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Nessuno ci può giudicare, nemmeno tu: gli N.W.A. non fanno autocritica

08-10-2015 Filippo Papetti

Nessuno ci può giudicare, nemmeno tu: gli N.W.A. non fanno autocritica

Illustrazione originale di Michele Papetti, tutti i diritti riservati.

Premessa. Avevo pochissima voglia di guardare il film, perché – come quasi tutti, a quanto pare – non sono un particolare appassionato di film biografici, e ancora meno di questo tipo di biopic: cioè con protagonisti ancora in vita (tranne Eazy-E, ma c’è sua moglie dietro), che – nella pratica – si fanno il film da soli. In più si parla di musicisti e i musicisti, si sa, sono dei gran megalomani. Insomma, in casi come questi il rischio di agiografia è altissimo, e a me le agiografie, tranne casi rarissimi, non piacciono particolarmente.

Tuttavia il film l’ho visto lo stesso, in primo luogo perché amo l’hip hop, e sentivo una sorta di dovere morale a riguardo. In più si parla della storia degli N.W.A., il gruppo più importante della West Coast, e anche solo per sentire QUEI pezzi sparati a volume imbarazzante dall’impianto del cinema, è una cosa che si doveva fare.

Ma di cosa parla questo Straight Outta Compton? La storia, probabilmente, la conoscete tutti. Cito MyMovies giusto per essere il più neutrale possibile: “A Compton, città del ghetto della Contea di Los Angeles, si incontrano i destini di tre ragazzi. Eric, detto Eazy-E, è uno spacciatore che vuole uscire dal giro; Andre, detto Dr. Dre, un dj dal talento prodigioso che ha fretta di emergere; O’Shea, detto Ice Cube, un rimatore straordinario. Ispirati dalla sofferenza a cui assistono quotidianamente nel ghetto, tra droga, delinquenza e abusi della polizia, formano il gruppo rap più estremo in circolazione. Il primo singolo fa sensazione e apre loro la strada del successo, ma i problemi non mancano, tra un manager che se ne approfitta e crescenti conflitti di ego.”

Il film si apre sulle note di Talking To My Diary, ultimo brano dell’ultimo (e non solo in ordine cronologico) album di Dr. Dre, il grandioso Compton: A Soundtrack. È una specie di twist, perché proprio durante le riprese del film, ripercorrendo la sua storia, a Dre è tornata l’ispirazione per tornare in studio e tirare fuori il capitolo finale della sua carriera solista. Questo è solo uno dei tanti dettagli curiosi di un film che si salva appunto grazie ad alcune scene e ad alcuni dettagli. Non esattamente esaltante.

Ma veniamo al dunque. Non sono un critico cinematografico, e quindi il mio è puro opinionare da bar.

Cose che mi sono piaciute: pochine. Sicuramente il fatto che il personaggio di Ice Cube – che è anche il produttore del film – è interpretato da suo figlio. Poi la fotografia, alcuni spunti registici, e alcune singole scene decisamente evocative: ad esempio quando Dr. Dre cerca la linea di Moog per Nothing but a G thang, quando Eazy-E trova l’attacco giusto per Boyz in tha Hood, e in generale tutte le scene in cui si sente Fuck The Police.

Cose che non mi sono piaciute: tante! Principalmente l’ho trovato un film molto piatto a livello di sceneggiatura. I personaggi sono poco caratterizzati, quando non proprio didascalici. I buoni – Dre, Ice Cube, Eazy-E – sono buonissimi, i cattivi – il manager Jerry Heller e Suge Knight – cattivissimi; cosa che è ok se si tratta di un film di genere in cui accadono cose e/o ci sono spari/mitragliate/morti, ma qui si voleva raccontare la vicenda artistica-professionale di gente che ha fatto i milioni di dollari, NESSUNO fa i milioni di dollari senza essere un po’ stronzo! Dre e Ice Cube invece sono qui ritratti come dei paladini dell’arte senza macchia e senza paura, non ne fanno una di sbagliata. Nessun tipo di controversia. Le biografie invece a mio parere sono interessanti solo quando vengono scandagliate anche le ambiguità dei protagonisti. Qui, neanche l’ombra.

Detto questo, il film ha comunque il pregio di rappresentare in maniera piuttosto credibile il contesto della Los Angeles dei primi anni ’90, con le sue tensioni razziali. E qui il lavoro del regista Felix Gary Gray è stato sicuramente egregio. Lo stesso però non si può dire della generale aura di superficialità che avvolge il prodotto nel suo complesso: va bene, è giusto un film di intrattenimento, e ha incassato un pacco di soldi al botteghino, ma la cosa bella dell’hip hop è che l’hip hop riesce ad intrattenere senza essere superficiale. Sarebbe stato fantastico che il film che racconta la storia degli N.W.A. fosse stato un film hip hop.

Insomma, per quando mi riguarda nulla di memorabile. Né come fan degli N.W.A., né come cultore dell’hip hop, né tantomeno come appassionato di cinema. In molti hanno fatto il paragone con Notorious – biopic dedicato a Notorious B.I.G. – dichiarando che, rispetto a questo Straight Outta Compton, era pessimo. Che dire. A questo punto sono contento di non essere andato al cinema a guardarlo. Chissà che bruttezza.