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Speciale under 21: intervista ad Anagogia

01-12-2013 Marta Blumi Tripodi

Speciale under 21: intervista ad Anagogia

Segnatevi questo nome, perché è molto probabile che ne sentirete parlare a lungo e parecchio. Anagogia, vent’anni compiuti da poco, arriva da un minuscolo borgo del ferrarese e si è già distinto in numerosi contest di freestyle (tra cui Mtv Spit), ma è soprattutto per le sue eccezionali qualità di mc e beatmaker che la Warner l’ha voluto reclutare come primo artista rap del suo roster. La sua firma con una major, oltretutto, è un gran bel segno dei tempi: dopo un paio d’anni in cui sembrava che i colossi della discografia italiana non sarebbero più tornati ad investire su rap vero, radicato e di qualità (come avevano fatto verso la metà degli anni ’00 tirando a bordo artisti non proprio easy-listening come Club Dogo, Fabri Fibra o Marracash), finalmente si ritorna sulla retta via. Già, perché Anagogia non è affatto il fenomeno mediatico di turno, il bamboccio che ha imparato ad andare a tempo il mese scorso, ma in compenso piace tanto alle ragazzine. E’ un talento vero, ruvido, forgiato dall’underground in cui ha militato fino all’altro ieri; non fa concessioni alla musica leggera e non ha nessuna intenzione di far finta di essere quello che non è. E come sentirete dal suo ultimo singolo Panic room (di cui potete vedere il video, che esce proprio in questo momento, qui sopra) i risultati sono tangibili. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Anagogia negli uffici della sua nuova casa discografica, e di carne al fuoco ce n’è parecchia.

Blumi: Sei giovanissimo e sei un nome relativamente nuovo: quante interviste hai rilasciato, finora?

Anagogia: Quattro, cinque. Fino ad oggi nessuna di alto spessore, però.

B: E come ti trovi a parlare di te a un/una estraneo/a?

A: Finché si parla dei miei progetti non ho problemi. Ho meno voglia di parlare della scena musicale a cui appartengo, invece: forse perché molti parlano di hip hop ma non hanno capito cosa sia veramente, altri non ne parlavano affatto fino all’altro ieri, altri ancora ne parlano a sproposito e via dicendo. Non è facile trovare qualcuno con cui discuterne seriamente, e non mi piace l’idea che travisino il senso delle mie parole.

B: Allora partiamo con il piede giusto, parlando proprio della musica che fai: ti aspettavi di firmare un contratto discografico così importante, soprattutto considerando che il tipo di rap che fai tu è lontano anni luce dall’hip hop che di solito le major propongono?

A: Non me l’aspettavo, in effetti, anche perché è capitato tutto molto in fretta. Vivo in provincia da una vita, sono stato catapultato in quest’avventura ed è come se adesso vedessi per la prima volta che cos’è davvero il mondo. Il mio disco probabilmente suonerà fin troppo rap alle orecchie di molti: magari si aspettano che io esca con qualcosa che può piacere a tutti, ora che sono in major. Io, però, mi sono presentato alle persone con cui lavoro adesso spiegando subito molto chiaramente qual era la musica che facevo e perché. Che poi probabilmente è quello che fanno tutti, ma poi tanti cedono alla tentazione di infilare anche qualche canzoncina accattivante che possa piacere anche a chi non ascolta hip hop. Io, invece, non voglio cambiare le radici della mia musica. Magari nel mio album si sentirà qualche ritornello più leggero all’interno di alcune canzoni, ma senza snaturare mai il filone musicale che seguo.

B: Com’è avvenuto l’incontro con Warner? Perché hanno deciso di puntare proprio su di te?

A: Probabilmente per la musica che faccio, non certo perché sono un fotomodello! (ride) Mi sono fatto conoscere con i contest di freestyle, e durante questo periodo della mia vita ho conosciuto Raige, il quale mi ha presentato alla Warner. La Warner ha ascoltato il mio disco – quello che uscirà a gennaio – ed è piaciuto per quello che era, tanto che mi hanno offerto di ri-registrarlo tale e quale e perfino di scegliere lo studio in cui registrarlo; nel mio caso è stato il Press Rewind di Bassi Maestro, ovvero colui che poteva far suonare meglio il tipo di roba che faccio io. Credo di essere la prova vivente del fatto che major non significa per forza commerciale: io sono rimasto esattamente lo stesso, e sempre lo rimarrò.

B: Come accennavi poco fa, tu sei cresciuto nella provincia più profonda. Un po’ come Nitro, Salmo o Rocco Hunt, altri talenti incredibili che hanno vissuto gran parte della loro vita lontano dalle grandi città dove la scena rap fermentava. Che cos’è che vi dà una marcia in più?

A: Come si dice nel calcio, il talento vero nasce nel campetto di strada, non nella polisportiva dove si allenano i campioni. Stare a contatto con la noia della provincia, mista all’odio che ti sale quando ti rendi conto che un ragazzo di città ha molte più chance di te, non ti porta ad avere una marcia in più. Quello che ti dà una marcia in più è vedere com’è il resto del mondo, capire che non vuoi accontentarti di quello che hai già, che ambisci a qualcosa di più. È una cosa che cambia completamente la tua mentalità.

B: Ed è stato anche il tuo caso?

A: Sì, certo. Io vengo da un paese davvero piccolissimo, Cento, in provincia di Ferrara. Lì c’è tutta un’altra cultura: siamo cresciuti con la techno minimale anziché con il rap, con le feste in discoteca anziché con le battle e le jam e via dicendo. Però l’hip hop in televisione c’era, e quindi non potevi fare finta che quel genere non esistesse. Me ne sono innamorato, e questo mi ha portato ad uscire dal mio paesino, perché lì il rap non esisteva e se volevo viverlo davvero dovevo per forza andare da qualche altra parte. Per i vari contest di freestyle ho girato Verona, Milano, Torino, Padova, e alla fine ho capito che c’era un altro mondo al di fuori delle quattro mura in cui ero nato. Ma il discorso sarebbe valso anche se fossi nato in una grande città: anzi, magari se nasci in una grande città non sei mai portato a muoverti da lì, e non riesci mai a scoprire cos’hai attorno. Invece bisogna allargare i propri orizzonti.

B: Tornando al rap, a parte il singolo appena uscito l’ultimo tuo progetto è stato Identity EP, in free download qualche mese fa sul tuo sito. Si trattava di un lavoro in cui facevi grande sfoggio di tecnica, ma i contenuti risaltavano poco…

A: In effetti questo è stato il primo errore di Identity! (ride) Più che altro perché io di solito sono tutt’altro che tecnico e invece privilegio i contenuti. Non m’interessa che la gente ascolti i miei pezzi e dica per forza “Wow, hai visto come ha incastrato quelle parole?”: preferisco che sia il messaggio a restare. La capacità di trasmettere dei contenuti secondo me manca a molti rapper, di questi tempi. Nel primo EP ho voluto dimostrare che so che cos’è il rap e come si fa, ma con il tempo dimostrerò anche che riesco ad essere anche molto più riflessivo. Mi piace soprattutto parlare di quello che vedo: magari non tutto quello che racconto l’ho vissuto in prima persona, ma comunque non parlo di cose che non so, mettiamola così.

B: In effetti un rapper che ha le basi tecniche riesce a fare quello che vuole, anche a portare contenuti forti…

A: Sì e no. Forse è più facile che la tecnica cominci a venirti automatica a furia di rappare, mentre non puoi imparare a raccontare cose interessanti se nella vita non hai niente da dire. Conosco moltissimi mc che tecnicamente mi lasciano a bocca aperta, ma poi non mi viene voglia di riascoltare i loro pezzi, perché non parlano di nulla.

B: Tu sei anche un producer, tanto che il tuo prossimo album sarà interamente prodotto da te. Che tipo di beatmaker sei?

A: Io non ascolto solo rap, amo tutta la musica. Ovviamente privilegio alcuni generi, come l’elettronica e la dubstep, ma campiono anche musica classica o jazz anni ’80 e ’90. Credo che per qualsiasi beatmaker e dj ascoltare solo hip hop sia il più grande errore in assoluto. Più si spazia verso altri generi, più si diventa originali.

B: Tra l’altro uno dei tuoi beat è stato utilizzato per Sadico, la traccia di Midnite in cui Salmo collabora con Mezzosangue. Com’è nata questa collaborazione?

A: Conosco Nitro da prima ancora di Mtv Spit (la prima edizione, in cui ha partecipato Nitro; Anagogia, invece, ha preso parte alla seconda, ndr). Quando è entrato in Machete e si è trasferito a Milano sono andato a trovarlo a casa: come è noto all’epoca i ragazzi della crew vivevano tutti assieme, così ho conosciuto anche loro. Stavo facendo ascoltare alcuni miei beat a dj Slait quando è spuntato fuori Salmo, che aveva sentito un mio beat da camera sua e voleva sapere di chi era. Alla fine mi ha detto che gli avrebbe fatto piacere di inserirlo nel disco, e ovviamente ho subito detto di sì, visto che oltretutto è un artista che stimo tantissimo.

B: Cambiando argomento, ti faccio una di quelle domande di cui parlavamo all’inizio dell’intervista, quelle che non ti fanno molto piacere… (ridiamo tutti, ndr) Visto che nell’interpretazione di alcuni c’è una grande contrapposizione tra la scena degli anni ’90 e quella di adesso, e visto che tu sei ovviamente troppo giovane per aver vissuto quell’epoca direttamente, cosa pensi di quella generazione di artisti?

A: Il mio rapporto con la questione è molto semplice: faccio parte della nuova scuola e porto rispetto per la vecchia. Per me la scena è unica, proprio come c’è un solo hip hop: perché dividerci? È già tutto abbastanza frammentato tra generi e sottogeneri. L’hip hop è unità, e non vedo questa grande competizione tra vecchio e nuovo. Certo, le cose cambiano un po’ quando alcuni personaggi della vecchia scuola non portano rispetto per noi della nuova. Per citare un altro artista che apprezzo molto, Rocco Hunt, “stimo chi stima, schifo chi schifa”.

B: Cosa ti piace del rap di oggi e cosa non ti piace?

A: Mi piace il fatto che ci sia un sacco di gente piena di fotta. Non mi piace che tanta gente lo faccia con un solo scopo, ovvero quello di arrivare, o meglio, di arrivare subito. Sarei un bugiardo a dire che a me non interessa arrivare: interessa a tutti, e se si può ci si prova. Però, almeno nella prima parte della carriera di un artista, il rap dev’essere una passione, un bisogno. In questo momento, invece, molta gente è spinta solo dalla fame di successo.

B: Una curiosità: di solito i ragazzi della tua età finiscono il liceo e cominciano a pensare a cosa vogliono fare dopo. Tu punti tutto sul rap o hai un eventuale piano B?

A: Punto tutto sulla musica, anche perché penso sia l’unica cosa che so fare. Non posso andare a parare altrove. Se non va con il rap, cambio genere! (ride)

B: Ottimo! Progetti futuri, a questo punto?

A: Ho un EP in uscita a brevissimo, da cui è estratto il singolo Panic room che avete già sentito. A gennaio, invece, esce l’album Pillole; dopodiché è probabile che mi rimetta già al lavoro su qualcos’altro.

B: Ultimissima cosa: che consiglio daresti ai ragazzi che come te partono dai contest di freestyle e vorrebbero arrivare esattamente dove sei tu adesso?

A: Non sprecare tempo in chiacchiere e imparare a fare bene il rap: se sei bravo, prima o poi qualcuno ti noterà e ti contatterà per forza.