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Mediterranean Roots: l’intervista

13-06-2014 Haile Anbessa

Mediterranean Roots: l’intervista

Ai microfoni di Hotmc la reggae band spagnola Medinterranean Roots, fresca del nuovo album Fluye.

Haile Anbessa; Quando vi siete formati e come?

Mediterranean Roots; Il gruppo è nato a Valencia (Spagna) nel novembre 2011.
In quattro, Davido, Jonás, Miguel e Héctor, avevamo appena concluso l’esperienza de The Skafeinats, band di cui facevamo parte allora, e avevamo voglia di creare un progetto nuovo, per recuperare l’entusiasmo per quello che facciamo. Un giorno, durante le prove dei Ki Sap, (una reggae band di Valencia, di cui facevano parte Davido e Hector), il loro vocalist Ital Erik ci disse che un suo amico, che fino ad allora aveva fatto hip hop, stava scrivendo canzoni reggae e cercava una band. Era il nostro uomo: Tomy. A quel punto abbiamo contattato anche Alfons, Borja e Xos che conoscevamo da esperienze varie come il conservatorio, le charangas e Dirty Soul Riders. E ci siamo messi a suonare. Sin dalla prima prova, nel novembre 2011, abbiamo capito che unirci era stata davvero una decisione molto buona.

H.A.: Come è nata la vostra passione per la musica reggae?

M.R.: Anche se siamo musicisti con influenze e formazione diverse che spaziano dal jazz, al soul, al rock e all’hip hop, e abbiamo suonato in gruppi con stili molto differenti, abbiamo sempre avuto un interesse in comune: il reggae. E sin da giovanissimi abbiamo voluto combinare i nostri gruppi di stili diversi con gruppi di musica in levare. Per noi il reggae è la nostra principale fonte di ispirazione musicale, quello che ci va sempre di ascoltare e che non ci stufiamo mai di suonare. Sentiamo che è il modo migliore per esprimere le nostre emozioni. Ci rende felici.

H.A.: Quali sono i vostri modelli di riferimento musicalmente parlando?

M.R.: Abbiamo molti modelli in ambito musicale e molto diversi, ma se c’è un artista che ci ha segnati tutti allo stesso modo è Marley. Anche artisti come Burning Spear, John Holt, Alton Ellis, Israel Vibration, per citarne alcuni, sono una grandissima fonte di ispirazione. E poi Dub Incorporation, Tiken Jah Fakoly, Ponto de Equilibrio ma anche Soja… li seguiamo con attenzione e ci piacciono molto. Così come ci piace molto anche il calore dei gruppi latinoamericani come Los Cafres e Cultura Profética.

H.A.: Se aveste la possibilità di esprimere un desiderio con chi vi piacerebbe duettare?

M.R.: Durante la registrazione dell’album Fluye, siamo rimasti con la voglia di sentire il nostro produttore Roberto Sanchez cantare una canzone. Oltre ad essere uno dei migliori produttori che conosciamo è anche un musicista incredibile. A parte Roberto, ci sarebbe una lista interminabile di artisti con cui vorremmo collaborare.

H.A.: Come mai il vostro simbolo è rappresentato da un elefante?

M.R.: Gli elefanti, così come i leoni, rappresentano le radici d’Africa. Sono animali che si spostano sempre in branco, e ispirano forza, intelligenza e nobiltà. Ci piace l’idea che Mediterranean Roots sia un elefante. Muoverci tutti insieme, camminando un passo alla volta, ma con forza. È la nostra icona.

H.A.: Come è la situazione del reggae nel vostro paese?

M.R.: Ci sono musicisti molto bravi e stanno emergendo grandi artisti, ma ci sono davvero poche possibilità. Attualmente la situazione in Spagna non è molto propizia per i musicisti in generale e meno ancora per quelli reggae. C’è abbastanza movimento e il livello dei gruppi è buono però purtroppo – anche se può sembrare un luogo comune – né i promotori, né i produttori né gli stessi artisti godiamo dell’appoggio che vorremmo e che molto spesso viene offerto ad altri tipi di musica. La filosofia che dobbiamo fare nostra è l’amore per questo genere, per quello che facciamo. Grazie a questo amore, riusciamo a mantenere in Spagna una scena in continuo movimento, nonostante il poco appoggio. Ma questo ovviamente non è sufficiente. Dobbiamo continuare a lavorare.

H.A.: La vostra esperienza nell’universo Rototom? Raccontatemela

M.R.: La verità è che avere un festival come il Rototom a pochi chilometri da casa è stato un vero e proprio colpo di fortuna per noi. È un lusso! L’anno in cui si è formata la band abbiamo suonato in acustico sul palco del Juanita (reggae bar di Valencia che gestisce un palco proprio all’interno del Festival. NdT) durante il giorno. Invece l’anno scorso abbiamo potuto esibirci, sempre al Juanita, una volta concluso il concerto di John Holt, l’ultimo sul Main Stage di quella nottata. Di fronte al palco del Juanita c’era moltissima gente con voglia di ascoltarci e ballare. Ci hanno riempito di energia e buone vibes e abbiamo fatto un concerto che ricorderemo sempre, nonostante l’ora tarda.

H.A.: Descrivetemi il vostro nuovo disco Fluye, appena uscito.

M.R.: “Fluye” è l’album che volevamo registrare sin da quando abbiamo formato la band. Le canzoni sono state lavorate molto più di quelle del disco precedente. Le abbiamo coccolate e abbiamo dedicato a ciascuna di loro il tempo di cui avevano bisogno. Inoltre il gruppo ora è molto più solido e sappiamo in che direzione stiamo andando a livello musicale. E questa maturità si può ritrovare nel disco. Come abbiamo già detto, la nostra formazione come musicisti viene dal jazz, soul, rock e hip hop e abbiamo voluto dare spazio a questa nostra identità. Abbiamo voluto fare un disco reggae in cui trovassero spazio le nostre sfumature. Ovviamente, ci sono canzoni più puramente roots, che sono essenziali per noi, ma anche altre in cui le influenze jazz, rock e hip hop sono più presenti. Possiamo dire che ogni canzone ha la sua propria personalità.
D’altra parte, aver lasciato la produzione e il remix in mano a Roberto Sanchez ci ha dato una sicurezza enorme per ottenere il suono completo che volevamo. I bassi come piacciono a noi, il suono della batteria… Roberto è un fenomeno. Vogliamo infine ricordare le due collaborazioni presenti nel disco. Papado ha cantato in Lobos, una canzone molto potente, mentre Jacob e Lorenzo Garzia dei Mellow Mood hanno partecipato a “Me la pela” ed è incredibile come hanno migliorato il pezzo.