Il writing è un argomento ovviamente controverso per le amministrazioni comunali italiane, molte delle quali non hanno ancora capito del tutto la differenza tra la categoria “writer” e quella “tizio che scarabocchia una frase romantica sul condominio di fronte a quello della sua fidanzata”. Ad aumentare la confusione, pur con buone intenzioni, ci si mette anche il comune di Milano, che ha appena dato alle stampe il pamphlet Facciamo bella la nostra città – libretto di educazione civica per il contrasto al graffitismo vandalico (scaricabile gratuitamente in pdf qui), destinato a spiegare il fenomeno del writing agli alunni delle scuole primarie. E chi glielo spiega, vi chiederete voi? Tre gli autori del piccolo tomo in questione: Stefano Di Battista, direttore della rivista degli oratori italiani; Fabiola Minoletti, “studiosa del graffitismo vandalico”; Sara Luciani, studentessa universitaria con trascorsi al liceo artistico.
Il libretto fa una breve storia del writing dalle origini ad oggi (un po’ imprecisa, a dire il vero, soprattutto quando si parla dei vari stili di lettering). Dopodiché viene la parte per così dire civica, che lascia abbastanza perplessi. Qualche esempio:
“C’è chi sui muri scrive e chi invece disegna. E tali disegni lasciano spesso a bocca aperta. Si chiama street art (arte di strada) ed è molto diversa dall’attività del writer vandalico. Mentre quest’ultimo vuole imporre il suo nome e sceglie qualunque spazio, pubblico o privato, per farlo, senza preoccuparsi dei danni che arreca (a un monumento, per esempio), l’artista di strada è invece attento al contesto in cui inserire la sua opera“. L’esempio, ovviamente, è Banksy. Peccato che “ l’artista di strada e il writer che compie vandalismi sono divisi da una parola: permesso, che il primo domanda sempre, il secondo mai“. Quando mai Banksy ha chiesto un permesso in vita sua?
Si prosegue sul tema dell’aggressività del writer, un genere sociale notoriamente violento, a quanto pare: “Resta famoso l’assalto alla stazione di Villa Fiorita (20 aprile 2013), quando 17 ragazzi, dopo aver azionano i freni d’emergenza, sbarrato le porte impedendo ai viaggiatori l’uscita, hanno aggredito il macchinista. La reazione violenta spesso è rivolta anche verso gli uomini della vigilanza, contro i quali vengono lanciati bastoni, pietre e bombolette spray. Di fronte a tali vicende le forze dell’ordine parlano di un’escalation di teppismo e violenza”.
Occhio anche all’identikit del writer-tipo, anche questo piuttosto demagogico: “A fine 2015 risultavano identificati dal Nucleo tutela decoro urbano della polizia 286 writer; di questi, 213 sono già stati sottoposti a indagine. Il 45% di questo campione lavora in settori di tipo creativo: grafica, fotografia, tatuaggi, musica. Ciò è in accordo con la provenienza scolastica, che abbiamo visto essere in prevalenza di carattere artistico: il 70% ha infatti frequentato un istituto di questo genere, nei cui locali si rilevano spesso tag e altre tracce di graffitismo. Anche nelle abitazioni dei writer finiti sotto indagine non mancano segnali: i muri delle camere sono tappezzati di loro tag. Ciò significa che le famiglie erano a conoscenza delle attività d’imbrattamento, ma hanno preferito chiudere gli occhi. Le giustificazioni più frequenti dei genitori che si ritrovano ad avere a che fare con le forze dell’ordine sono: «In fondo non fa del male a nessuno… Piuttosto che si droghi… È solo disagio giovanile»”.
Insomma, come sempre tanta confusione e demonizzazione. La domanda sorge spontanea: visto che a Milano esistono parecchi writer e street artist che ormai collaborano con le istituzioni per ridecorare alcuni spazi urbani messi a disposizione proprio dal comune, non era forse il caso di consultare direttamente loro prima di scrivere questo opuscolo?