Originario di New York, Doze Green, ai tempi Doze, inizia a dipingere treni nei primi anni ‘70; come per molti suoi coetanei il suo percorso artistico coincide con la nascita e lo sviluppo del writing.
Il suo ruolo nella storia dell’ hip hop non si ferma ai graffiti ma spazia verso il breaking quando Doze, diventa parte della Rock Steady Crew insieme a Crazy Legs, Frosty Freeze (RIP) e Ken Swift.
Poco dopo, quel movimento che era nato come reazione ad una realtà sociale disagiata e critica avrebbe preso piede nel mondo dei media, attraverso programmi TV, film, performances live di ballo e mostre presso le gallerie d’arte che iniziavano ad aprire nei quartieri “alternativi” di Manhattan.
Doze, come molti altri, ha vissuto a 360° quelli che sono stati gli anni più significativi per la nascita e lo sviluppo di uno dei fenomeni sociali più importanti del secolo scorso, documentati dalle fotografie di Henry Chalfant e Martha Cooper (Burners e Hip Hop Files).
Nonostante nel corso degli anni il suo stile sia evoluto verso il lavoro su tela e sulla grafica, Doze ha mantenuto viva quella visione dell’arte che gli ha dato la possibilità di esprimere se stesso dall’inizio: il suo approccio e le sue prospettive sono condivisi da chiunque venga da un percorso analogo al suo e non sono limitati all’ambito della pittura ma sono estensibili a tutti i luoghi spirituali in cui si fa arte.
L’abbiamo incontrato in una afosa serata di mezza estate milanese, in occasione della mostra collettiva “Troubles Never Come Alone - July ‘08” dove esponeva con Yuri Shimojo, Che Jen, Bo130 e Microbo alla galleria The Don Gallery. Il progetto: tele dei singoli artisti + una installazione fatta 10 mani dalla combo NYC- Milano creata appositamente per l’occasione nei giorni precedenti il vernissage.
Quello che è uscito da questa chiaccherata fatta tra un bicchiere di vino bianco e l’altro è la storia di un viaggio che è stato di molti quando l’hip hop è nato ma che resta fondamentale per la crescita di chiunque faccia arte e senta l’arte come parte indissolubile della propria vita, che sia musica, pittura o danza.
FxLd: Partendo dall’inizio, come è avvenuto il tuo primo contatto con l’arte a New York negli anni ‘70?
Doze: Il mio primo approccio all’arte è avvenuto grazie a mia madre che era artista, fin da bambino disegnavo e dipingevo. Vivendo Uptown, a Washinghton Heights c’erano molti graffiti nella mia zona, mi piaceva vedere quello che facevano i ragazzi piu grandi di me, con cui giocavo di solto. Loro iniziavano già a fare tags in giro per il vicinato ed era divertente; un modo per dire alla gente da dove venivi, quale era il tuo neighbourhood, era un modo per comunicare tra amici. Poi tutto questo si è espanso sui treni e nei pezzi che provenivano da varie parti della città ed era una forma di comunicazione tra quartieri, crews..le fonti di ispirazione erano maestri come Phase 2, Dondi (RIP), Slave, TC 5 crew..ecc.. Quando poi ho iniziato a vedere quelle lettere enormi è stato emozionante, anche per la questione del colore; prima di quel momento c’erano solamente le tags. E’ stato nel momento in cui ho notato i pezzi e l’attacco concettuale alla forma delle lettere che ho capito che volevo fare quello. Il mio primo amore! Dopo questo primo approccio ho iniziato a fare pratica e ad unirmi con varie crews: The Rebels, TMA, TNT, The Crazy 5, una delle crews più vecchie. Per me era un onore farne parte, anche perchè se sei giovane, avere intorno gente piu grande ti aiuta nei momenti critici, questa era una bella cosa. Attorno all’86, dopo questo periodo, ho smesso di dipingere e mi sono trasferito in California per fare grafica e fare qualcosa che fosse accettato meglio dalla mia famiglia. La grafica però non era abbastanza per me quindi ho ripreso con la pittura. Successivamente mi sono trasferito a San Francisco, dove dipingevo in vari luoghi della città. Cercavo di dare messaggi politici e sociali e la gente iniziava a notarli e a capirli chiedendosi chi fosse a farli..poi capivano che era Doze di Rock Steady.. e questo mi ha aiutato..ogni tanto mi chiedevano se ballavo ancora..!! Tutto questo ha avuto esito positivo e mi ha portato a dipingere con gente come Barry McGee e altri artisti della scena di San Francisco.
FL: Parlando di arte come comunicazione, pensi ci sia una relazione tra l’arte e la società?
D: Certo, l’arte è mutevole, è viva, è il riflesso di un’epoca e dell’umanità. Non è semplicemente art for art’s sake (arte per l’arte, n.d.r.) ma è humanity’s sake, e nei miei lavori cerco di creare parallelismi in cui ad ogni cosa corrisponde un valore simbolico, come un codice. E’ come creare una la tua lingua che la gente cerca di capire per tirarne fuori il significato intrinseco: può essere magia, sciamanismo, antropologia… A questo proposito mi piace prendere simboli da società antiche e mischiarli perchè li vedo come legati alla società alle religioni.. non mi interessa il governo, l’istituzione, mi interessa l’esperienza dell’umanità. Mi limito a prendere temi classici e a reinterpretarli secondo la mia visione.
FL: Questa visione forse è legata anche al tuo background, fare graffiti è un modo di comunicare attraverso l’arte che ha avuto fin dall’inizio un impatto molto forte e chiunque lo fa deve essere molto motivato..no?!..o non ci sarebbero ragioni per farlo…
D: Si infatti. La grande ragione per continuare a dipingere sui muri è la connessione che si crea con la gente. Ci sono persone che o non hanno accesso all’arte o non vogliono avvicinarvisi perchè pensano sia noiosa; questo perchè l’art system è stantio e arcaico, decadente, aristocratico e troppo esclusivo. La strada invece è inclusiva, aperta, tutti possono entrarci portando le proprie idee, le proprie impressioni.
E’ come una storia infinita che può andare a vanti senza interrompersi mai. Nei miei lavori ognuno può vedere qualcosa di diverso. Non c’è un oggetto definito: l’interpretazione sta su più livelli, è multisfaccettata…Si intersecano vari aspetti: politico, sociale, sessuale, fantastico, qualunque cosa. Tutto insieme in questa magia caotica!
FL: Ma forse la differenza è proprio questa, tra chi dipinge con un background e un’esperienza radicati nella città, nella strada e chi dipinge per moda, per seguire una tendenza…
D: Il punto è che anche negli ’80 con Fun Gallery e tutti gli gli shows a cui avevano partecipato Zephyr, Dondi, Futura, Crash, Pink c’era stata una diffusione dell’hip hop anche a livelli superficiali.. Burger King, McDonald’s, Disney.. tutti attingevano e commercializzavano l’hip hop e la breakdance..
Tutti questi artisti però, dopo il boom sono stati messi da parte dal mainstream. Da questo ho imparato che non bisogna seguire il treno! Attualmente la linea di confine tra arte e fashionism è molto sottile. La moda è diventata come una “quarta arte”.. al primo posto la musica, poi la pittura e la danza..questa è la base..la moda viene dopo ma questo è un problema legato all’ambito dell’arte, e non mi interessa molto. Ci sono tutte queste commistioni senza etica, senza estetica.. è tutto troppo cheap!
FL: Infatti. Mi ha colpito quello che tu dici in un’intervista parlando dell’art system e dell’approccio che un artista dovrebbe avere verso questa realtà.. ( il fatto che gli artisti non hanno bisogno dell’istituzionalizzazione e dell’art system per essere riconosciuti)..
D: Dico quello che penso, l’arte è per le persone è legata alle persone, è fatta per la gente… Penso che il sistema dell’arte in una fase di sgretolamento, di crollo e se non hai la testa sulle spalle, che tu sia ricco o povero, se non fai arte con lo spirito giusto e con la giusta mentalità sei destinato a seguire quel crollo. Sai, tipo quei giovani artisti che si bruciano perché vogliono arrivare troppo velocemente alla meta.. devono leccare il culo a galleristi e ai collezionisti di arte accettando specifiche richieste di altri su colori, stili… Questo uccide l’artista, che invece dovrebbe essere dinamico ed evolversi continuamente.
FL: …Non tutti hanno alle spalle la storia che hai tu..o che ha gente come Futura, Mode2, Dondi…
D: Si, certamente…
FL: Voglio dire, voi avete fatto la storia e a prescindere dalle vostre scelte artistiche avete il rispetto di tutti, ma lo stesso non vale per le nuove generazioni…
D: Si, molti giovani vogliono tutto subito, sono impazienti e appena le cose si complicano corrono a piangere dalla mamma.. ma in realtà tutto questo è come un viaggio, un percorso; come quello che deve intraprendere un alchimista, un predicatore, un monaco…
FL: The mind of the Traveller insomma.. per dirlo alla Leed..
D: Si, si, o come Paulo Coelho..è la stessa cosa, vai per la tua strada e apri la tua mente. A volte è dura ma ci devi credere per davvero o non puoi farcela.
FL: Credo che la prima cosa sia sentire l’arte e averne rispetto, qualsiasi forma d’arte, intendo.. se ci sono queste due cose poi qualcosa indietro ti torna per forza..mentre se lo fai solo per soldi finisce che non funziona..
D: Si, certo, esattamente.. Io ho passato tanto tempo studiando e facendo continuamente retrospettive sui miei lavori, e anche in questo momento sto continuando a scoprire me stesso. Sai, cambio ogni cinque anni, praticamente, questa è un’altra cosa importante: il cambiamento…creare e distruggere.. creare e distruggere.. continuamente…