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Crln: l’intervista

06-09-2016 Marta Blumi Tripodi

Crln: l’intervista

E’ la prima artista donna di un’etichetta di eccellenza assoluta come Macro Beats Records, e pur non essendo la prima cantante (quest’onore è spettato al buon Killacat) è indubbiamente la prima ad uscire dai territori dell’hip hop per lambire quelli del pop e dell’elettronica. Giovanissima, entusiasta e piena di energie, Crln (pronuncia Caroline) è una bellissima scoperta: il suo omonimo EP d’esordio (il cui ultimo estratto Via da noi è uscito proprio ieri, lo trovate qui sopra), cantato in italiano e prodotto interamente da Macro Marco con il valido aiuto dei suoi collaboratori, risulta fresco e piacevole sia per chi è abituato a musica semplice e radiofonica, sia per chi invece è abituato ad ascolti più sofisticati. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lei durante il suo ultimo passaggio a Milano.

Blumi: Raccontaci qualcosa di te, tanto per cominciare.

Crln: Ho iniziato a studiare musica a 11 anni, dopo aver smesso con la danza classica, che era l’attività che i miei genitori avevano scelto per me. Ho cominciato a prendere lezioni di canto e chitarra, ho formato le mie prime band, le solite cose. Dalle mie parti il rap andava fortissimo, perciò sono nate anche delle collaborazioni in quell’ambito. A un certo punto, però, l’ambiente non mi piaceva più, così ho deciso di allontanarmi da tutto e cominciare a suonare solo per me stessa. Ho aperto un canale di YouTube e un account Instagram su cui caricavo alcune cover fatte un po’ così, per gioco. Da qui è partito tutto.

B: Nel senso che la Macro Beats Records ti ha “scoperto” così?

C: Diciamo che sono stata io a farmi trovare! (ride) Le cover che facevo erano spesso di loro artisti: Mecna, Killacat… Utilizzavo l’hashtag #MacroBeats in modo da essere individuabile, e a quel punto è stato Macro Marco stesso a iniziare a seguirmi. C’è stato un lungo scambio di Mi Piace, fino a che un giorno ci siamo scritti e chattando è venuto fuori che a Roma, dove vivo per studiare grafica, abitiamo praticamente l’uno accanto all’altra. Abbiamo incominciato a vederci ogni tanto al bar sotto casa, e dopo un po’ di mesi mi ha proposto di cominciare a lavorare insieme.

B: Se oggi sei un cantante emergente, spesso e volentieri gli strumenti a tua disposizione sono solo due: i social o i talent. Tu hai usato il primo, mai caduta in tentazione per il secondo?

C: A quindici anni io e una mia amica siamo andate a fare i provini di X Factor, in effetti. Mi sono divertita e ho trovato l’ambiente molto interessante, nel senso che con la musica c’entra poco. A conti fatti oggi penso che forse chi partecipa ai talent cerca non tanto di fare musica, ma piuttosto di fare successo.

B: Che tipo di lavoro è stato, quello tuo e di Macro Marco?

C: Inizialmente gli mandavo dei pezzi miei che componevo a casa con l’ukulele, ma poi per questioni di praticità e rapidità abbiamo cominciato a lavorare direttamente su basi prodotte da lui, su cui io scrivevo sopra. Sul sound ci siamo confrontati molto: per un lungo periodo abbiamo ascoltato moltissima musica, per creare il giusto mix tra le strumentali, che sono molto elettroniche, e il cantato pop. Una cosa che all’estero funziona moltissimo, ma che in Italia probabilmente nessuno aveva ancora provato davvero.

B: Quali sono i tuoi riferimenti musicali, a proposito?

C: Ho sempre ascoltato di tutto, ma da quando lavoro con Macro Marco mi sono molto avvicinata all’elettronica: Jamie XX, Bonobo, Shlomo, Daughter… Magari quando ho iniziato a lavorare all’EP non mi aspettavo del tutto di fare qualcosa con questo sound, anche perché il passaggio dallo scrivere in inglese (cosa che facevo all’inizio) al farlo in italiano ha un po’ cambiato la situazione, ma sono soddisfatta al 100% del risultato.

B: Pensi che continuerai su questa linea musicale o varierai nel tempo?

C: Penso che seguirò il mood del momento e deciderò volta per volta. Per ora è tutto un grande punto di domanda! (ride) L’unica mia certezza è che mi piace sperimentare e vorrei continuare a farlo.

B: Prima parlavi del tuo allontanamento dalla scena hip hop: ci spieghi un po’ meglio?

C: Non è un allontanamento totale, nel senso che gli artisti di Macro Beat sono tuttora i miei idoli – pensa che ho anche fatto un featuring con Kiave. Se è hip hop, ed è fatto bene, mi piace ancora molto; se invece è rap fatto tanto per fare, preferisco evitare. Conta anche molto l’ambiente: quello che frequentavo io a San Benedetto del Tronto era tipo ghetto, non c’entravo proprio niente lì in mezzo. Ci ero finita in contatto perché per un certo periodo ho avuto un gruppo alternative rock, e quando si è sciolto il cantante ha cominciato a fare rap. Avevo cominciato a collaborare con lui, ma siccome le voci femminili dalle nostre parti sono poche in breve ero diventata la cantante di riferimento per tutti quelli che avevano bisogno di un ritornello. All’inizio dicevo di sì a tutti quanti, a un certo punto però mi sono resa conto che non ce la facevo più. Anche perché, col fatto che si trattava solo di ritornelli, alla lunga non riuscivo ad esprimere mai quello che volevo; finivo eclissata, come dire.

B: Essendo tu molto giovane, questa era la prima volta che entravi in studio con un produttore artistico. Com’è stato l’impatto dal do-it-yourself totale al lavorare con un team?

C: Una vera emozione! Anche perché lo studio di Macro Marco è frequentato da persone che stimo tantissimo ma che non avrei mai pensato di poter conoscere di persona… Anche l’impatto con la professionalità di alcune realtà mi ha colpito molto: ad esempio quando siamo andati a Parigi, negli studi di Red Bull, per una session di registrazione di due giorni.

B: Cosa ti aspetta da qui in avanti?

C: Dopo le date estive, che hanno avuto soprattutto lo scopo di aiutarmi a riabituarmi al palco e riprendere il ritmo, mi impegnerò a scrivere la tesi perché devo laurearmi a breve e poi, con calma, comincerò a pensare al nuovo album! (ride)