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Intervista a Nesli Rice

02-01-2004 Marta Blumi Tripodi

Intervista a Nesli Rice

Blumi: Fitte Da Latte, il tuo primo demo, era un lavoro rap nel senso più canonico del termine; con Piante Grasse ti sei messo alla prova su sonorità più elettroniche; Ego, invece, è qualcosa di più musicale/melodico. Queste tue sperimentazioni nascono da un percorso prestabilito o segui l’impulso del momento?

Nesli: La mia prima regola è non avere regole, quindi cerco di fare ciò che mi va nel momento in cui mi va. Detto questo, Fitte da Latte è stato concepito com’è perché artisticamente sono nato con Fabri e Lato e, avendolo prodotto proprio Lato, era naturale che avrebbe avuto un certo suono. Piante Grasse forse è un discorso a parte: è un album nato senza che potessi progettarlo, quasi per caso, in un periodo in cui avevo moltissimi testi e facevo fatica a trovare i beat adatti. Ad un certo punto ho conosciuto Myke, che aveva parecchie strumentali disponibili, e mi sono detto: perché no? Prima di Ego, oltretutto, non avevo mai pensato di poter fare il produttore. Ogni volta che entravo in studio e c’era qualcuno che stava finendo una base, mi chiedevo come facesse a smazzarsi qualcosa di tanto complicato! Tecnicamente, in effetti, sono quasi a zero. Ho avuto la fortuna di avere il supporto di Myke, che è molto esperto in fatto di macchinari: quando io tento di spiegargli in termini rozzi che tipo di suono vorrei, lui riesce a tradurre il mio concetto in uno strumento. L’esigenza di produrre è nata proprio in quanto le produzioni Piante Grasse e di Lato non sono il mio suono ideale: quando ho capito cosa volevo e come potevo tentare di realizzarlo, ho cominciato a lavorarci su.

B.: Anche se Ego è il tuo primo disco solista, hai alle spalle un percorso molto denso: un demo apprezzatissimo, il progetto Piante Grasse, parecchie collaborazioni con vari mc e produttori… Come mai hai aspettato così tanto ad uscire con un album completamente tuo?

N.: È stata semplicemente una questione di evoluzione personale. Prima non sarei riuscito a realizzare tutto quello che ho realizzato con Ego: non avrei potuto maturare le idee che stanno dietro a questo disco, perché a livello di esperienza non avevo ancora fatto abbastanza. Una volta mi bastava semplicemente essere parte di qualcosa, mentre ora sento anche l’esigenza di esserci anche a livello solista, e sento anche di avere i mezzi per farlo: conosco a sufficienza le mie doti e i miei limiti, e so che cosa riesco o non riesco a dare, in termini pratici. Insomma, è stato un bene non bruciare le tappe.

B.: Sul retrocopertina del tuo ciddì compare la frase “Musiche e testi di Francesco Tarducci”, una precisazione più facile da trovare su un disco di musica suonata. In effetti, con Ego sembra che tu abbia preso un po’ le distanze dal rap in senso classico, sia per l’introspezione dei testi, sia per le sonorità delle basi. In questo momento ti senti più vicino al ruolo del rapper o a quello del musicista?

N.: Sicuramente a quello del rapper, con la R maiuscola. Anche alla classica domanda “Cosa fai nella vita?” Generalmente io rispondo sorridendo, ma con gran convinzione, “Il rapper!”. Forse con Piante Grasse la cosa era meno evidente, nel senso che sembrava io avessi deciso di puntare su un altro tipo di musica: come dicevo già prima, però, Piante Grasse è qualcosa che mi è capitato per caso. Il fatto che con Ego io dia più un’immagine da “cantautore” viene dalla particolarità del progetto, e forse anche dalla mia collocazione geografica. Io vengo dal Sud, mi rispecchio nel Sud, sono in qualche modo isolato dal resto della scena e, nella mia visione Sud dell’hip hop, la frase “Musiche e testi di Francesco Tarducci” è un modo diverso dagli altri di definire il rap, il mio modo. Aggiungi anche che io non ascolto solo rap, anzi: ultimamente ne ascolto veramente poco, il che mi ha sicuramente influenzato.

B.: Proprio per il fatto che il tuo album è così diverso da tutto l’hip hop italiano uscito finora, Ego ha fatto molto discutere all’interno della scena. D’altra parte, in Ecco fatto sei tu il primo ad affermare che non t’importa di quello che gli altri pensano di te. Se devi tirare le somme, come ti sembra che sia stato accolto il disco?

N.: Finora sono molto soddisfatto del riscontro che Ego ha avuto. Venivo dall’esperienza di Piante Grasse che, come saprai, è stato amato e odiato senza vie di mezzo, e chi lo ha odiato non si è risparmiato nessuna cattiveria; personalmente, ho vissuto quella situazione come un piccolo fallimento, mi aspettavo un’accoglienza un po’ diversa. Ego, invece, è uscito a settembre e ho visto reazioni molto positive sia come vendite, sia a livello di risposta della gente, sia per quanto riguarda le recensioni. Io, poi, poco prima dell’uscita di un mio disco sono abituato a mandarlo alla gente che stimo e conosco, tra coloro che fanno rap: anche lì ho avuto pareri davvero incoraggianti. Conta inoltre che sono anche stato inserito nella scaletta e nella compila di Radio Italia Network e che anche su Groove l’album è stato recensito molto bene. Come primo lavoro, mi sento quasi un king! (ride).

B.: Al contrario della stragrande maggioranza dei prodotti che escono ultimamente, su Ego sono presenti veramente pochi featuring: oltretutto, quei pochi sono tutti riconducibili alla tua cerchia di amici e collaboratori abituali. Anche l’artwork è di FabriFibra, e ho letto che la foto di copertina è stata scattata da tua sorella. L’impressione è quella di un disco realizzato da pochi intimi per pochi intimi.

N.: È vero che nasce da pochi intimi: è stato un lavoro quasi a conduzione familiare. Forse per la mia solita visione molto Sud, sono attaccatissimo al concetto di famiglia, alle mie amicizie, al posto da dove vengo. Non sono partito con l’idea di fare tutto in casa, però. La foto di copertina, ad esempio, è frutto di una coincidenza: mia sorella era appena tornata da un viaggio in Normandia e mi ha mostrato questa foto della spiaggia dello sbarco alleato. Fabri me l’ha modificata, e ci siamo accorti che si adattava perfettamente all’idea che volevamo dare dell’album. Non è vero, invece, che è un disco per pochi intimi: se ci si fa caso, ho messo per primi in scaletta i pezzi un po’ più rap, proprio per far capire che non mi voglio discostare dal ruolo del rapper. Semplicemente, ho il mio modo di farlo e spero che venga capito. So che può suonare strano, ma sono assolutamente sicuro che non potrei trasmettere nulla in nessun altro modo, il rap è la maniera più naturale che ho di esprimermi.

B.: È raro che tu ti nasconda dietro giochi di parole o frasi dette a metà: quello che dici è sempre chiaro e diretto, e riflette anche moltissimo dei tuoi pensieri e dei tuoi sentimenti. Cosa ti spinge a esporti così tanto?

N.: Rispondo con un’altra domanda: come potrei NON espormi così tanto? Durante la giornata di ciascuno di noi ci sono mille momenti in cui scegliere se e quanto esporsi: personalmente ho la passione di scrivere, così cerco di espormi e di esprimermi in quell’ambito. Ora come ora, poi, ho deciso di non darmi assolutamente più censure, anche perché io scrivo soprattutto per me stesso, mentre lo faccio non riesco a visualizzare un qualcuno che poi ascolterà quello che metto nero su bianco.

B.: Nelle tue strofe parli spesso di sogni e di come siano indispensabili per sopravvivere. Considerando che al momento fare rap in Italia più che un sogno è quasi un’utopia, consiglieresti a un ragazzino che muove i suoi primi passi in quest’ambiente di credere a un sogno del genere o pensi invece che dovrebbe tenere i piedi per terra?

N.: Bella domanda, è dura rispondere! Io direi che quel ragazzino dovrebbe crederci, nel suo sogno. Se decidi di credere nell’hip hop, non importa se sei un ascoltatore o se te ne occupi attivamente, di regola parti entusiasta ed è quasi impossibile metterti un freno: i piedi per terra li rimetti quando cominciano le prime batoste. È un po’ come quando c’è una jam che aspettavi da tanto: nel viaggio di andata non fai altro che immaginare l’atmosfera stupenda che respirerai, mentre magari in quello di ritorno passi tutto il tempo a commentare con i tuoi amici una situazione che ti ha deluso. Certo, una parte di te deve sempre e comunque tener d’occhio la realtà ma, proprio perché fare rap in Italia per ora è un sogno, è inutile farsi mille paranoie su ciò che è giusto dire, ciò che è meglio fare. Se davvero è un’utopia, beh, che almeno ciascuno se la viva come gli pare.

B.: Tornando alle produzioni, nei crediti del disco sono presenti vari strumentisti: molti dei campioni utilizzati, infatti, non sono estratti da qualcosa di già edito, ma sono stati suonati appositamente per il tuo album. Qual è stato il processo di realizzazione di questi beat?

N.: In sostanza, in Ego sono presenti un bassista, un chitarrista e un pianista. La maggior parte degli inserti strumentali sono miei, però, anche se arrangiati da autodidatta: ho voluto occuparmene personalmente perché i musicisti con cui ho lavorato non avevano un background propriamente black, per cui ho dovuto almeno indicare una direzione da prendere. Per quanto riguarda il bassista, più che altro si è trovato a suonare qualcosa che io avevo già creato con il sintetizzatore, in modo che non sembrasse di plastica; idem per il piano. Le chitarre, invece, nascono dalla collaborazione tra me e un mio carissimo amico: ho cercato di portargli dei beat già praticamente finiti, in modo che avesse molta musica su cui lavorare, e insieme abbiamo cercato di dare un senso al tutto.

B.: Teste Mobili si distingue parecchio nel panorama delle crew italiane, sia come spirito del gruppo, sia come approccio alla musica. Cosa rappresenta per te che ci sei praticamente “nato” dentro? Se tu come rapper fossi cresciuto in una situazione diversa, pensi che avresti comunque scelto di entrarci?

N.: Teste Mobili rappresenta in primis quello che siamo io e mio fratello: un’entità familiare e una squadra di lavoro. Per me tutto parte da qui: senza Fabri e senza Lato non avrei mai intrapreso questa via e sarei rimasto un semplice ascoltatore, l’idea di fare rap non mi aveva mai sfiorato prima. Per rispondere alla seconda parte della domanda, assolutamente sì, se non avessi fatto parte già in origine di Teste Mobili avrei sicuramente tentato di entrarci in ogni modo, cercando di farmi notare e reclutare.

B.: Classica domanda di chiusura: quali sono i tuoi progetti presenti e futuri? Ovviamente, vale anche per le altre Teste Mobili.

N.: Lato sta lavorando a dei progetti un po’ più suoi, fermo restando che Uomini di Mare esiste ancora. Myke e Aladin, che sono comunque parte integrante di Teste Mobili, stanno occupandosi più che altro di quello che c’è in ballo con Men in Scratch. Io ho già praticamente pronto tutto il materiale per un disco nuovo, ma è ancora troppo presto per quello: dicono che sia brutto fare uscire due album a distanza così ravvicinata, ma ho intenzione di fare in modo che non mi rimanga in mano troppo a lungo, altrimenti c’è il rischio che mi suoni vecchio. Tra un po’, poi, uscirà il nuovo di Fabri, interamente prodotto da me: è qualcosa di cui sono molto soddisfatto, siamo già in studio a lavorarci. Uscirà anche un EP targato Uomini di Mare. Insomma, aspettate e vedrete: non c’è niente di sicuro per quanto riguarda i tempi, ma siamo già all’opera!