri membri: sono persone che hanno studiato al conservatorio, che vivono di musica e che si sono conosciute lavorando.
B: Com’è stato, per te, trovarti per la prima volta a fare parte di una band di questo tipo?
K: Un po’ strano, perché l’approccio è completamente diverso sia nella scrittura che nel live. Perché non puoi basare pezzi interi sulla punchline, ad esempio. E poi in un live rap, se per caso non ti ricordi una strofa, basta urlare un bel “pull uuuuuup!” e il dj riparte con il beat: se faccio la stessa cosa con La Base, il batterista mi tira dietro le bacchette… (ride)
B: Com’è stato, invece, scrivere i testi per un cantante, visto che sei l’autore del 100% delle liriche dell’EP?
K: Massimo mi mandava lunghissimi messaggi vocali con la melodia del cantato, usando sillabe a caso tipo na na na na oppure il fake english (un inglese farlocco e sgrammaticato che molti cantanti italiani usano mentre compongono le canzoni e non hanno ancora trovato le parole, ndr). Basandomi su quei file audio, io scrivevo il testo vero e proprio. All’inizio è stato un po’ difficile capirsi, visto che venivamo da due mondi diversi. Anche stilisticamente: a livello vocale lui è pazzesco e quindi ci tiene moltissimo a far sentire il suo talento con vocalizzi e gorgheggi. Io, invece, puntavo a qualcosa di più semplice, che la gente potesse sperare di provare a ricantare! (ride) Insomma, all’inizio ci siamo palleggiati parecchie volte le strofe e i ritornelli tra di noi, finché alla fine non siamo riusciti a trovare un punto in comune.
B: Una delle cose che più frena i rapper dal contaminarsi col soul è che bisogna confrontarsi con molte più canzoni d’amore, che a molti mc riescono ancora ostiche perché troppo “sdolcinate”…
K: Io non sono mai stato uno di quelli che scrive tanto d’amore, in effetti! Ma nell’EP si parla di argomenti diversi e a sé stanti, non c’è un filo conduttore, anche perché volevamo provare un po’ a variare e capire cosa ci veniva meglio. Sicuramente nell’album ci saranno più canzoni d’amore, perché il genere porta naturalmente a quello, ma non mi preoccupa troppo.
B: Il fatto che abbiate deciso di uscire con un EP dipende dal fatto che la scrittura dei vari brani è lunga e laboriosa, oppure è solo un assaggio e ne avete già altri pronti da tirare fuori?
K: Abbiamo usato per l’EP solo i primi sei beat che mi aveva mandato Francesco inizialmente: volevamo sperimentare, capire se la formazione poteva funzionare, se musicalmente ci saremmo trovati bene insieme. L’esperimento è riuscito e infatti stiamo già lavorando all’album.
B: Anche in termini di prove dev’essere abbastanza laborioso, rispetto al rap tradizionale…
K: Meno di quanto si pensi: prima dei primissimi live abbiamo fatto delle full immersion, mentre adesso facciamo solo un rispolvero prima del live, per rinfrescare un po’ la scaletta.
B: Che tipo di musica bisogna ascoltare, per fare un EP di questo tipo?
K: Bisogna avere ascolti variegati. Massimo ad esempio ama molto il soul classico, da Marvin Gaye ad Al Green, Francesco adora D’Angelo, io seguo tantissimo Anderson.Paak… Tutti progetti diversi, ma con un mood comune.
B: Fareste mai un talent, se ve lo proponessero? Band come la vostra sono parecchio ricercate dalle varie redazioni…
K: Uno di noi, Massimo, ha già fatto un talent: l’anno scorso ha partecipato a The Voice. Per quanto mi riguarda, la mia risposta onesta è che dipende dal talent: credo che da programmi come X Factor ci sia molto da imparare, mentre da altri (di cui non faccio il nome) molto meno.
B: Il grande dubbio, ovviamente, è: ma un progetto del genere può funzionare in Italia?
K: Bella domanda, ovviamente me la pongo anch’io. Da una parte non me ne frega un cazzo, perché amo quello che sto facendo: se piace, bene, se non piace pazienza, noi continueremo a farlo lo stesso. È vero, però, che non c’è mai stata una vera fusione tra rap e soul in Italia. Forse sarà proprio la novità ad attirare la gente: se durerà, lo scopriremo solo vivendo.
B: Come ti sembra che sia stato recepito finora?
K: Ovviamente non abbiamo fatto un boom di visualizzazioni su YouTube, ma chi l’ha ascoltato – sia su disco che dal vivo – ha avuto impressioni assolutamente positive. Anzi, colgo l’occasione di invitarvi a venirci a vedere in concerto: chi mi conosce sa che non sono uno di quelli che pubblicizza le proprie cose a tutti i costi, perciò se vi dico che merita, sappiate che è perché merita davvero.
B: A proposito: gli altri musicisti della band hanno parecchie influenze jazz, che unito al rap fa pensare immediatamente all’improvvisazione. Fate delle jam session e del freestyle durante i vostri live?
K: Assolutamente, ci lasciamo andare tutti quando suoniamo dal vivo: c’è freestyle, c’è improvvisazione vocale, c’è la jam session. Cerchiamo sempre di creare quel tipo di momento, anche con un occhio di riguardo al rap: l’ultima volta che l’abbiamo fatto, ad esempio, la band ha risuonato The real Slim Shady!
B: Tra il pubblico ci sono più amanti della musica black colta o più amanti del rap duro e puro?
K: In realtà ci sono amanti della musica a 360 gradi. Sicuramente le nostre non sono serate rap, non c’è gente che fa bordello sotto il palco con le mani alzate, per intenderci. Il nostro è un pubblico più adulto, dai 25 anni in su diciamo, a cui piace la buona musica dal vivo indipendentemente dal genere. Magari capitano ai nostri concerti per caso e non ci conoscono neanche – come è successo a Roma quando abbiamo presentato l’EP – ma alla fine si prendono bene e cantano i pezzi insieme a noi, anche se è la prima volta che li sentono.
B: Se dovessi consigliare una canzone-manifesto de La Base?
K: Sicuramente Il Senso: sia a livello di sound che di testo è quella che mi piace di più, ed è così fin da quando la canzone non esisteva ancora e avevo sentito solo il beat.
B: Ora che esiste questo progetto, cosa ne sarà della tua carriera solista? Continuerà in parallelo oppure possiamo considerarla in pausa?
K: Continua in parallelo, certo! Anzi, sto già lavorando a un album con Johnny Roy e Don Plemo, Star Trick, che dovrebbe uscire tra poco. Un progetto completamente diverso da La Base, focalizzato sul rap: abbiamo anche lanciato una campagna su Music Raiser, a cui potete contribuire.