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Jones: l’intervista

15-02-2017 Marta Blumi Tripodi

Jones: l’intervista

Se la scena rap è talmente prolifica che sforna un nuovo disco al giorno, quella soul non è da meno: tenere traccia di tutte le novità che vale la pena ascoltare è praticamente un lavoro a tempo pieno. Ad esempio, c’è la possibilità concreta che nei mesi scorsi vi sia sfuggito l’ottimo disco di Cherie Jones, o più semplicemente Jones, giovane speranza (appena 26 anni) della musica black londinese. Se così fosse è ora di recuperarlo, e di iniziare a conoscerla con questa intervista. Il suo album di debutto New Skin, fuori per 37 Adventures, è un ottimo mix di varie influenze, dall’indie pop sofisticato al jazz, passando naturalmente per il soul più raffinato: è piaciuto molto anche a Sam Smith, che con Adele è sicuramente l’esponente più in vista della scena soul inglese, tanto che pur non conoscendo Jones di persona l’ha consigliato pubblicamente ai suoi fan dopo averlo ascoltato. E se l’album non vi bastasse, domani Jones esce anche con un nuovo EP, intitolato semplicemente Acoustic, in cui rielabora i suoi brani più famosi (oltre a qualche cover e a qualche inedito) in chiave acustica. L’abbiamo raggiunta al telefono a Londra durante le prove del suo tour per scambiare quattro chiacchiere con lei, anche se è stata dura tirarle fuori le parole: per sua stessa ammissione è molto timida e preferisce esprimersi attraverso la sua musica.

Blumi: Hai dichiarato che la musica che ascoltava tua madre è stata la tua maggiore influenza…

Jones: Sì, è vero! Mia mamma per passare il tempo ascoltava molta musica soul, tutti i classici. Sono figlia unica e sono cresciuta solo con lei, e credo che passare molto tempo da sola mi abbia stimolato ad ascoltare sempre più musica e a cominciare a scriverla, oltre che per esercitarmi a cantare: era la situazione perfetta per farlo!

B: A cantare e a suonare il pianoforte hai imparato da autodidatta, giusto?

J: Esatto. A furia di passare ore ed ore ad ascoltare la mia musica preferita mi è venuta voglia di approfondirla nella pratica.

B: Da ragazzina hai partecipato a parecchie serate per artisti emergenti, che a Londra sono molto comuni, acquisendo familiarità col palco e dando così la possibilità ai discografici e al pubblico di scoprirti. Oggi come oggi, invece, i cantanti preferiscono passare tramite i talent show: cosa ne pensi?

J: I talent show, almeno quelli inglesi, non sono molto realistici: ti danno l’illusione che i concorrenti usciti di lì avranno una lunga carriera, ma in realtà quasi nessuno ce la fa. Penso che sia meglio partire da piccoli show sul territorio, come ho fatto io, e costruirti una fan base gradualmente.

B: Nel tuo caso com’è andata? Chi ti ha scoperto?

J: Era un po’ di anni che scrivevo per i fatti miei e cantavo dal vivo a Londra. Cercavo sempre nuove persone con cui collaborare e nuovi contatti nel mondo della musica, e alla fine ho conosciuto un avvocato che si occupava proprio di industria discografica. È stato lui a presentarmi alla mia etichetta. Da lì tutto è andato molto liscio: abbiamo cominciato a lavorare insieme e hanno subito capito qual era il mio sound e il tipo di album che volevo fare. Questo succedeva circa due anni e mezzo fa.

B: Ti sei descritta come una persona introspettiva, timida, osservatrice. Come ti senti adesso che i tuoi pensieri più intimi sono messi a nudo attraverso le tue canzoni e tutti possono ascoltarli?

J: (ride) Non saprei, in effetti è strano. Probabilmente nella vita vera non andrei di punto in bianco da un estraneo a dirgli “Ehi, ecco la storia del mio cuore infranto, ora te la racconto per filo e per segno”. Penso però che sia fantastico ricevere riscontri positivi e quindi ne vale la pena: cerco di non pensare a tutto il resto e di concentrarmi sulla possibilità di girare il mondo e andare in tour per diffondere la mia musica.

B: I produttori delle tracce del tuo album hanno lavorato anche con Lana Del Rey, Sam Smith, The XX e tanti altri. Come hai scelto questo team?

J: Ho lavorato a stretto contatto con la mia etichetta, che è un’ottima squadra: sono stati loro a presentarmi la maggior parte dei produttori. Mi hanno dato un ampio margine di scelta, con alcune delle persone che ho incontrato c’è stata subito sintonia, con altre meno. Quelli che poi sono finiti nel disco sono ovviamente i producer con cui mi sono trovata meglio.

B: Cosa significa per te il titolo New Skin?

J: New Skin non è solo il titolo del disco ma è anche una canzone dell’album, una delle prime che ho scritto, che mi rappresenta molto bene. Crescendo e diventando adulta ho avuto dei problemi a capire chi volevo essere, è stato un po’ come aggiungere un nuovo strato di pelle alla mia identità. Questa metafora secondo me è un concetto interessante: ho deciso di elaborarla e ho cominciato a scriverne.

B: La cover del disco è un po’ in contrasto con il contenuto: hai un suono fresco e moderno, mentre le grafiche, la foto e il look che indossi sono molto vintage…

J: È vero! Ho scoperto questo artista incredibile su Twitter, si chiama Joe Cruz: il suo lavoro consiste nel fotografare, stampare una copia della foto e poi aggiungere del colore. Appena ho visto quello che faceva ho capito che era la persona giusta per me. Descrivo sempre il mio suono come “classic modern soul” e credo che la sua estetica si sposi molto bene a questa definizione. Adoro quella copertina.

B: Hai detto del tuo album che è a tratti malinconico, ma che contiene anche molta positività, perché la gente ha bisogno sia dell’una che dell’altra cosa. Quale delle tue canzoni consiglieresti a chi vuole essere malinconico, e quale a chi vuole essere positivo?

J: Bella domanda! La più positiva, quella che può essere di ispirazione a chi la ascolta, forse è Wild, perché parla di ambizione e preseveranza. La più malinconica invece è Waterloo, è davvero una storia triste ma la trovo comunque bellissima.

B: La scena di Londra è molto competitiva, soprattutto quando si parla di voci soul femminili. Ogni tanto ti capita di sentire addosso la pressione della concorrenza?

J: In realtà no. Da queste parti la situazione è in continuo movimento, è vero, ma ciascuno trova la sua strada, il suo sound, i posti giusti in cui suonare. Per qualcuno è stimolante essere continuamente paragonati a qualcun altro, per altri no: per me finora non è mai stato un problema.

B: Quando il tuo album è uscito hai ricevuto via Twitter le congratulazioni di Sam Smith, che ai tempi non conoscevi neppure di persona e che ha detto pubblicamente che il tuo era un disco stupendo. Sei finalmente riuscita a conoscerlo, nel frattempo?

J: Ancora no, ma mi piacerebbe tanto! Quando ho letto quel tweet ero felicissima perché la mia carriera era appena agli inizi e mai avrei immaginato potesse succedere qualcosa del genere. È meraviglioso avere il supporto di un artista di così grande talento e così famoso.