HOTMC

Intervista Lord Bean

02-07-2005 Icon, Leep, Marta Blumi Tripodi, Slint

Intervista Lord Bean

E’ da poco disponibile per il download il suo ultimo lavoro, “Lingua ferita”, registrato interamente su strumentali di El-P. In questo incontro serale, Bean ci racconta i retroscena della realizzazione del disco e dice la sua sulla scena attuale.

Slint.: Una domanda abbastanza scontata: perché El-P?

Bean: Cominciamo col dire che sul disco sono presenti una strumentale tratta da Cold Vein dei Cannibal Ox e alcune tratte da Collecting the Kid, che non sono mai state utilizzate per il rap, mentre la maggior parte arrivano da The fantastic damage. Quest’ultimo in particolare è un album assurdo, che ha un suo eccezionale valore, a prescindere dal fatto che ti piaccia o no. La prima volta che l’ho avuto tra le mani, dopo aver ascoltato un solo pezzo mi sono detto “ma questo è impazzito!” e l’ho subito messo da parte, senza pensarci più; dopo otto mesi l’ho risentito e l’effetto è stato completamente diverso, ma per entrare davvero nel viaggio di El-P ci ho messo più o meno un annetto. Alla fine ho capito che non potevo far finta che quel tipo di suono non esistesse, che in qualche modo dovevo pagargli un tributo. Purtroppo El-P è rimasto confinato nell’underground, probabilmente anche perché, oltre all’impostazione dei beat, i suoi testi non sono per niente immediati, ma incredibilmente personali, quasi da cantautore visionario. Usare i suoi beat è anche un modo per portarlo all’attenzione del pubblico italiano, per farlo ascoltare anche a chi in condizioni normali si bloccherebbe davanti alla cacofonia delle sue sonorità.

Io adoro il rap, ma non è il mio lavoro e non è scritto da nessuna parte che debba prendere e accettare tutto quello che questo fenomeno si trascina dietro.

S.: La scelta di metterlo online gratuitamente, da cosa nasce?

B.: Volendo lavorare su un progetto del genere, e soprattutto riprendendo un personaggio come El-P, che fa storcere il naso a molti al solo sentirlo nominare, mi è sembrata la soluzione migliore. Lingua ferita non è un prodotto di facile ascolto e avrebbe potuto lasciare perplesse parecchie persone; però, almeno, è gratis e tutti hanno l’opportunità di ascoltarlo e di decidere se cancellarlo o conservarlo. Molti non si capacitano della cosa, perché praticamente nessuno, a un certo livello, aveva mai tentato di mettere un intero disco gratuitamente in rete.

S.: E all’interno della vastissima produzione di El-P, con che criterio hai scelto i beat da usare?

B.: Non è stato facile. Molti dei suoi beat li ritenevo più belli o altrettanto belli, rispetto a quelli che ho selezionato, ma mi sono trovato a scartarli per altre ragioni: magari erano già usciti come singolo, oppure erano già stati ripresi da qualcun altro, o ancora ero io che non sapevo bene cosa farne… Diciamo che, tra quelli non troppo inflazionati, ho usato i beat che mi hanno ispirato immediatamente qualcosa. In alcuni ho addirittura parafrasato il testo dello stesso El-P, prendendo spunto dalla tematica che lui aveva scelto per quello specifico pezzo.

S.: Il flow di El-P è molto particolare: mentre preparavi i pezzi ti sei mai sentito influenzato dal suo modo di rappare?

B.: In qualche modo era inevitabile, però io non rappo come El-P… Magari! (ride) Insomma, calcola che il mio è un album vero e proprio, scritto apposta per e su quel tipo di strumentale, in cui però non era possibile seguire il comune procedimento creativo per il rap: normalmente un mc riceve un beat dal suo produttore, scrive le sue strofe, le registra e poi insieme si decide come strutturarlo, dove svuotare, dove evidenziare la batteria, che suoni aggiungere, come staccare il ritornello… Io mi sono ritrovato a usare delle strutture già rifinite e concluse, anche piuttosto complesse, e mi sono dovuto arrangiare: per esempio mi sono ingegnato a utilizzare i vuoti già esistenti per dare un accento particolare a certe frasi. È un processo altrettanto complicato, rispetto a quello che si porta avanti di solito: non basta certo accendere lo stereo e lasciare andare la strumentale, ci vuole uno studio particolare e faticoso.

S.: In certi punti, in effetti, la tua interpretazione sembra voler dare una continuità con un certo tipo di suono Def Jux…

B.: Può essere. In realtà credo dipenda più che altro dai miei gusti in fatto di rap: a parte quel tipo di cosa io non ascolto molto altro, in ambito hip hop, quindi nel momento stesso in cui ho deciso di intraprendere questo progetto non mi sono confrontato con nient’altro. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto riferendomi alla cornice che mi fornivano i beat, senza pensare alle regole del music business o altro…

S.: Hai mai provato a contattare El-P per chiedergli un parere sul tuo lavoro?

B.: Per il momento no, ma non escludo di farlo in futuro. All’inizio ho evitato di cercarlo più che altro per scaramanzia, anche se non credo si sarebbe mai opposto al progetto: anzi, penso di avergli fatto un favore, visto che in Italia quasi nessuno ha ascoltato i suoi lavori, per pregiudizio oppure per poca informazione. Già i CDB avevano usato le strumentali di due singoli dei Company Flow per i loro pezzi sul mixtape 50 Mc’s, se ricordate. In effetti, per chi ha un certo tipo di cultura musicale, il metodo di lavoro di gente come El-P è molto interessante: scandagliare il funk-soul anni ‘70 è una cosa comunissima, basta avere la pazienza di scavare tra i vinili fino a quando trovi quello che suona nella maniera giusta (e ce ne sono tantissimi, di dischi, che già al primo ascolto ti lasciano in testa l’idea di un beat fatto e finito), mentre gente come lui ha preso quello che veniva dopo. Tutto il periodo elettronico degli anni ‘80, con musicisti del calibro di Giorgio Moroder, può tranquillamente fornire le basi per l’hip hop del 2000. Ovviamente per “hip hop del 2000” non mi riferisco certo a 50 Cent, che si rivolge a un tipo di pubblico molto diverso, né a Madlib, che nella sua genialità riesce a campionare da qualsiasi cosa e a tirare fuori dei capolavori.

S.: Cambiando completamente argomento, come si inquadrano le citazioni cinematografiche nel contesto dell’album?

B.: Immagino che abbiano incuriosito molta gente: anche se le voci dei doppiatori sono conosciute, alcuni dei film da cui le ho tratte non lo sono per niente. Nel pezzo Quale ordine, comunque, c’è un brano da Il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang, mentre le citazioni sui poliziotti arrivano da Satan’s sadist, un b-movie sul filone bikers che riprende i satanisti seguaci di Manson. Poi c’è Nanni Moretti, con Palombella rossa, e alcuni dialoghi presi da Moby Dick; questi ultimi, che in realtà sono delle riflessioni che Gregory Peck fa sulla balena, li ho associati a uno stralcio di Citizen Berlusconi mai trasmesso in Italia, in cui il premier pronuncia una frase piuttosto sconveniente.

Leep: Oltre ai dialoghi dei film, ha suscitato molta curiosità anche l’idea di inserire delle parti recitate nel disco. Chi è Peggy Galante, e come è nata la collaborazione tra di voi?

B.: Peggy Galante è una ragazza che fa la scrittrice di professione. Già da un po’ volevo fare un esperimento di poetry, anche se non sono il primo ad avere tentato l’impresa: mi viene in mente Baricco, che ha fatto un disco recitando cose sue sulle basi degli Air, ma io volevo creare qualcosa di diverso, più interessante. I versi li ha scritti tutti Peggy, anche se in alcuni era lei che si occupava anche dei contenuti, in altri ero io che le davo lo spunto per le tematiche. Visto che si tratta di brani lunghi, li considero come pezzi fatti e finiti e li ho lasciati attaccati alle tracce, da ascoltare una volta sola e con attenzione; anche io, ora come ora, li skippo. Sarebbe come leggere tre o quattro volte la stessa pagina di un libro, non ha molto senso… Almeno un ascolto gli andrebbe dedicato, però: il mio è un concept album ed è giusto che il filo conduttore venga preso nella sua interezza. Le argomentazioni di Lingua ferita sono molto particolari, rispetto a quelle che si sentono di solito nell’hip hop italiano: normalmente lo schema-tipo dell’album rap è intro- pezzo sul fumo- pezzo sull’amore- pezzo sulla figa- pezzo preso male- pezzo sul passato- outro. Volevo dimostrare che il rap non è un club esclusivo dove solo alcuni argomenti possono essere trattati, e che si può fare un ottimo lavoro anche spaziando altrove.

È uno storytelling, e uno storytelling è parlare di qualcosa, mettersi in una situazione, immaginare, provare a descrivere una circostanza…

L.: Questo spaziare, però, a volte ha scatenato delle critiche. Una di quelle che ho sentito più spesso è stata “Vorrei proprio sapere quante volte Lord Bean si è trovato nel bel mezzo di una rapina con in mano una 9 millimetri”…

B.: Riferito a Questioni, dici? Beh, se qualcuno la pensa così vuol dire che non ha proprio capito lo spirito del brano. È uno storytelling, e uno storytelling è parlare di qualcosa, mettersi in una situazione, immaginare, provare a descrivere una circostanza… Io, che sono un grande fan dei polizieschi anni ‘70, non potevo evitare di scrivere un pezzo del genere. Ovvio, l’ascoltatore è libero di dirmi che ho esagerato, che da parte mia è stato pretenzioso, che c’è chi avrebbe saputo raccontare meglio, ma sinceramente non m’interessa più di quel tanto: mi sentivo di farlo e l’ho fatto. E a chi commenta che non sono più lo stesso Lord Bean di Street opera rispondo che sì, è così, e meno male che è così, perché se fossi fermo allo stile e alle tematiche di otto anni fa sarei una muffa. Quando hai diciannove anni sei più portato a scrivere certe cose, quando ne hai ventotto le cose si evolvono in maniera naturale. Se uno non cambia, a livello umano prima ancora che artistico, vuol dire che c’è qualche problema… C’è stato un periodo in cui mi ero veramente stancato del rap italiano, perché sembrava che il più bravo fosse quello che rappava più veloce: magari non andava neanche a tempo, e tutti a imitarlo perché dovevano essere più veloci di lui. Nessuno sembrava capire che il rap non è questo: eppure gente come Q-Tip non è certo ricordata per i suoi extrabeat o per le sue rime serrate, ma indiscutibilmente ha fatto la storia. Il rap è musica, testo, interpretazione, flow, e tutto questo deve andare di pari passo.

S.: Nel brano Il tuo fottuto nome, invece, in alcune rime attacchi la street art degli sticker e degli stencil. Perché?

B.: Reputo degli sfigati quelli che si sono riciclati da writer a creatori di sticker. Non ho niente contro chi cambia percorso artistico, sia chiaro: anche io e gli altri Rebel Ink, che partiamo da un background di treni e yard e abbiamo più volte rischiato fedina penale e incolumità, con la creazione di questo team abbiamo iniziato un’avventura diversa in un contesto diverso. Ma tutti gli anni che abbiamo perso appresso al writing illegale non li abbiamo convertiti in una manciata di pupazzetti. Certo, sappiamo tutti che con i pupazzetti si fanno più soldi e che rendere street l’immagine di questo o quel marchio di abbigliamento è un’attività molto quotata, ultimamente, ma trovo che la cosa non abbia un grande spessore artistico, e credo che anche un critico professionista la penserebbe come me. Oltretutto, come writer, mi dà fastidio essere accomunato a un tizio che si limita ad attaccare uno sticker: gli adesivi con la propria tag hanno sempre fatto parte del writing, questo è vero, però il fenomeno non si limitava certo a quello.

S.: Come avrai avuto modo di leggere, nella recensione di Lingua ferita pubblicata su Hotmc c’erano dei paragoni con Fabri Fibra, come maniera di essere esplicito, colloquiale…

B.: Il paragone ci sta. Naturalmente non era una cosa voluta, io ho fatto semplicemente quello che in quel momento m’ispirava: era un periodo in cui volevo essere meno criptico nel messaggio perché, anche se suona banale dirlo, voglio che arrivi, che non rischi di essere frainteso. Se il parallelo con Fabri si basa sulla colloquialità, funziona ed è azzeccato, anche se credo che i suoi contenuti siano molto più crudi dei miei e che quindi vengano apprezzati da un pubblico molto più giovane. Però ripeto, questa somiglianza nell’approccio non è stata una scelta: molto più semplicemente, quello che scrivevo usciva fuori così. Io voglio parlare alla gente, nel senso più ampio del termine. Durante la mia giornata io non frequento b-boy, o comunque persone legate alla scena italiana: quando do il mio disco a un collega di lavoro completamente digiuno di rap e mi accorgo che il feedback è positivo, allora capisco che quello è un disco realmente hip hop. Essere comunicativi non vuol dire scendere a compromessi, anzi: ritengo che Lingua ferita per molti versi sia un album hardcore. Qualcuno riesce a immaginarsi uno dei pezzi della tracklist che passa in radio? Credo proprio di no. Trasmettere qualcosa a persone esterne alla scena non m’impedisce di essere me stesso.

S.: Quindi preferirti muoverti al di fuori della scena italiana?

B.: Io amo il rap, amo farlo e amo ascoltarne poco, ma buono. A un certo punto mi sono accorto di aver smesso di fare rap, e non sapevo neanche esattamente il perché: ho cominciato a farmi delle domande e mi sono reso conto del fatto che uno dei motivi principali è che ero stanco di andare a jam e feste e vedere attorno a me un ambiente immaturo, anche a livello di età dei presenti. L’hip hop italiano ha un target giovanissimo e comunque molto ristretto, che non mi corrisponde per niente. Ho capito che per ricominciare a fare del buon rap sarebbe stato meglio prendere le distanze dalla scena e dai suoi ritrovi; non perché siano delle cose malvagie, anzi, qualsiasi cosa che sia aggregativo è per forza positivo, però non fanno davvero per me. Non m’interessa essere parte della comunità hip hop italiana, però m’interessa molto esprimermi con l’hip hop: come dicevano i Gente Guasta, è un mezzo, non un fine.

Blumi: Dobbiamo dedurre che non vedremo nessun live di Lingua ferita…

B.: No, e non parlo solo dell’ambito hip hop: non ne farò neanche altrove. Al momento sto portando avanti i live di Rebel Ink che, anche se si tratta di aerosol art, m’impegnano tanto quanto un tour di concerti. In quest’album ho messo tutto me stesso e ho fatto tutto quello che volevo fare, ne sono orgoglioso e comunque ritengo di essere stato onesto nei confronti dell’ascoltatore, ma i live sono un’arte a sé, una cosa del tutto diversa. A fare un buon live, in questo ambiente, ci sono riusciti in pochi: forse Melma & Merda, o il Neffa dei bei tempi… O anche Tormento: fa dei live tecnicissimi, pieni di spessore artistico, occupandosi da solo di rime e ritornelli e facendoti anche divertire. Al di là dei meriti artistici, poi, ora come, molti gruppi pensano che fare un live sia semplicemente salire su un palchetto in un locale mezzo vuoto sperduto chissà dove, con il microfono che gracchia e fischia, un soundcheck inesistente e tutto il resto. Questo tipo di cosa mi poteva andar bene otto anni fa, quando ho fatto uscire il mio demo, ma adesso non mi sembra più il caso. Io adoro il rap, ma non è il mio lavoro e non è scritto da nessuna parte che debba prendere e accettare tutto quello che questo fenomeno si trascina dietro. L’esempio classico è quello del freestyle: perché dovrei sentirmi moralmente obbligato a farlo? E perché nella scena rap anche gli ascoltatori si sentono in dovere di essere cantautori, tediandoci con i loro testi anche quando sono palesemente incapaci? Magari hai un amico incapace di tenere il tempo, ma incredibilmente bravo a scrivere: perché non ti fai comporre i testi da lui? Ci vuole il coraggio di osare, ma non vedo perché non infrangere questi tabù.

Icon: Sul tuo sito hai dichiarato che il rap italiano è sempre stato un semplice scimmiottamento di quello americano. Questa frase ha lasciato molto perplessi parecchi dei tuoi ascoltatori…

B.: Questo lo ribadirò fino alla morte. Deve esserci una presa di coscienza da parte della scena italiana: l’hip hop non è nato da noi. E neanche tutto quello che ci gira intorno, come l’abbigliamento, il modo di parlare, l’atteggiamento mentale…Non mi venite a dire che quello è il vostro modo di essere, perché quel modo di essere lo avete preso direttamente da Mtv. È più italiano un tabbozzo, piuttosto che un b-boy; in America i b-boy sono quelli che da noi sono i tabbozzi di Cinisello. Detto questo, non sto dicendo che lo scimmiottamento sia una cosa negativa, ma dobbiamo prendere atto della cosa. Le nostre radici musicali sono diverse, e questo non è giusto o sbagliato, è semplicemente un dato di fatto. Perché i Gemelli DiVersi con il primo singolo hanno fatto il botto? Perché hanno ripreso una canzone e delle sonorità già presenti nella cultura degli italiani. La sfida sta nel combinare un tipo di musica nato oltreoceano con degli elementi tipici di casa nostra. Il modo in cui scrive il criticatissimo Fabri Fibra è tipicamente italiano; parte dai cazzi suoi e arriva ai tuoi, e gli argomenti che sceglie toccano te, la tua area vitale e il tuo ambiente.

L.: Sempre parlando del tuo sito, in corrispondenza di ogni brano da scaricare hai pubblicato una foto diversa. Perché?

B.: Sono state messe lì come per contrasto ai pezzi, tutti molto cupi. Sono foto che ho scattato nel periodo in cui registravo l’album: le associazioni alla singola traccia sono più che altro mie personali, quindi è difficile per un altro trovare un significato vero e proprio agli abbinamenti. Mi piaceva l’idea di decontestualizzare completamente le tracce, di mettere l’ascoltatore nella condizione di sentire quella determinata canzone guardando qualcosa di completamente diverso. È quasi liberatorio, se ci si pensa su: l’angoscia di alcuni pezzi viene attenuata dalla positività dell’immagine.

L.: A proposito di pezzi cupi, perché queste atmosfere? Ti senti arrabbiato o deluso per qualcosa?

B.: Arrabbiato, sicuramente: guarda dove viviamo… In questo mondo, o fai finta di niente oppure credo sia impossibile non trovare qualcosa per cui arrabbiarsi. La rabbia non è sempre una cosa negativa, però. Se sai sfogarla nel modo giusto, diventa un potente stimolo a creare: è un’energia forte, produce adrenalina che puoi incanalare in attività produttive. Nel mio disco non potevo parlare di spumante e puttane, quella non è la mia vita: sono incazzato per un sacco di cose, ne prendo coscienza e le trasporto in musica. In qualche modo possiamo considerare Lingua ferita come un lavoro di denuncia sullo stato attuale delle cose, e in questo senso internet è il mezzo migliore, perché ha un’ampia diffusione. Deluso, invece, non lo sono proprio: da questa situazione non mi aspetto niente, quindi la delusione non mi tocca minimamente.

S.: Rae dà un contributo significativo all’album, ma non tutti sembrano aver apprezzato le sue strofe. Com’è nata la collaborazione tra voi?

B.: Ammetto che è molto comprensibile che Rae non piaccia: lui è orientato più che altro sul filone Psycho Realm, che in Italia è messo un po’ da parte e non è granché capito. Sul perché ho voluto lui sull’album, beh, tanto per cominciare è perché è un mio amico; su quest’album non ho voluto nessuno che non frequentassi abitualmente. Oltretutto lavoriamo insieme per Rebel Ink, abbiamo più o meno gli stessi gusti e lo stesso metro di giudizio, ad esempio rispetto alla prima produzione dei Wu-Tang e in generale al periodo tra il ‘93 e il ‘96. C’è sempre stato un grande feeling e un grande scambio musicale tra noi e avere un suo featuring mi è sembrato molto naturale. Certo, capisco che possa convincere poco alcune persone proprio per il suo particolarissimo modo di rappare e tenere il tempo, ma per chi conosce il suo percorso, come uomo e come hip hopper, non c’è dubbio che il suo approccio al rap sia tra i più genuini. L’attitudine di Rae è del tipo che, se stai ascoltando musica insieme a lui, riesce a infottarti così tanto che improvvisamente ti viene voglia di scrivere…

L.: Alcuni attribuiscono il tuo ritorno al rap al fatto che sta tornando di moda. Cosa rispondi a queste persone?

B.: Rispondo che il disco è gratis. In che modo me ne starei approfittando?

S.: Hai in progetto di fare un altro disco o questo rimarrà l’unico?

B.: Tanto per cominciare, vorrei preparare il remix di Lingua ferita con dei beat inediti italiani, principalmente di mr. Phil e Mace; credo che la gente li troverà molto più digeribili di quelli di El-P. Nell’album cercherò di inserire anche pezzi inediti e sto anche pensando seriamente a una collaborazione con i Colle der Fomento.