Una delle differenze fondamentali tra il rock e il rap è questa: un sacco di rock band si formano perché i membri spaccano, ma non sono necessariamente amici (vedi ad esempio i Rolling Stones, che si detestano cordialmente da cinquant’anni). Nel rap, invece, è difficilissimo trovare un gruppo in cui i membri non solo non vadano d’accordo, ma non siano amici per la pelle. E’ il caso di Johnny Marsiglia e Big Joe, la cui sintonia è davvero incredibile: sono sulla stessa lunghezza d’onda in tutto e per tutto, si leggono nel pensiero, l’uno completa la frase dell’altro. E i risultati si vedono: il loro album, Orgoglio, se non per stile sicuramente per spirito ricorda tanto i primi Gangstarr, quella perfetta fusione tra beat e strofa che, oltre ad esaltarti dal punto di vista musicale, ti mette allegria dal punto di vista umano. Abbiamo incontrato questi due giovani virgulti palermitani in trasferta a Milano, e questo è il risultato della nostra chiacchierata.
Blumi: Prima di tutto: perché il titolo Orgoglio?
Johnny Marsiglia: L’orgoglio è una delle caratteristiche tipiche dei siciliani, innanzitutto. Inoltre, siamo molto orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato finora.
Big Joe: Ma anche della nostra famiglia, dei nostri amici, della nostra città.
B: Restando in tema, qual è la traccia di cui andate più orgogliosi?
J.M.: Forse proprio Orgoglio, un po’ perché il beat è epico, con un campione bellissimo…
B.J.: Grazie, amico! (ride)
J.M.: … E poi perché racconta la storia di Big Joe, di un periodo particolare della sua vita. Visto che, oltre a lavorare insieme, siamo molto uniti anche sul piano personale, è stato bello condividere questo brano.
B: È evidente che voi due siate molto vicini. Però a molti non è ben chiaro, anche per via del fatto che il disco esce a nome “Johnny Marsiglia e Big Joe”, se effettivamente dobbiamo considerarvi un gruppo a tutti gli effetti, o due persone che hanno lavorato insieme a quest’album, ma proseguiranno la propria carriera su strade separate…
J.M.: Io ci tenevo che il disco uscisse con il nome di Big Joe bene evidente sulla copertina perché tutti i beat sono prodotti da lui. Non abbiamo dato un vero e proprio nome al duo, ma siamo un duo a tutti gli effetti: abbiamo sempre lavorato insieme e intendiamo continuare a farlo.
B.J.: Ormai siamo un gruppo, anche senza avere un nome collettivo.
B: Cosa ne è stato del progetto Killa Soul, invece?
J.M.: Killa Soul, oltre a noi due, include anche Louis Dee, un altro rapper di Palermo. Quando ci troviamo tutti e tre in studio riusciamo a portare avanti il progetto, infatti abbiamo anche prodotto un EP, intitolato proprio Killa Soul EP, che si trova su www.gotaste.it.
B.J.: Un lavoro breve ma intenso: cinque giorni di registrazione, cinque pezzi!
J.M.: E’ un progetto parallelo che vogliamo portare avanti, insomma, ma dipende soprattutto dal riuscire a ritrovarsi tutti e tre nello stesso posto: io vivo a Varese, Joe a breve ha intenzione di trasferirsi al nord mentre Louis Dee è sempre a Palermo. Finora non abbiamo fatto nessuna uscita ufficiale come Killa Soul proprio per una questione di organizzazione. Se mai riusciremo a incastrare tutte le nostre esigenze, lo faremo senz’altro.
B: Parlando della scena di casa vostra, al di fuori della vostra regione in generale non si conosce tantissimo. Recentemente è uscito The grow tape, un mixtape che include più di 50 artisti hip hop siciliani, tra cui voi…
J.M.: È una scena molto viva e ci sono moltissimi artisti nuovi e giovani che stanno emergendo proprio adesso. Ad esempio, a noi piacciono tantissimo Ghisa e Barile (tra l’altro, Barile ha anche vinto il contest del sito Uno-Due, recentemente). Il talento, però, nei nostri rapper c’è sempre stato, fin da quando io ero ragazzino. Il problema, come al solito, è soprattutto ritagliarsi lo spazio necessario a farsi ascoltare in tutta Italia.
B: Oltre ad essere un’isola, in effetti, la Sicilia è la regione più estesa d’Italia, quindi immagino che anche spostarsi da una città all’altra per concerti e jam sia abbastanza complicato…
J.M.: Assolutamente, spostarsi da Palermo a Catania per una jam può diventare un’avventura! (ride) Però credo anche che essere un po’ isolati da centri nevralgici dell’hip hop come Milano e Roma sia stato anche un bene.
B.J.: Ci ha permesso di crearci un sound personale, che è la cosa di cui siamo più fieri. I nostri riferimenti sono un po’ più internazionali, per forza di cose.
B: Chi, ad esempio?
J.M.: Dai classici Gangstarr, Nas, Jay-Z, A Tribe Called Quest…
B.J.: Fino alla scena di Detroit, che è la nostra più grande influenza: J Dilla, gli Slum Village e tutti gli altri.
J.M.: E ultimamente siamo innamorati di T.D.E., il collettivo di Kendrick Lamar. Ci sta mandando proprio ai pazzi. Dr Dre, The Game e l’intera west coast pensano che lui sia il futuro, e un motivo c’è.
B.J.: È una specie di alieno planato da Compton con un sound che non c’entra assolutamente nulla con nient’altro. E anche la gente che gira con lui è al suo stesso livello. Allucinante.
B: Voi due siete molto giovani, ma vi siete sempre associati ad artisti molto più “maturi”. In questi giorni si parla molto di old school e new school: come la pensate a riguardo?
J.M.: Tendenzialmente cerchiamo di farci i fatti nostri, come ci hanno insegnato a Palermo… (sghignazzano entrambi, ndr) Scherzi a parte, noi rispettiamo tantissimo quello che c’è stato negli anni ’90: è un periodo in cui sono successe grandi cose, abbiamo solo da imparare. Dire che si trattava solo di tentativi ovviamente non ha senso. Certo, a livello di prodotto finito la qualità non era certo quella che si può raggiungere oggi con le nuove tecnologie, ma a parte questo è stato un momento magico. Più di questo non mi sento di dire! (ride)
B.J.: Gli anni ’90 hanno sicuramente gettato le basi per tutto quello che c’è adesso.
B: Ma secondo voi esiste davvero questa enorme spaccatura tra come pensavano l’hip hop negli anni ’90 e come invece lo vedono i ragazzini che cominciano ad ascoltarlo adesso?
J.M.: Le differenze sono più che altro pratiche. È più facile reperire il materiale, c’è più pubblico… Una volta, comunque, la percezione dell’hip hop come cultura era molto più viva. Oggi è soprattutto un fenomeno di massa: magari il fan del rap di oggi conosce solo i gruppi che passano in radio, ma non ha idea di quello che è venuto prima e non gli interessa neanche.
B.J.: Quando ho iniziato io ad ascoltare rap, da ragazzino, ero curiosissimo di sapere come aveva fatto quel genere musicale ad arrivare fino a lì. A quelli di oggi, invece, non sembra interessare granché.
B: Domanda da un milione di euro: se foste dei discografici e aveste, appunto, un milione da investire in un progetto hip hop italiano, su cosa puntereste?
J.M.: Naturalmente cercheremmo di spingere il rap più genuino, quello che piace a noi.
B.J.: Genuino ma, allo stesso tempo, anche fresco.
J.M.: Purtroppo, però, è il pubblico che decide cosa vuole o non vuole ascoltare. Infatti non mi ci vedo per niente nei panni del discografico, finiremmo falliti dopo cinque minuti! (ride)
B: Beh, proviamoci lo stesso, tanto il milione di euro è virtuale…
J.M.: Uno che meriterebbe tantissimo e che forse negli anni è stato un po’ sottovalutato è Jack The Smoker. Come rapper a me piace davvero molto: riesce sia a trasmettere dei messaggi toccanti che a catapultarti immediatamente in un’atmosfera da live grezzo e genuino. Credo che abbiamo parecchio in comune.
B: Johnny, in un pezzo dici che il tuo street name è il nome della tua famiglia, e in effetti Marsiglia è il tuo vero cognome. Come mai questa scelta un po’ controcorrente, soprattutto in Italia?
J.M.: All’inizio, attorno al 2007, mi facevo chiamare Johnny Killa, nome con cui ho anche pubblicato l’EP in free download Radiografie. A un certo punto ho deciso di cambiarlo, soprattutto perché mi ero trasferito da poco in provincia di Varese e sentivo un po’ di nostalgia di casa. Ho scritto quella rima di getto e poi ho pensato, perché no? Marsiglia potrebbe diventare davvero il mio street name.
B.J.: Oltretutto hai la fortuna di avere un cognome così stiloso…
J.M.: In effetti Johnny Marsiglia suona molto meglio di Johnny Killa. Di Killa ce ne sono già troppi, in giro. C’è un’invasione di Killa, peggio che nel Wu-Tang Clan!
B.J.: Che punchline! Devi assolutamente usarla! (ridiamo tutti, ndr)
B: Joe, tu sei un producer ma esiste un mixtape che contiene anche un tuo ritornello rappato (il mixtape è Love is love e la traccia è Nuovo, di cui aveva anche prodotto il beat, ndr). Hai in previsione altri esperimenti simili, in futuro?
B.J.: In futuro mi piacerebbe provare a fare qualche strofa, sì.
J.M.: In realtà Joe è un rapper bravissimo, oltre che un beatmaker bravissimo, solo che a fare bene entrambe le cose rischiava di offuscarmi un po’, quindi abbiamo deciso che era meglio se faceva solo il produttore… (ride)
B.J.: Beh, è un po’ il contrario, con un socio valido come Johnny non avrebbe molto senso per me rappare. (ride mentre Johnny mima una sviolinata, ndr) Comunque, dovendo fare già il producer, non mi avanza molto tempo libero. Però sicuramente ci riproverò, quando capiterà l’occasione.
B: Cambiando argomento, anche se questo è il vostro primo album ufficiale, siete già in circolazione da diversi anni…
J.M.: Il nostro approccio alla musica è sempre stato molto naturale: anche questo disco lo abbiamo realizzato in maniera davvero spontanea, non abbiamo aspettato che si creasse hype attorno al nostro progetto. Lo facciamo soprattutto perché ci piace stare in studio e registrare. Col tempo abbiamo notato che poco a poco la gente cominciava a entrare nel nostro viaggio, e di questo siamo molto contenti.
B: Qual è stato il momento in cui vi siete effettivamente resi conto che qualcosa si stava muovendo nella giusta direzione?
J.M.: Diciamo che è stato tutto molto graduale, ma qualche momento molto intenso c’è stato. Ad esempio ieri: eravamo ospiti a Deejay Tv e lì abbiamo conosciuto Alioscia dei Casino Royale, che ci ha detto che Dee’mo gli aveva fatto vedere il nostro video e che gli era piaciuto tantissimo. Sono stati praticamente due pugni nelle costole: “Il vostro video è molto bello” – gancio destro che ti risucchia l’aria dai polmoni -“Me l’ha passato Dee’mo” – gancio sinistro che finisce di spezzarti il fiato! (ridono entrambi, ndr) Sono sempre grandi soddisfazioni: come quando Ensi si dichiara entusiasta, Chief dice che è un tuo fan, Shocca fa i complimenti a Joe per le sue produzioni… Noi quasi stentiamo a crederci ogni volta, è tutto troppo bello per essere vero! Sono le gratificazioni che preferiamo, queste, e infatti in una rima dico proprio “Preferisco il consenso di un artista che rispetto/ che 600 finti fan con il New Era e lo zainetto”. Per me è davvero così.
B: Parlando di altri artisti, ci raccontate qualcosa del collettivo Gotaste, di cui siete parte?
B.J.: È soprattutto un gruppo di amici di Palermo che amano girare insieme, prima ancora che una crew.
J.M.: Inizialmente ha preso il nome da una fanzine di writing siciliana. Pian piano Gotaste è diventato anche un sito, una piattaforma tramite cui possiamo condividere la nostra musica. È ancora molto attivo, grazie ad artisti come Louis Dee, Bras, Tony Madonia e tanti altri. Con il tempo molti di noi si sono trasferiti e hanno lasciato Palermo, quindi è più difficile vedersi faccia a faccia, ma restiamo comunque molto uniti. Ogni anno, ad esempio, organizziamo il Gotaste Party, che è un appuntamento fisso per gli amanti dell’hip hop in Sicilia.
B: Ho letto e guardato molte interviste che vi hanno fatto ultimamente, e non ho potuto fare a meno di constatare che vi chiedono tutti più o meno sempre le stesse cose. C’è qualcosa che finora nessuno vi ha domandato e che invece speravate risaltasse di più nel disco?
B.J.: Ad esempio, non molti si sono accorti del fatto che alcuni pezzi si chiudono con un piccolo outro strumentale da una trentina di secondi.
J.M.: In effetti è una cosa che è passata un po’ inosservata e i pochi che se ne sono accorti sono stati abbastanza critici nei confronti di questa scelta, ma secondo noi era la cosa giusta da fare: il disco è a nome Johnny Marsiglia e Big Joe, quindi bisogna garantire la giusta presenza di entrambi i componenti del gruppo.
B: In questi giorni escono le nomination per gli Mtv Hip Hop Awards, già ampiamente criticate. Se doveste essere voi a scegliere i candidati ai vari premi, a chi li assegnereste?
J.M.: Già il fatto di avere visto Ghemon e Kiave tra i nominati per me è stato davvero sorprendente, anche se la categoria di Ghemon, Best New Artist, non è granché azzeccata.
B.J.: La situazione purtroppo è questa, non ci meravigliamo neanche: ormai contano più i numeri che tutto il resto.
J.M.: Se dovessi decidere io i vincitori, comunque, penso che sarebbero questi. Best Live, sicuramente Salmo: ho avuto occasione di vederlo dal vivo e mi ha impressionato. Ma forse il premio lo meriterebbe anche E-Green. Best New Artist sarebbe difficile, perché ci sono davvero tanti ragazzi nuovi e bravissimi in circolazione. Aggiungeremmo anche una categoria: Best Producer. Best New Album, a questo punto diciamo che siamo di parte e facciamo vincere noi… (ride)
B: Per curiosità, cosa fate nella vita, oltre a fare musica?
J.M.: Io lavoro in una ditta che si occupa di forniture industriali.
B.J.: Io gestisco un ristorante di specialità tipiche siciliane insieme a mio padre.
J.M.: Fanno arancini, spitini (spiedini, ndr), sfinciuni (una specie di pizza, ndr), crocché, vrocculi a’ pastetta (broccoli in pastella, ndr)… Ti sfidiamo a tradurli tutti, se ci riesci! (ridono)
B: Progetti futuri?
J.M.: Sicuramente un nuovo album targato Johnny Marsiglia e Big Joe, anche se lui sta terminando di lavorare al disco con Louis Dee. Entrambi stiamo facendo vari featuring in giro, ma la cosa che ci preme di più è soprattutto metterci all’opera sul nostro nuovo progetto. Non ti nascondo che ho un po’ d’ansia, è come se dovessimo confermare le promesse che abbiamo fatto con Orgoglio.
B.J.: Infatti, per ragionarci e lavorarci meglio, sto per trasferirmi al nord.