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Crazeology: l'intervista

08-11-2011 Marta Blumi Tripodi

Crazeology: l'intervista

Elogio della globalizzazione, e soprattutto di chi sa osare e sfruttarla: il progetto Crazeology ci dà molteplici spunti di riflessione. Sembra un po’ una favola, una di quelle storie da film a lieto fine: due amici che non frequentano spesso la scena hip hop italiana, ma amano l’hip hop più di molti coloro che ci bazzicano regolarmente, cominciano a sfornare dei gran beat in camera loro, solo per il piacere di farlo. Quando decidono di provare a registrare un disco, dall’Italia non arrivano i feedback e le vibrazioni giuste, così, con un’intraprendenza fuori dal comune, questi illustri sconosciuti si rivolgono alla patria del rap per eccellenza: l’America. Nemo propheta in patria, ovviamente, ma all’estero è tutta un’altra cosa, tanto che perfino dj Premier li passa nel suo show radiofonico, complimentandosi.

L’album in questione uscirà in tutto il mondo a dicembre e la lista delle collaborazioni è impressionante: Supastition, Reks, Verbal Threat, XL from Kreators, Mr. Malchau, Vast Aire, L.I.F.E LONG, The Closers, King Magnetic, Smiley the Ghetto Child, windchiLL, Goretex, BURNTmd, Nervous Wreck, Matt Maddox, Reef The Lost Cause, Randola from Randam Luck, Torae, Crunch Ex, Main Flow, Bugsy, Armageddon from Terror Squad, Vendetta Kingz, Jise from Arsonists, Subtex, Outwrite, Blaq Poet, Nutso, Ruste Juxx, Singapore Kane, Kwote1, DJ Bizkid, DJ Connect, DJ El-Zink, DJ Double S, DJ Modesty. Hotmc.com ve ne regala un assaggio, un’anteprima esclusiva: il brano è P’s & Q’s, feat. Reks e dj Bizkid. Lo scaricate da QUI (tasto destro e salva con nome).

In attesa dell’uscita del disco, abbiamo incontrato il duo di beatmaker per parlare di Italia, mondo, musica e voglia di fare (non necessariamente in quest’ordine).

Blumi: Per la scena italiana siete degli illustri sconosciuti, perciò la prima domanda è d’obbligo: ci raccontate qualcosa di voi?

Weirdo: Il nostro gruppo si chiama Crazeology, un nome che abbiamo preso da un vinile di Charlie Parker, ed è nato nel 2004. Virtualmente saremmo in tre, ma l’altro nostro amico, Booe, ha progressivamente abbandonato la musica per via di impegni di lavoro, così siamo rimasti solo in due. Siamo totalmente autodidatti: sapevamo di voler fare beats, ma non sapevamo usare nessun software o macchina. È stato Res Nullius a capire per primo dove mettere le mani, e poi ci ha dato qualche dritta per iniziare.

Res Nullius: Esatto: non avendo mai frequentato granché la scena, non conoscevamo nessuno che potesse darci delle dritte, e in più abbiamo iniziato anche abbastanza tardi, rispetto alle nuove generazioni. Quando abbiamo cominciato non c’era Youtube, e non esistevano tutorial che ti spiegavano come fare un beat. Ai tempi dovevi farti bastare la curiosità, provare e poi mettere il risultato a confronto con i dischi degli artisti che ascoltavi. Quello era l’unico modo per imparare a fare un beat: affidarsi completamente al proprio orecchio. Poi, parlando per me, il ritardo è dovuto anche al fatto che non ho iniziato subito come beatmaker, ma come writer (Hogre – O.I.C.) nel 1999.

B: Parliamo del disco, invece: l’idea quando è nata?

W: Dopo qualche anno che facevamo beats per conto nostro, per il solo piacere di fare musica tra amici, abbiamo cominciato a sentirci soddisfatti del nostro livello di produzione e abbiamo pensato di realizzare un disco da poter fare ascoltare fuori dalla nostra cameretta (ride). Ci siamo messi a lavorare a questo progetto con un’ottica più seria e professionale, e ci siamo rivolti all’America perché è da lì che arrivano tutti i nostri idoli e i nostri riferimenti artistici.

B: Rigirerei questa tua affermazione: più che il perché vi siete rivolti all’America, sarei curiosa di sapere perché NON vi siete rivolti all’Italia…

W: Il principale freno è che gli italiani di solito sono menosi (scoppiano a ridere entrambi, ndr). Non voglio generalizzare, ovviamente, però la nostra percezione è stata spesso quella.

R.N.: Quando contattavamo un rapper semisconosciuto, magari qualcuno che aveva già un minimo di riscontro all’interno della scena, o non rispondeva proprio oppure aveva delle pretese assurde. A quel punto, abbiamo preferito salutare tutti e guardare altrove. Rispetto al nostro suono, poi, è più coerente utilizzare mc americani, soprattutto se si considera la voce come un valore aggiunto al beat, come un vero e proprio “suono” che va amalgamarsi al resto.

W: Noi ci ispiriamo ai mostri sacri della golden age: dj Premier, Havoc, Alchemist…

R.N.: Vorrei però precisare che non siamo rimasti legati al passato: non siamo antiquati. Noi prendiamo la golden age come punto di partenza e il nostro percorso non è un cerchio che ti riporta inevitabilmente alla golden age così com’è, ma piuttosto una spirale: sai com’è una spirale no? Parti da un punto, fai una circonferenza e quando la chiudi non sei più al punto di partenza, ma ti sei mosso in verticale. Partendo dalla golden age ritorniamo alla golden age, ma al tempo stesso ce ne distacchiamo; prendiamo in considerazione le nostre esperienze, i nostri ascolti e i nostri gusti. Non copiamo pari pari le produzioni degli anni ‘90, anche perché sarebbe impossibile non farsi influenzare dai suoni nuovi che sentiamo in giro.

B: Come vi siete organizzati, nella pratica?

W: Abbiamo stilato una lista di artisti papabili, sia in base ai nostri gusti che in base ai fondi disponibili: molti hanno partecipato gratuitamente perché apprezzavano il progetto, ma per molti altri giustamente è un lavoro e pretendono di essere pagati.

R.N.: C’è una mentalità diversa, negli USA: non c’è praticamente nessuno che fa rap a tempo perso, come invece succede da noi.

W: Inizialmente abbiamo contattato alcuni artisti tramite Myspace (quando era ancora “vivo”), poi tramite Facebook: agli artisti interessati giravamo una lista di beat, loro sceglievano il loro preferito e si partiva da lì. Naturalmente, prima c’era una piccola contrattazione sui dettagli pratici, come le tempistiche o il prezzo…

B: Ecco, questa è una cosa che tutti si chiedono: quanto costa il featuring di un artista americano, mediamente?

R.N.: Di solito gli mc chiedono di non rivelare mai le loro “tariffe”, perché magari a te fanno un prezzo di favore perché sono interessati al progetto, e ad altri fanno un prezzo più alto. Addirittura, una volta stavamo parlando con un rapper e gli stavamo dicendo che l’artista X ci aveva fatto un prezzo più basso: lui ci ha risposto che non era etico fargli sapere quanto si fanno pagare gli altri!

W: È anche questione di strategia: ad esempio, quando proponevamo a un artista minore di partecipare a un pezzo in cui c’era anche un nome molto più grosso, era più facile convincerlo ad accettare alle nostre condizioni! (ridono entrambi)

B: La scaletta, tra l’altro, è davvero ricchissima: su ogni traccia non c’è un singolo artista, ma almeno due o tre nomi…

W: Questo per due motivi. Il primo è pratico: avere un solo artista per traccia ci sarebbe costato molto di più. Il secondo, invece, è meramente stilistico: variare è più interessante e stimola di più la creatività.

R.N.: L’unico problema, da questo punto di vista, riguarda l’organizzazione dei live, che diventano molto più complicati da concretizzare.

B: State anche pensando a dei live, quindi?

R.N.: Probabilmente non per questo progetto specifico, ma stiamo già lavorando a varie cose nuove, EP e album, con un solo artista per volta: in quel caso, sarà molto più facile portarli in Italia.

W: Ci sono arrivate diverse richieste dall’America mentre lavoravamo all’album, ma è difficile accontentare tutti e, in generale, organizzarsi.

B: Negli States, in effetti, voi non partite proprio da zero, anzi, avete già ottenuto riscontri importanti: dj Premier ha passato un vostro brano nel suo show radiofonico. Com’è andata?

W: Ho provato a spedirgli un nostro pezzo, New York minute, sapendo che gli mc presenti erano tutti suoi amici e che quindi ci sarebbe stata qualche chance in più che lo prendesse in considerazione, tra le centinaia di brani che ogni giorno gli spediscono per il programma radio… (ride) Inaspettatamente dopo cinque giorni, quando ormai avevo rinunciato a una risposta, mi ha scritto dicendo che lo avrebbe trasmesso la sera stessa. E alla fine ci ha anche fatto i complimenti!

R.N.: C’è da dire, però, che non era il primo che ci passava: aveva già mandato in onda delle cose prodotte da noi e estratte dal disco di Kool Sphere. Però la gente, quando scopre che Premier ci ha preso in considerazione, ha una reazione di stupore assoluto: il commento più frequente è “Ma da dove cazzo siete saltati fuori? Nessuno ha mai sentito parlare di voi eppure siete riusciti ad arrivare a Preemo!”. (ride)

B: Una cosa che colpisce molto, del vostro progetto, è un tipo di mentalità e di intraprendenza che in Italia quasi non esiste: l’idea di guardare all’estero l’hanno avuta davvero in pochi, magari non per scarso interesse, ma per poco coraggio…

R.N.: Anche in questo caso è una questione di mentalità. Per molti, in Italia, chi paga per un featuring è un esordiente, uno che non conosce nessuno, uno scarso il cui unico modo di ottenere delle collaborazioni è comprarle. In America è proprio il contrario: pagare è un modo per dare valore al lavoro dell’artista e sarebbe impensabile che uno sconosciuto contatti un mc per chiedergli di collaborare gratis, è come insinuare che non è un professionista. Il nostro e il loro sono due mondi che non comunicheranno mai tra di loro.

W: Ce ne stiamo rendendo conto soprattutto ora che cominciamo a vendere qualche base: se ci scrive un americano, ci chiede immediatamente quanto costa, mentre l’italiano generalmente ti chiede “Oh, ce l’hai una base che ti avanza?”. (ride)

R.N.: Comunque questo è un discorso che vale quando l’artista in questione non ti conosce, e l’unica garanzia che ha è quella di farsi pagare. Il rischio che il suo lavoro rimanga nel tuo cassetto è un rischio reale e, dato che nessuno ha tempo da perdere, almeno cerca di guadagnarci qualcosa. E poi, è anche un modo per rompere il ghiaccio con gli artisti. Gli stessi che abbiamo pagato, successivamente ci hanno ricontattato per lavorare ad altri progetti, ma questa volta in modalità free.

B: Cambiando argomento, parliamo del processo produttivo: voi lavorate insieme ai beat che producete o ciascuno dei due si concentra sulle proprie basi?

W: Noi lavoriamo separatamente, anche perché abbiamo uno stile un po’ diverso (il beat della nostra anteprima, ad esempio, è prodotto da Weirdo, ndr). E poi non abbiamo uno studio, quindi ciascuno deve produrre a casa sua. Dopo, ovviamente, ci confrontiamo insieme sui beat da utilizzare.

R.N.: Essere in due stimola anche a fare sempre meglio, aiuta il confronto e in parte anche la competizione, quella costruttiva, che ti porta a voler fare sempre meglio dell’altro… Ci troviamo molto bene in questa modalità.

B: Che musica ascoltate, di solito?

W: Prevalentemente hip hop, perché dovendo fare quello, bisogna anche ascoltarlo. Soprattutto roba vecchia, però. Ci sono davvero pochi dischi recenti che ascolto volentieri dall’inizio alla fine, come ad esempio Double Barrell di Marco Polo e Torae, un vero capolavoro per me.

R.N.: Io invece amo molto il suono più soulful, quindi campioni ricchi, voci potenti… Ovviamente ascoltiamo anche tanto soul, progressive rock e tutto ciò che ricade all’interno del decennio dei ‘70; insomma, è da lì che vengono i nostri campioni.

W: Che in genere arrivano da mp3. Purtroppo i vinili che ci interessano sono difficilmente reperibili e quando si trovano costano una follia; c’è da dire che è difficile che la gente si accorga davvero della differenza, se campioni da file con qualità audio alta.

R.N.: Se non hai i soldi per comprare i vinili e l’attrezzatura per utilizzarli, o rinunci a fare musica o trovi un’alternativa. Visto che viviamo nel 2011 e le alternative ci sono, le sfruttiamo; abbiamo una collezione “virtuale” vastissima. L’unico che si è accorto della differenza, finora, è stato Bassi, che quando si è occupato del mix e del master effettivamente ci ha chiesto se avevamo campionato da mp3! (ride)

W: Tra l’altro Bassi è l’unico italiano che ha partecipato alla realizzazione del progetto, a parte Double S…

B: A proposito, Double S come lo avete conosciuto?

W: Per gli scratch da inserire nei nostri singoli volevamo un dj davvero eccellente: lo abbiamo contattato tramite e-mail e poco tempo dopo lui è venuto a Milano, per una data dei One Mic, e abbiamo avuto modo di conoscerci dal vivo. È una persona come se ne vedono poche: molto professionale, che lavora velocemente e bene. Inoltre è alla mano e soprattutto ha i piedi per terra, nonostante sia un veterano della scena.

R.N.: E la professionalità per noi è stata una discriminante fondamentale. È una delle tante cose che abbiamo imparato durante la lavorazione del disco: pur lavorando con dei perfetti sconosciuti, alla fine riuscivamo a distinguere le persone professionali da quelle totalmente inaffidabili! (ride)

W: I più veloci e precisi in assoluto sono stati Supastition e Rasco, che nel giro di mezza giornata ci avevano già mandato il loro materiale. Altri, invece, ci hanno fatto aspettare anche sei mesi…

B: Infatti: raccontateci qualche retroscena della lav orazione del disco. Vi hanno mai tirato qualche pacco clamoroso?

R.N.: C’è stata una persona in particolare che si è comportata malissimo, e infatti sull’album non c’è: è Craig G.

W: È stato il primo americano che abbiamo contattato, costava relativamente poco ed era una leggenda del rap: sulla carta, una combinazione perfetta. Ci ha detto che, una volta pagato, in 24 ore avremmo avuto la nostra strofa. E in effetti, così è stato: il giorno dopo ci ha mandato un mp3 del pezzo in qualità bassissima, senza tracce separate, per dimostrarci che effettivamente l’aveva preparata. Poi, però, è scomparso nel nulla, e non ci ha mai mandato le acapellas da usare per il disco. È stato un bel trauma, perché essendo il nostro primissimo approccio con la scena americana, rischiava di farci passare la voglia di realizzare il nostro progetto.

R.N.: Inizialmente aveva tirato fuori delle scuse assurde, cercando di guadagnare tempo: sta male mia nonna, mio figlio ha avuto un incidente… Poi abbiamo scoperto che ha fatto la stessa cosa con molti altri europei, la sua era un’abitudine. Solo che, a quel punto, cosa potevamo fare? Noi eravamo qua, lui era là… E lui lo sa bene, che tu sei qua e lui è là! (ride)

W: È un po’ una lotteria, insomma: tu metti i soldi e compri il biglietto, e poi se vinci una strofa, bene, se no pazienza… (ride) Scherzi a parte, non abbiamo mai capito perché abbia preso i soldi e sia scomparso, anche perché c’è anche gente che giura e spergiura di essersi trovata benissimo a lavorare con lui.

B: Appunto: come fate a raccogliere informazioni e tutelarvi da possibili “truffe”? C’è una specie di società segreta produttori anonimi?

W: Beh, riguardo a Craig G avevo conosciuto un altro produttore su Myspace che mi aveva raccontato di essere stato fregato a sua volta. Aveva perfino aperto un piccolo forum che recitava più o meno “Se siete stati fregati anche voi, discutiamone qui!”. (ride) Da lì abbiamo tutti stretto amicizia, confrontandoci sulle nostre esperienze. Comunque ultimamente è diventata quasi una prassi scambiare questo tipo di informazioni, in maniera confidenziale, con altri produttori. In questo modo è possibile evitare parecchie fregature.

B: Tornando al disco, quale sarà la modalità di uscita dell’album?

W: Per ora abbiamo attivato un profilo sul sito IndieGoGo, riservato agli artisti emergenti, dove ciascuno crea la propria piccola piattaforma. È possibile fare un preordine del disco, una cosa che ci serve soprattutto per capire qual è la quantità di copie da stampare e le aspettative a cui aspirare.

R.N.: Sarà in vendita dal 14 dicembre a circa 12 euro (spese di spedizione incluse), con sistemi di pagamento online e simili. Non sappiamo ancora se e come sarà distribuito nei negozi, ma sicuramente gireremo i vari concerti e cercheremo di smazzare lì i cd, alla vecchia maniera!

W: In Italia la cultura della vendita su Internet non è molto diffusa, infatti la maggior parte dei preordini che ci sono arrivati finora sono soprattutto provenienti dall’America e da Paesi europei come Germania, Francia e Belgio.

B: E quali sono le vostre aspettative nei confronti dei risultati?

R.N.: All’inizio speravamo di rientrare nelle spese e ora, più realisticamente, speriamo di ammortizzarle! (ride)

W: Diciamo che per noi questo è soprattutto un biglietto da visita che ci aprirà collaborazioni future, speriamo. L’essenziale è avere riscontro da quel punto di vista. Anche se da noi, purtroppo, è più facile farsi conoscere collaborando con artisti italiani, piuttosto che con americani.

R.N.: È anche una questione strutturale. Per come la intendo io, a Milano non c’è una grande scena hip hop. Per fare un esempio stupido, abbiamo ricevuto delle reazioni molto entusiastiche da Napoli, perché là c’è una percezione dell’hip hop come cultura d’eccellenza che qui da noi si è persa. C’è una bella differenza tra rap e hip hop. Alcuni artisti sono bravissimi a fare rap, ma di hip hop non hanno davvero più niente.

B: Ma c’è qualche artista italiano che vi piace?

R.N.: Ci piace moltissimo Ghemon, lui spacca davvero. Si capisce che ha una cultura seria alle spalle, e che non fa musica semplicemente per apparire.

W: Purtroppo lui è una minoranza, gente come lui praticamente non esiste. I rapper che appreziamo, come appunto Ghemon, Matt Manent, Ensi, Musteeno, Maury B e lo stesso Bassi, sono pochissimi.

R.N.: Ci piace anche tutta la scena classica: Colle der Fomento, Kaos… Quella con cui ci siamo formati, insomma. E, a livello di produzioni, sicuramente Shocca, Zonta e Mr Phil.

W: Nonché artisti che hanno fatto la nostra stessa operazione, ovvero Fabio Musta e Oyoshe.

B: Last but not least: progetti futuri?

W: Vorremmo concentrarci su un EP con Nutso, un mc emergente di New York presente anche nel brano che aveva passato Premier. Lavorare a un disco insieme è stata un’idea sua e a noi piacerebbe molto, anche perché ha un gran bel giro di contatti e concentrarci su un solo artista per volta potrebbe essere interessante, tanto per cambiare. Ci stiamo ancora organizzando, ma probabilmente con lui realizzeremo anche il video di New York minute, anche se ovviamente lui girerà la parte americana a casa sua, e noi e Double S filmeremo la nostra qui.

R.N.: Siamo anche nella fase embrionale di un EP con Kool Sphere, ma è ancora un progetto molto vago. Infine stiamo pensando di iniziare a lavorare con qualche italiano, anche se qualche collaborazione in realtà l’abbiamo gia fatta. Io ho prodotto delle tracce a due mc di Milano amici miei, Prinz e Jangy Leeon, nel loro disco Symphony’s Backline.

W: Io invece ho prodotto un pezzo a Matt Manent per il suo EP On The Road. Ad ogni modo stiamo pensando di lavorare a un progetto interamente italiano perché, oltre ad essere paradossale, sarebbe un peccato essere più conosciuti all’estero che nel nostro Paese d’origine.