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Speciale Jazz Re:Found: la parola al direttore artistico (e vinci i pass per i De La Soul & altri!)

23-11-2016 Marta Blumi Tripodi

Speciale Jazz Re:Found: la parola al direttore artistico (e vinci i pass per i De La Soul & altri!)

David Jude Jolicoeur aka Trugoy (from left), Vincent Mason aka P.A. Mase and Kelvin Mercer aka Posdnuos pose for a portrait outside the Apollo Theater in Harlem in September 1993

A meno che non abbiate vissuto in una caverna negli ultimi nove anni, quasi sicuramente avete già sentito parlare del Jazz Re:Found. E se siete fan della black music in senso più ampio, già lo considerate uno dei migliori festival in assoluto in Italia: ogni anno, infatti – prima a Vercelli e più recentemente a Torino – ha traghettato in Italia nomi già noti o scoperte interessantissime per la gioia di tutti noi. Oltre ai suoi meriti artistici, però, c’è anche un altro motivo per cui il Jazz Re:Found è assolutamente degno di nota: è stato fondato partendo dal basso da un gruppo di ragazzi che da fan si sono trasformati in imprenditori, con risultati davvero eccelsi (e in questo periodo di polemiche sui promoter italiani e i loro magheggi, ascoltare storie come la loro non può che fare piacere). Di tutto questo abbiamo parlato con Denis Longhi, uno di quei ragazzi, nonché attuale direttore artistico del festival: quest’anno Jazz Re:Found si svolge dal 7 all’11 dicembre a Torino e la sua line-up è più interessante che mai, a cominciare dai De La Soul per proseguire con Grandmaster Flash, GoGo Penguin, James Holden, Clap! Clap!, Ensi, Tony Allen, Yussuf Kamaal e molti, moltissimi altri. E se tutto questo non bastasse vi regaliamo due pass per la serata del 9 dicembre, che vi danno diritto ad assistere ai live di De La Soul, Ensi, Clap! Clap!, Leon Vynehall, Dj Fede, Dj Khalab, Painè e Abstract. Tutte le info per provare a vincerli sono in fondo all’intervista!
Blumi: La storia di Jazz Re:Found parte da lontano, ci racconti come si è sviluppata l’idea?

Denis Longhi: La prima parte della nostra storia è stata molto autoreferenziale: avevamo una crew che si ispirava molto all’hip hop degli anni ’90, ma eravamo anche dei frequentatori della prima scena house. Nei primi anni ’00 abbiamo cominciato a viaggiare anche a Londra, cosa che ci ha permesso di scoprire la scena di West London, che insisteva su un concetto per noi molto nuovo, quello del broken beat (lo stesso che viene applicato nel trip hop o nella drum’n’bass). Artisti come 4 Hero o Jazzanova ci avevano molto colpito, in Inghilterra e nel nord Europa erano già un’istituzione mentre in Italia erano ancora relativamente sconosciuti: l’unico locale che si occupava di seguire quella scena era il Maffia di Reggio Emilia, che noi frequentavamo spesso. Ispirati da quei suoni e da quell’estetica abbiamo inizialmente creato una nostra proposta da dj affiancati da una light band, un po’ alla St. Germain come tipologia. Per i sei anni successivi questo progetto è diventato una bella realtà a Vercelli, la nostra città.

B: Come vi siete trasformati da organizzatori di un evento ogni tanto a organizzatori di festival?

D.L.: Ai tempi era impossibile per noi espanderci su Milano e Torino, perché erano contesti ancora troppo grandi per noi, così abbiamo deciso di continuare a lavorare per consolidare e far crescere le nostre idee a Vercelli: attorno al 2006 abbiamo cominciato a organizzare eventi in cui invitavamo a suonare gli artisti stranieri che amavamo di più, riscontrando un successo enorme, soprattutto in termini di energia e fidelizzazione, perché un sacco di gente si spostava da ogni parte d’Italia per essere presente. A quel punto abbiamo preso coraggio e abbiamo deciso di organizzare una sorta di week-end musicale che poi si è trasformato nella prima edizione di Jazz Re:Found. La scommessa è andata bene, e abbiamo deciso di scommettere ancora di più: tanto per darti un’idea, la prima edizione era costata 30.000 euro, la seconda edizione è costata 130.000 – un salto nel buio e senza rete, perché dal punto di vista economico era un passo impossibile da sostenere per un gruppo di ragazzi come noi – ma l’indotto culturale che abbiamo generato è stato ottimo. Il pubblico cominciava a chiederci di trasformarlo in un appuntamento fisso, e noi abbiamo deciso di osare.

B: Quanto è stato difficile creare e gestire un evento così grande (e così economicamente oneroso) partendo dal basso?

D.L.: Sicuramente è stata una bella scommessa, tieni conto che quella del 2013 è stata la prima edizione in attivo. Dal 2008 al 2012 la casa di Jazz Re:Found è stata Vercelli, in un contesto estivo e all’aperto, e il senso di appartenenza della città era tale che ogni anno avevamo 150 volontari che partecipavano spontaneamente per la buona riuscita dell’evento. Però eravamo arrivati a un punto in cui il rischio imprenditoriale di organizzare un evento all’aperto era troppo alto. La possibilità di pioggia metteva a repentaglio il nostro lavoro, anche perché in Italia le assicurazioni funzionano male, da questo punto di vista. Immaginati la situazione: nel 2012 quella settimana pioveva ovunque, avevamo una produzione da 200.000 euro, all’apertura dei cancelli sapevamo di averne incassati solo 60.000 e non sapevamo ancora che tempo avrebbe fatto e di conseguenza quanta gente sarebbe venuta… Insomma, lì si è chiuso un ciclo: la maggior parte delle persone che avevano creato il festival insieme a me sono quasi tutte espatriate per motivi professionali (Andrea a Barcellona, Rocco ad Amsterdam, Dario a San Francisco) e il testimone è passato interamente a me.

B: Dopo qualche anno anche Jazz Re:Found è emigrato da Vercelli a Torino…

D.L.: Esatto. Nel 2013 abbiamo deciso di trasformare Jazz Re:Found in un evento indoor, con una rete di location nello stesso quartiere torinese: come dicevamo è stata la prima edizione ad andare in attivo a livello economico, ma allo stesso tempo a livello emozionale avevo sentito poco. L’anno dopo ci siamo presi una specie di periodo sabbatico, ridimensionando lo staff e organizzando un’edizione-ponte che si svolgeva in vari luoghi tra Torino, Vercelli e Milano, creando una specie di asse. Abbiamo notato che tra tutte e tre le città la più ricettiva era sicuramente Torino, anche a livello di istituzioni, così nel 2015 si è trasformata definitivamente nella casa del festival. È stato difficile spostarci, per ovvi motivi, ma non siamo assolutamente pentiti, perché per noi è stata una rinascita in tutti i sensi. Oltretutto a Torino ci sono altri due grossi festival, il Club 2 Club e il Movement, che la fanno da padroni, quindi trovare un equilibrio artistico è stato complesso. Fortunatamente sono tre kermesse molto diverse tra di loro: noi puntiamo tutto sul concetto che ci sta a cuore, ovvero la black music e tutti quegli artisti che vanno a indagarne il passato e il futuro.

B: Con che criterio selezionate la line-up, tra l’altro?

D.L.: Per scelta evitiamo di basarci sui nomi che sono già in tour e passano dalle nostre parti, perché per noi non avrebbe senso né artisticamente né economicamente. Allo stesso tempo c’è un rapporto di fair play con Club 2 Club, l’altro grosso festival torinese, perciò cerchiamo di creare due cartelloni molto diversi tra di loro e di non chiamare la stessa tipologia di musicisti a suonare. Quello che facciamo è cucire dei contenuti legati al nostro immaginario attorno ad ogni singolo artista: è il caso di James Holden, che nell’ultimo anno ha messo un po’ da parte il clubbing e si sta spostando più verso la ambient music, ragion per cui noi gli abbiamo proposto un contesto raccolto, in cui gli spettatori sono seduti, e oltretutto con un concept molto divertente, Holden alla Holden (l_a Scuola Holden di scrittura creativa, un’istituzione a Torino, ndr_). E lui ha accettato, tanto che farà l’anteprima del suo nuovo show proprio da noi.

B: Ci consigli tre nomi in cartellone quest’anno che un appassionato di hip hop non dovrebbe perdersi per nulla al mondo?

D.L.: Tralasciando i De La Soul che mi sembrano quasi scontati, il primo è sicuramente Yussef Kamaal, una band piena di batterie alla J Dilla e di sonorità jazz che ricordano molto i campionamenti degli N.W.A. Il secondo è Grandmaster Flash: al momento non è chiaro quale sia il suo immaginario musicale perché negli ultimi anni nel tentativo di rimanere contemporaneo e attuale ha fatto un po’ di tutto, ma dopo la sua esperienza su The Get Down anche come consulente musicale il contesto torna sicuramente più vicino all’hip hop classico. Il terzo è Ensi, perché è tra i pochi artisti italiani che non ha mai ceduto a un certo tipo di mercato ed è rimasto sempre coerente, riavvicinandoci a quell’immaginario di rap italiano classico e consapevole che è alla base del dna di Jazz Re:Found.

B: Per ultimo, proviamo a sognare in grande: qual è l’artista che speri prima o poi di portare a Jazz Re:Found?

D.L.: Ogni volta che me lo chiedono rispondo sempre la stessa cosa: il sogno è Stevie Wonder, perché rappresenta l’essenza di tutto quello che facciamo in questo festival. Fino a qualche mese fa avrei citato anche Prince, ma purtroppo non c’è più – e poi, portarlo sul palco era un’operazione che anche con tutti i migliori auspici non saremmo mai riusciti a portare a termine nella vita, mentre Stevie Wonder è un obbiettivo ancora molto lontano, ma se cresciamo bene magari può diventare una possibilità più concreta. Per essere un po’ più realistici, invece, punterei volentieri tutto su Anderson.Paak: in Italia non è ancora un nome che richiama le folle ma credo che lui sia il futuro, è il nuovo Kendrick Lamar. Mi piacerebbe anche trovare un punto di crossover tra Jazz Re:Found e Club 2 Club: ad esempio far suonare nella stessa serata noi Herbie Hankock (che è l’emblema del jazz che non ha paura di sporcarsi le mani con l’hip hop) e loro Flying Lotus (che è l’avanguardia più sperimentale della black music e dell’elettronica, pur avendo radici jazz) sarebbe meraviglioso.

Vincere uno dei due pass per la serata del 9 dicembre al Teatro della Concordia (De La Soul, Ensi, Clap! Clap!, Leon Vynehall, Dj Fede, Dj Khalab, Painè e Abstract) è molto semplice: basta diventare/essere follower di almeno uno dei nostri social network (Facebook, Twitter o Google +) e commentare il post relativo a questo articolo (se partecipate tramite FB o Google +) o retwittarlo (se partecipate tramite Twitter). Tra tutti coloro che lo faranno entro e non oltre venerdì 2 dicembre alle 17.00, estrarremo a sorte un fortunati che si porterà a casa due biglietti!

Programma ufficiale J:R:F FESTIVAL TORINO 2016

7 Dicembre – TORINO:
Circolo dei Lettori
Inaugurazione mostra “JOHN COLTRANE SAVED MY LIFE”
Rocco Pandiani & Luca Barcellona – PERFORMANCE

Spazio 211
“THE GET DOWN” TRIBUTE CLASH Yussef Kamaal

Spazio Dora
Grandmaster Flash Grasso Brothers
Luca LTJ Trevisi

8 Dicembre – TORINO:
Cap10100
Gogo Penguin
Mr Scruff

9 Dicembre – TORINO:
Circolo dei Lettori
Mostra “JOHN COLTRANE SAVED MY LIFE” + Torino Film Festival
Luigi Ranghino & Max Loderbauer

Teatro Della Concordia
“Main Stage”
DJ Fede
Ensi
Painé
De La Soul
DJ Khalab
Clap! Clap!

“Dude Stage”
Abstract
Leon Vynehall

10 Dicembre – TORINO:
Circolo dei Lettori
Mostra “JOHN COLTRANE SAVED MY LIFE”
Rocco Pandiani Plays “JOHN COLTRANE”
Panel ”Stay Black” with Raffaele Costantino, Damir Ivic, Massimo Oldani e altri guests

Scuola Holden
James Holden

Cap10100
Tony Allen

Teatro Della Concordia
“Main Stage”
Banana Boogaloo
Stump Valley
Underground Resistance
Joe Claussell
“Dude Stage”
Abstract
Volcov
Soichi Terada
11 Dicembre – TORINO:
Closing Party Magazzino sul Po – Murazzi
Cristian Bevilacqua
Passenger Sadar Bahar
Alessandro Gambo

Per info e biglietti, Jazzrefound.it